Inarea Sapienza

Inarea Sapienza

intervista a Marco Tripodi

di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso

Marco Tripodi, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Medicina Molecolare della Sapienza Università di Roma ci racconta il suo percorso di ricerca, in particolare dei suoi studi sulla dinamicità cellulare e sulla transizione epitelio-mesenchimale che ha implicazioni nei processi di metastatizzazione. Ma anche dell’importanza della ricerca di base e dell’interdisciplinarietà.  

Per arrivare da qualche parte bisogna sapere collaborare con persone diverse dal proprio microcosmo.

Qual è stata la scoperta più entusiasmante della sua carriera?

Paradossalmente quello che mi piace ricordare sono le ultime scoperte. Il mio ondeggiare culturale è stato tra biologia molecolare e biologia cellulare, fino a scoprire la necessaria interdipendenza dei due campi. Il focus della mia ricerca è sempre stato la dinamicità cellulare ovvero la capacità delle cellule di rispondere a stimoli. Solo ultimamente sono riuscito a inquadrare questo concetto di dinamicità cellulare in un concetto più ampio. Ovvero di dinamicità multicellulare. Segnali che la cellula riceve dalle altre cellule e che la cellula dà alle altre cellule e che la rendono dinamica. Questa è una visione integrata che deriva da studi molecolari che sono finalizzati a capire i meccanismi che sono necessari per la dinamicità e che a volte sono anche sufficienti. Ovvero studiare meccanismi che se perturbati danno inizio – e quindi sono sufficienti – a cascate di eventi che poi sono necessari per la dinamicità. In questo non è da dimenticare il contesto, la nicchia, nella quale la cellula si trova all’interno dell’organismo. Ritornando alla sua domanda, quindi forse la cosa più interessante che abbiamo fatto nell’ambito degli studi di questi meccanismi è stato scoprire che, in un modello cellulare da noi stabilizzato, due elementi erano sufficienti, quindi master [il termine master è inteso qui nella sua accezione genetica – elemento dominante di una gerarchia di eventi, NdR], di fenomenologie opposte. Una fenomenologia che era in grado di tramutare una cellula epiteliale in una cellula mesenchimale e l’altra che era in grado di fare il viceversa. Questo argomento è interessante sia dal punto di vista dell’embriologia sia dal punto di vista dei processi di metastatizzazione. Per fare un esempio, nel tumore primario le cellule epiteliali “imparano” a diventare mesenchima, migrano e trovano un secondo sito dove fanno la transizione opposta, da mesenchima a epitelio facendo quindi la metastasi – transizione epitelio-mesenchima e viceversa.

I due elementi da noi scoperti sono due fattori trascrizionali causali dei fenomeni transizione epitelio-mesenchima e mesenchima-epitelio. Ma soprattutto è stato interessante scoprire che questi fattori trascrizionali si inibiscono a vicenda, creano un micro-circuito molto semplice che spiega perché queste transizioni siano così efficaci, così complesse ma così coerenti. Due master quindi che sono in grado di modulare a vicenda la loro espressione. Due elementi causali sufficienti a spiegare la coerente manifestazione di eventi complessi, come l’accensione e lo spegnimento di centinaia di geni, tutti riconducibili ad un unico interruttore. 

Ancora più interessante è stato proseguire nella stessa logica inseguendo i tempi. Ovvero, quando abbiamo dissezionato il meccanismo a due fattori, si credeva che i fattori di trascrizione fossero il cuore di tutte le fenomenologie, poi sono arrivati i microRNA (miRNA), i fattori epigenetici e in ultimo i long non-coding RNA (lncRNA). Ho quindi deciso di stare al passo con i tempi. Di studiare il ruolo di questi nuovi elementi – che diventava sempre più chiaro essere implicati in molti fenomeni – nel micro-circuito a due fattori, soprattutto dei lnRNA.

Facendo un passo indietro, ultimamente sono stati scoperti meccanismi di comunicazione che rendono meno naïf il concetto della comunicazione cellulare perché sono dei veri e propri “pacchetti postali” che partono e arrivano, anche precisamente, alle cellule a cui il messaggio deve essere recapitato. Questi elementi sono capaci di proteggere il messaggio, recapitarlo in maniera precisa, a volte anche a distanza, perché sono particelle circolanti nel sangue. La scoperta che mi ha dato più soddisfazione non è tanto cosa dicono questi segnali, ma come fa una cellula a selezionare ciò che deve dire. Faccio riferimento ai meccanismi di cargo di miRNA nelle vescicole. Il lavoro che mi ha dato molta soddisfazione è pionieristico. Come peculiari proteine in grado di legare gli RNA fanno selezione cargo di specifici miRNA e quindi siamo nell’ambito dei lncRNA.

