Dove si nasconde l’Hiv
Nonostante le terapie antiretrovirali abbiano migliorato drasticamente l’aspettativa di vita di chi ha un’infezione da Hiv, non c’è ancora una cura che possa eliminarlo. Fondamentale in questo senso è il ruolo delle cellule reservoir, serbatoi dove si nasconde il virus, rimanendo inosservato. Fino a ora
Durante questi mesi abbiamo, purtroppo, preso confidenza con parole come virus, pandemia, immunità. I più audaci hanno familiarizzato con tecnicismi come R0 e spillover. Non va dimenticato che questa non è la prima pandemia con la quale abbiamo a che fare: vale la pena, allora, conoscere un altro termine, reservoir, serbatoio. Questa parola si riferisce all’animale nel quale un agente infettivo convive prima di fare il salto di specie nell’uomo. Prendono questo nome, però, anche le cellule dove si nasconde e rimane silente un virus che in meno di cinquanta anni ha ucciso milioni di persone: l’Hiv, causa dell’Aids. La buona notizia è che un gruppo di ricercatori dei Gladstone Institutes, in California, in un articolo pubblicato su PLOS Pathogens lo ha stanato: gli scienziati, guidati da Nadia Roan, hanno identificato un’ulteriore classe di cellule che sembra ospitare l’infezione latente da Hiv.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, sempre più persone iniziano a morire a causa di infezioni da microrganismi normalmente ritenuti innocui. Mentre la comunità scientifica gradualmente capisce che è un virus a causare quella misteriosa malattia, che verrà chiamata Aids, i casi nel mondo salgono in maniera vertiginosa: dai 140.000 casi registrati nel 1981, nel 1997 le nuove infezioni da Hiv sono due milioni. In quarant’anni gli scienziati indagano le origini e le caratteristiche molecolari del nuovo virus, cercando strategie per eradicarlo: nel 2008 Luc Montagnier e Françoise Barré-Sinoussi vengono insigniti del premio Nobel per la medicina per aver isolato l’Hiv e averlo identificato come causa dell’Aids. Al 2018, nel mondo ci sono 37,9 milioni di persone infette da Hiv. Attualmente, grazie alle terapie antiretrovirali, che impediscono la replicazione del materiale genetico del virus, diversi studi documentano nei pazienti una carica virale talmente bassa da non essere misurabile e un’aspettativa di vita simile tra sieropositivi e sieronegativi. Eppure il virus ha elaborato una strategia per continuare a vivere nell’ospite che ha infettato: si nasconde.
Nei sieropositivi è nota da tempo la presenza di reservoir, cellule che funzionano da serbatoi veri e propri, in cui il virus è presente ma non si replica. In questo modo, pur abbassandosi la carica virale, non si ha mai una completa eliminazione dell’Hiv, e, se la terapia viene interrotta, possono comparire i sintomi dell’Aids a causa di una riacutizzazione dell’infezione. Trovare queste cellule-serbatoi non è facile: il virus all’interno non fa esporre sulla loro superficie nessuna proteina di origine virale, garantendosi così di passare completamente inosservato, pronto per replicarsi non appena le condizioni dell’ospite lo renderanno possibile. Lo studio condotto dai ricercatori riporta come una particolare classe di cellule, chiamate CD127, tipiche dei tessuti linfoidi, in particolare delle tonsille, faccia probabilmente parte del serbatoio responsabile dell’infezione latente da Hiv.
“Da tempo avevamo il sospetto che le cellule serbatoio potessero essere diverse e che i vari tessuti ospitassero determinati tipi di queste cellule. È stato difficile da dimostrare perché negli individui infetti le cellule serbatoio sono rare: la stragrande maggioranza dei modelli in vitro di latenza utilizza linee cellulari o cellule che circolano nel sangue”, afferma Roan. In questo caso, invece, si tratta di cellule che non sono circolanti, e che aggiungono un nuovo tassello per comprendere l’infezione latente da Hiv. I ricercatori hanno dimostrato che il virus è in grado di infettare in maniera molto efficace le CD127, ma non è in grado di replicarsi all’interno di queste con la stessa facilità: parti di Dna virale sono state trovate perfettamente integrate nel genoma delle cellule serbatoio, silenti ma pronte a riattivarsi nel momento più opportuno. “La capacità di un tipo specifico di cellula T del tessuto di supportare preferibilmente l’infezione latente è molto intrigante e può insegnarci molto su come si stabilisce inizialmente il serbatoio” dice la scienziata. “Le cellule tonsillari CD127 esposte all’HIV in vitro forniscono un nuovo modello per studiare la latenza virale nei tessuti” continua la ricercatrice. E se le terapie antivirali hanno reso l’infezione da Hiv una malattia cronica, “la nostra speranza è che i meccanismi che abbiamo scoperto possano essere sfruttati per controllare il serbatoio latente e avvicinarci alla realizzazione di una cura per l’Hiv.”
Immagine in evidenza: NIAID
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