Drosophila, il moscerino della frutta protagonista della lotta alla distrofia miotonica
Un novo studio, targato Sapienza, getta le basi per la comprensione dei meccanismi patogenetici della distrofia miotonica di tipo2 e per un possibile approccio terapeutico. Protagonisti dello studio il moscerino drosophila e la spermidina
Se Mendel è il padre della genetica, per certi versi potremmo dire che Drosphila mealanogaster, il comune moscerino della frutta, ne è l’erede indiscusso. Che sia un libro di biologia delle scuole superiori o un trattato di genetica non importa, quando si parla del “regno dei geni” il nome Drosophila la farà sempre da padrona. Ne è un esempio il recente studio, pubblicato sulla rivista eLife, condotto nei laboratori dei dipartimenti di Medicina molecolare e di Biologia e biotecnologie Charles Darwin di Sapienza, insieme all’Istituto Pasteur Italia – Fondazione Cenci Bolognetti, che, utilizzando proprio drosphila come modello, ha permesso al team di ricerca di comprendere le basi dei processi patogenetici che sottendono la distrofia miotonica di tipo 2(Dm2).
Riduzione del tono muscolare, miastenia, interessamento sistemico e comparsa precoce di cataratta sono fra i principali sintomi della distrofia miotonica: una malattia genetica autosomica dominante che attualmente interessa 300mila soggetti nel mondo. I geni coinvolti sono due: Dmpk, tipico della distrofia miotonica di tipo 1 (Dm1), e Cnbp/Znf9, la cui mutazione determina la comparsa della distrofia miotonica di tipo 2 (Dm2). Come spesso accade con le malattie genetiche, sebbene la causa prìncipe sia ben nota, è difficile comprendere l’insieme dei processi implicati nella comparsa dei sintomi. L’interesse del team di ricerca si è focalizzato sul ruolo del gene Cnbp e sulla funzione specifica dell’omonima proteina da esso codificata. Alternando attivazione e silenziamento di Cnbp in drosophila, gli scienziati si sono accorti di come l’assenza della proteina determinasse un decremento nella produzione dell’enzima ornitina decarbossilasi (Odc) che ha funzione regolatoria per la produzione di poliamine. Putrescina, spermidina, spermina, comunemente conosciute come poliamine, sono piccole molecole fondamentali in diversi processi biologici. A destare particolare interesse è il ruolo della spermidina nel prevenire i fenomeni di invecchiamento cellulare e la comparsa di malattie neuro degenerative e cardiache. Pare quindi che proprio un’alterazione nel metabolismo delle poliamine, dovuto alla mancata produzione della proteina Cnbp sia la causa dei deficit locomotori associati alla distrofia miotonica di tipo 2. Capita, tuttavia, non di rado, che la soluzione si celi nel problema stesso. Se, infatti, le poliamine o meglio il loro deficit è alla basa della sintomatologia, allora una loro reintegrazione può essere la soluzione. È proprio sulla base di questo ragionamento che è proseguito il lavoro dei ricercatori, i quali hanno provato a somministrare, a mo’ di integratore alimentare, un mix di poliamine, fra cui la spermidina, nei moscerini affetti dalla malattia. Il risultato è stato un significativo miglioramento delle funzioni di locomozione. Inoltre, confrontando i modelli di laboratorio, drosophila, con i soggetti umani affetti da Dm2 è emersa un’analoga deplezione di poliamine, rafforzando così le ipotesi e i risultati dello studio e, al contempo, aprendo la strada a nuove frontiere che vedono nella spermidina un promettente protagonista nella lotta alla malattia.
Immagine in evidenza: Drosophila al microscopio elettronico con particolare e fibra muscolare/ Wikipedia-Tommaso Nicolò
Commenti recenti