Emilio Segrè: tutto è possibile quando ci si diverte
Uno scienziato che esplorando la fisica come se fosse nel Paese dei Balocchi giunse a scoprire l’antiprotone. E a fare molto altro
«Nessuno di noi si occupava delle conseguenze della bomba atomica» disse una volta Emilio Segrè intervistato da Enzo Biagi. Lo scienziato aveva infatti partecipato con un certo entusiasmo alla costruzione della bomba nel famoso progetto Manhattan, e da quanto si legge nel suo libro Autobiografia di un fisico, pare che fosse stata per lui un’avventura elettrizzante: l’idea di poter contribuire alla distruzione di Hitler, di porre fine alle infamie perpetrate dal suo regime e di arrivare a una conclusione vittoriosa della guerra lo allettava grandemente.
Nato a Tivoli nel 1905, Emilio Segrè apparteneva a una famiglia ebrea e aveva da poco passato la trentina quando furono promulgate le leggi razziali. Riuscì a fuggire dall’Italia fascista approdando negli Stati Uniti, dove toccò a Julius Robert Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan, dargli la notizia che sua madre era stata uccisa dai nazisti durante una rappresaglia. La perdita della madre, unita al rancore verso il nazifascismo e alla gratitudine nei confronti di un paese che lo aveva accolto in un momento difficile, spinsero Emilio Segrè ad attivarsi per far cadere i regimi di Hitler e Mussolini.
Segrè, tuttavia, per tutta la vita fu animato da un sentimento ben più forte e meno contingente di quello della vendetta: il senso del gioco e del divertimento. Era stato ad esempio in occasione di una gita alpinistica che, nell’Italia anteguerra, il giovane Emilio aveva stretto amicizia con Franco Rasetti, uno degli scienziati che all’epoca stavano risollevando le sorti della fisica italiana. I due divennero ben presto molto legati, ed erano soliti dedicarsi ad allegre passeggiate in montagna, durante le quali discorrevano di fisica per il semplice gusto di farlo.
Rasetti riuscì poi a introdurre il suo rampollo al Congresso di Como, un evento realizzato nell’anniversario della nascita di Alessandro Volta, al quale partecipavano le più grandi personalità scientifiche degli anni Venti. In quell’occasione, il giovane Emilio si sentì come un bambino in un parco giochi, anche se fu lì che prese la decisione più seria della sua vita: quella di diventare un fisico.
In seguito Rasetti presentò il ragazzo a un altro grande scienziato, che a quel tempo era già una leggenda vivente: Enrico Fermi. Sotto la sua guida, nei laboratori dell’Istituto di fisica a Roma, si formò un affiatato gruppo di ricerca: i «ragazzi di via Panisperna». Tra di loro si divertivano ad attribuirsi dei soprannomi scherzosi, ed Emilio Segrè era per tutti «il Prefetto delle Biblioteche» perché si interessava della biblioteca universitaria e conosceva la letteratura, ma era anche «il Basilisco» perché quando si arrabbiava «sputava fuoco».
Forse fu proprio il lato combattivo del suo carattere a farlo emergere e ad assicurargli poi una carriera da scienziato. Eppure ciò non basta a spiegare le scoperte scientifiche che lo hanno reso protagonista. Per quelle, fu probabilmente fondamentale che possedesse un pizzico di follia. Quella, ad esempio, che lo spinse ad andare all’università di Berkeley, in America, solo per visitare il ciclotrone, una delle più complesse macchine che l’uomo avesse mai costruito. Non tutti si sarebbero entusiasmati nel vedere pezzi di materiali radioattivi sparsi ovunque nei laboratori dell’ateneo. Lui sì; tanto da portarsi addirittura a casa alcuni di quei materiali, come se fossero giocattoli. Solo in questo modo, però, poté scoprire, nel 1937, in uno di quei pezzi radioattivi, il primo elemento artificiale mai conosciuto: il tecnezio.
Vincere il premio Nobel per la scoperta dell’antiprotone, nel 1959, fu probabilmente per lui una delle cose «meno straordinarie» che gli potessero accadere. Ciò che inseguiva era altro; come quella volta che, trovandosi a New York dopo aver ricevuto il premio Nobel, aveva avuto la folle idea di incontrare Salvador Dalì, il famoso pittore surrealista che all’epoca abitava appunto nella città americana. Da quanto emerge nella biografia del fisico italiano, l’artista accettò l’incontro e si presentò all’appuntamento vestito in modo bizzarro, con i baffetti all’insù e con un bastoncino. Segrè non fu da meno: si comportò anche lui da vero surrealista, sbucando di soppiatto da dietro una colonna, cogliendo di sorpresa il pittore. A cena, Dalì gli spiegò di aver dipinto una Madonna «antiprotonica», nel senso che solo l’annichilazione della materia poteva mandare in cielo una donna, e il fisico allora ebbe la dimostrazione che l’artista era tutt’altro che matto: aveva semplicemente uno strano modo di considerare il mondo. Proprio come lui.
L’incontro con Salvador Dalì è l’emblema di una vita vissuta con lo spirito giocoso e incosciente di un bambino. Se Segrè non avesse conosciuto quasi per gioco Fermi e Rasetti – come ammise in un’intervista con Ottavia Bassetti – probabilmente sarebbe rimasto in Italia, diventando un buon ingegnere o un discreto industriale o un uomo d’affari. Avrebbe forse guadagnato molto di più, ma avrebbe anche condotto una vita meno interessante. Più che all’arricchimento, infatti, Segrè puntava a trarre piacere e divertimento da ogni esperienza, umana e professionale. Malgrado amasse la poesia, probabilmente non avrebbe potuto fare né il poeta né lo scrittore: possedeva una mente troppo scientifica. Però, così come un poeta può esser felice con i pochi denari del suo mestiere, anche un umile scienziato di Tivoli, con in tasca la sola forza della curiosità, può conquistare l’America e lasciare un segno indelebile nella storia.
Immagine in evidenza: Emilio Segrè nella primavera del 1952. Le equazioni sulla lavagna indicano le reazioni che hanno prodotto gli elementi o gli isotopi scoperti da Segrè: il tecnezio, l’astato e il plutonio 239
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