L’ultima cosa che invece riguarda un particolare lncRNA forse un po’ tradisce quello che ho premesso sulla ricerca di base finalizzata a sé stessa. Perché da questo lncRNA la soddisfazione è stata aver capito che questo potesse avere un aspetto applicativo. Per dirla semplice, un lncRNA che si chiama HOTAIR è necessario alla transizione. Perché quello che noi pensavamo un fattore master di transizione richiede un macchinario che recluta solo se c’è questo lncRNA. Quindi lui è l’effettore, ma necessita di una piattaforma molecolare che concentra su di esso una capacità di modifiche epigenetiche. Quindi, se lui lavora vuol dire che c’è il lncRNA vuol dire che c’è il macchinario, se rimuovi il lncRNA questo non lavora. Però l’idea è stata: proviamo a creare un meccanismo che interferisca sulla creazione della piattaforma, che quindi renda il fattore che noi riteniamo necessario alla transizione, che si chiama Snail, incapace di lavorare. Ovvero non più capace di reclutare la piattaforma. L’approccio è stato creare un dominante negativo a RNA selezionando una porzione di questo lncRNA che non mette più in comunicazione Snail col macchinario. Lega Snail ma non lega più il macchinario. Quindi un approccio innovativo, perché è il primo lncRNA ipotizzato come dominante negativo e soprattutto con potenziale applicativo. Perché in terapia, eliminare un fattore ad un paziente è difficilissimo ma aggiungere qualcosa che ha una funzione dominante negativa è molto più facile. Soprattutto negli ultimi due anni veicolare RNA è diventato il cuore di milioni di ricerche e i passi in avanti sono stati giganteschi. Allora pensiamo che questo tipo di filosofia sia estendibile alle centinaia dei lncRNA che vengono via via scoperti, che a volte sono elementi necessari alla fenomenologia e quindi possono essere target terapeutici. Quindi ho cominciato dicendo voglio fare ricerca di base però una certa soddisfazione di sentirsi pure un po’ concretamente propositivo da un punto di vista applicativo rimane.

Dal mio punto di vista bisogna studiare tutta la vita e acquisire la logica dal noto, solo in questo modo si riesce a proseguire il mestiere negli anni.
Come deve essere perseguita la ricerca?

Ho cominciato una carriera dove un biologo era come un astronomo. Faceva ricerca, ma nessuno gli chiedeva a che serve. È parte della costruzione culturale di un uomo cercare di capire l’esistente. La biologia ha fatto talmente tante scoperte che l’applicazione è diventata prima possibile e ora sembra addirittura necessaria. Io rimango vincolato all’idea che il percorso deve nascere dalla ricerca di base finalizzata alla comprensione di processi biologici. Le applicazioni se ci sono vengono successivamente. Una cosa che dico agli studenti di biotecnologie mediche [Marco Tripodi è attualmente presidente del corso di laurea di biotencologie mediche alla Sapienza, NdR] è che dovranno studiare il noto ma che poi dovranno lavorare sull’ignoto. Questo perché le applicazioni biotecnologiche del noto sono enormi ma proiettandoci da qui a quattro anni forse quelle più belle saranno finite. Dal mio punto di vista bisogna studiare tutta la vita e acquisire dal noto una logica, un metodo, più che una informazione, solo in questo modo si riesce a proseguire il mestiere negli anni. 

Oggi quanto è importante la trasversalità? Intesa come campi di ricerca e di studio diversi che comunicano tra loro. 

In vivo e cioè nell’organismo, i meccanismi sono sempre multipli, che si sovrappongono e che sono tutti necessari. Capire ciò che è sufficiente in vivo, è quasi impossibile. Per questo la ricerca va verso modelli riduzionistici – cellulari etc. – che permettono di arrivare a conclusioni che poi vanno estese in vivo scoprendone a volte la veridicità e a volte l’insufficienza nel spiegare il fenomeno in vivo. Sicuro è che biologia cellulare, biologia molecolare, embriologia, istologia e biochimica sono scienze che si stanno fondendo da un punto di vista culturale, forse non tecnologico, ma culturale sicuro. Quello che voglio dire è che  per arrivare da qualche parte bisogna sapere collaborare con persone diverse dal proprio microcosmo. 

L’università in campo biomedico senza il Policlinico non va da nessuna parte e viceversa.

E il Policlinico In questo come come si inquadra? 

In realtà sono qua per motivi misteriosi. Il mio piano è un istituto universitario ma il piano di sotto è un istituto misto dove ci sono anche i malati. A livello di ricerca quello che faccio io c’entra poco con il Policlinico ma beneficiamo del contesto perché alcuni colleghi con cui collaboro hanno accesso a materiali biologici per noi interessanti. L’ideale sarebbe avere un contesto permissivo per entrambi perché l’università in campo biomedico senza il Policlinico non va da nessuna parte e viceversa. Devo dire che la città universitaria mi piace ogni giorno di più. È bellissima. Uscire dai concerti la notte e camminare nella città mi piace da morire. Però la Sapienza soffre di problemi logistici perché la ricerca è massa critica, è sapere quello che fanno quelli vicino a te, è poter salire un piano e chiedere mi presti questo determinato componente che io non ho oggi. Qui è impossibile. 

