Effetto Michelangelo: così l’arte aiuta i pazienti con lesione del sistema nervoso centrale
La visione delle opere d’arte potrebbe migliorare gli effetti della neuroriabilitazione: è il cosiddetto “effetto Michelangelo”, studiato da un team Sapienza.
Arte, medicina e tecnologia che lavorano di concerto alla riabilitazione del cervello. È questa la sfida multidisciplinare di uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia e di Ingegneria meccanica e aerospaziale di Sapienza e di Unitelma Sapienza in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia Irccs. Coinvolto nel lavoro un gruppo di pazienti con lesione del sistema nervoso centrale che, a seguito di un ictus, hanno subito una paresi con perdita parziale della funzione motoria di un braccio o di un lato del corpo.
I pazienti hanno eseguito esercizi di neuroriabilitazione attraverso la realtà virtuale. Posti davanti a una tela virtuale bianca, è stato chiesto loro di muovere un cursore che scopriva, assecondando il movimento del braccio paretico, frammenti del dipinto sottostante, tra cui La nascita di Venere di Botticelli, La creazione di Adamo di Michelangelo, La vocazione di San Matteo di Caravaggio, Il caffè di notte di Van Gogh. In altre parole, ogni volta che il pannello virtuale riceveva il feedback del joystick maneggiato dai pazienti, i pixel bianchi lasciavano il posto a una parte dell’immagine.
I pazienti che hanno effettuato l’esercizio scoprendo i dipinti hanno ottenuto risultati migliori e un recupero più rapido rispetto al gruppo di controllo, che invece si limitava a colorare la tela bianca. Non solo: chi interagiva con le opere artistiche dichiarava di avvertire meno fatica al termine della prova.
“L’intenzione del nostro studio è stata di verificare se questi effetti positivi potessero essere sfruttati per incrementare il coinvolgimento del paziente nel percorso di neuroriabilitazione”, ha dichiarato Marco Iosa, del Dipartimento di Psicologia e ricercatore all’Irccs Santa Lucia, “e abbiamo scoperto che, analogamente all’effetto Mozart della musico-terapia, esiste in neuroriabilitazione quello che abbiamo chiamato l’effetto Michelangelo”.
I risultati della neuroriabilitazione sono dunque potenziati dall’effetto Michelangelo, che spiegherebbe il miglioramento delle prestazioni dei soggetti in presenza di un capolavoro artistico. Attraverso le tecniche di neuroimaging, le neuroscienze cercano di studiare i processi cerebrali alla base di diverse azioni, e sempre più spesso si rivela utile la loro applicazione in campo clinico e riabilitativo. In questo contesto nasce la “neuroestetica”, termine coniato dal neurobiologo britannico Semir Zeki per definire l’ambito di indagine che coinvolge le scienze cognitive e l’estetica. La visione dell’arte e la partecipazione attiva all’esperienza estetica stimolerebbero alcune aree cerebrali specifiche, comprese quelle sensomotorie. Nell’osservazione dell’opera d’arte è stato ipotizzato un coinvolgimento anche dei cosiddetti neuroni specchio, una classe di neuroni motori che si attivano involontariamente sia durante lo svolgimento di un’azione che durante l’osservazione della stessa. Il meccanismo di identificazione riguarda non solo la sfera delle azioni, ma anche quella delle emozioni, e quindi la partecipazione empatica con l’immagine.
In definitiva, la vista di un capolavoro attiva più aree del cervello (quelle motorie, centri del piacere e neuroni specchio), favorendo la plasticità del cervello e la neurostimolazione utile al ripristino delle funzioni perse. Nonostante il campione limitato (4 pazienti con ictus), lo studio ha vari punti di forza: il nuovo approccio alla riabilitazione dei pazienti con malattie neurologiche, l’interazione tra realtà virtuale e arte-terapia e il coinvolgimento emozionale dei pazienti. Dovremo attendere ulteriori studi per confermare ed estendere i risultati e indagare sui meccanismi precisi che determinano l’effetto Michelangelo.
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