Quando mi hanno chiesto di scegliere tra restare allo Spallanzani o alla Sapienza e la mia scelta è stata Sapienza.

Ha avuto esperienze in contesti diversi dalla sapienza? 

Sono stato all’estero per cinque anni e sono stato vent’anni allo Spallanzani. Lì il mio approccio alle cose era diverso da quello che ho sempre sostenuto con forza al Policlinico perché lì ero al servizio di un’azienda. Lo Spallanzani infatti è un Irccs e quindi la ricerca che ho fatto per vent’anni era finalizzata al trasferimento al malato. Devo dire che se guardo indietro le pubblicazioni sono di carattere diverso e che avere avuto esperienze così diverse è stato molto bello e molto importante. Quello che trovo lì qui mancava e viceversa. I nuovi vincoli nazionali non permettono più la sinergia tra due contesti diversi e quindi quando mi hanno chiesto di scegliere tra restare allo Spallanzani o alla Sapienza e la mia scelta è stata Sapienza.

Qual è il giusto equilibrio fra il numero di pubblicazioni e la qualità delle pubblicazioni?

L’Italia è un paese di “creativi drogati” che fanno di tutto per sopravvivere. Il tasso di pubblicazione in Italia è non relazionabile ai finanziamenti questo vuol dire che noi pubblichiamo e scopriamo dieci volte di più di quello che fa uno straniero. Perché siamo esercitati alla fantasia e all’uso dei trucchi per trovare scorciatoie. Lo dico in modo positivo di necessità virtù. Rimpiango quello che era una volta perché prima si scriveva un progetto sulla base delle proprie capacità e c’erano buone possibilità di finanziamento. Adesso siamo costretti a inseguire proposte di finanziamento estranee al nostro percorso culturale e che cambiano a seconda delle contingenze snaturando il baricentro di un ricercatore. Quindi l’equilibrio è influenzato dai soldi che si hanno per lavorare. Per lavorare bisogna pubblicare e per pubblicare bisogna avere i soldi. Senza soldi non pubblichi e non lavori. Un po’ come il compositore Mozart che doveva soddisfare la sua creatività ma anche portare un pezzo di carta al maestro di cappella domani.

Il tasso di pubblicazione in Italia è non relazionabile ai finanziamenti. Noi pubblichiamo e scopriamo dieci volte di più di quello che fa uno straniero perché siamo esercitati alla fantasia e all’uso dei trucchi per trovare scorciatoie. Lo dico in modo positivo facciamo di necessità virtù.

Che differenza c’è fra uno studente di biotecnologie, di biologia e un dottorando? 

Io insegno al primo anno di medicina e al corso di laurea specialistica di biotecnologie mediche,  e poi ovviamente  seguo i dottorati. Hanno tutti  diversi gradi di maturità. Il dottorando dovrebbe avere finito un percorso ed essere formato alla capacità di apprendere e di distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Il telefono ne sa più di noi ma allora perché uno fare gli esami senza telefono? perché acquisisce la capacità di usarlo. La differenza tra gli studenti è l’età e da un punto di vista culturale, se vogliamo separare biotecnologie e biologia, forse c’è un’affinità diversa.  Se posso dire quello che manca è la capacità di capire, immaginare e pensare in termini di quello che non si sa. Tutti stanno dicendo agli altri quello che si sa e nessuno riesce a mettere in fila i misteri, a disegnarli e elencarli come mister. 

Il dottorato di Scienze della Vita ha lo scopo  di dare una cultura trasversale riunendo studenti provenienti da diversi laboratori. Ha funzionato ?

Era nata per questo motivo [Marco Tripodi è stato coordinatore dal 2006 al 2015, NdR] e devo dire che la scuola funziona ancora molto bene. La prof.ssa Cutruzzolà la porta avanti molto bene, la scuola è efficace. Scienze della vita è stata una bellissima esperienza perché è un dottorato peculiare, poco accademico, molto culturale e interdisciplinare e molto difficile. È stata un’impresa culturale di cui rimango orgoglioso. Ho avuto anni bellissimi grazie ai colleghi tra cui Anna Tramontano che purtroppo ci ha lasciati e che era un elemento essenziale nel dottorato perché capiva tutto e non solo la sua disciplina. Quindi io sono stato benissimo però sono gli studenti che devono dire se questo percorso ha funzionato.

Che consigli darebbe ad un giovane?

Ho un figlio che ha scelto neuroscienze e che ho visto sudare molto più di quello che ho sudato io. A mio figlio gli ho detto tieni duro troppe volte.  Sono un po’ influenzato da questa esperienza e quindi non ce la faccio a dare consigli perché il mondo oscilla in maniera preoccupante e chi è nato illuminista adesso fa un po’ fatica. 

Marco Tripodi, biologo molecolare e cellulare e Professore Ordinario presso il Dipartimento di Medicina Molecolare della Sapienza Università di Roma