Faire savoir
La collaborazione fra centri di ricerca e associazioni dei pazienti è diventata fondamentale per lo studio e la cura delle malattie rare. Il caso di Syngap1 la cui mutazione causa encefalopatia epilettica. L’esperienza dei medici, dei ricercatori della Sapienza e delle associazioni che insieme lavorano per far conoscere l’esistenza di un centro che studia, con una visione integrata, le encefalopatie epilettiche.
Intervista ad Alberto Spalice
di Mattia La Torre e Diego Parini
Ci può parlare della sua ricerca clinica su Syngap1?
Insieme al Dott. Luigi Tarani, siamo venuti a conoscenza di questi pazienti grazie all’incontro con una bimba. Venuta da noi con una sintomatologia non ovvia e con una registrazione elettro-encefalografica abbiamo notato delle caratteristiche che ci ricordavano qualcosa che avevamo già visto in letteratura. Abbiamo fatto un pannello genetico, trovando così la mutazione su questo gene Syngap1. Grazie ai genitori e parenti – non è infatti il primo caso di associazioni che nascono da situazioni simili, e, in questo caso grazie a Tonino il nonno della bimba – è nata questa associazione “Syngap1”. Nel frattempo, abbiamo deciso di formare il “centro” di raccolta dei pazienti Syngap1 in Italia. Con anche Silvia Di Angelantonio e Alessandro Rosa, abbiamo formato una rete e un database che ci ha portato fino alle conoscenze più attuali, ad esempio: come funziona il gene, che tipo di terapia, quali sono i modelli animali e via dicendo.
Quanto quindi le nuove tecnologie contribuiscono?
Queste collaborazioni permettono di sviluppare nuove tecniche sia terapeutiche che diagnostiche, che rappresentano il futuro di questi bimbi. Quando si trova una mutazione, è difficile trovare subito una terapia, specialmente nelle encefalopatie epilettiche. È per questo che servono i database e le collaborazioni internazionali. Esiste, ad esempio, un network europeo formato da diversi neurologi pediatri, biologi, neurobiologi, che studiano queste particolari encefalopatie epilettiche, portandoci a conoscenze sempre più ampie. Lavorando qui, da ormai più di trent’anni, il cambiamento è stato epocale, nel momento in cui ci si trovava di fronte ad encefalopatie epilettiche per le quali era impossibile fare una diagnosi. Queste venivano classificate all’interno del 30/40% delle epilessie idiopatiche. Oggi le epilessie idiopatiche sono circa il 5/10%, grazie al contributo della genetica.
La collaborazione è molto importante per la ricerca clinica?
Assolutamente sì, perché il clinico non può fermarsi all’elettro-encefalogramma, vedere il bambino e fare le analisi, ma deve salire ad un livello successivo e per questo ha bisogno di una rete di collaborazione con i biologi, i genetisti, i neuro-radiologi, e così via, per questo nasce l’idea dei gruppi di ricerca. Fino a qualche tempo fa non si sapeva che a pochi chilometri da te ci fosse qualcuno che stava studiando la tua stessa patologia. Ora, invece, la collaborazione è molto più semplice, ma deve assolutamente essere fatta a tutti i livelli perché altrimenti non si fornisce un buon servizio al paziente.
Quanto è importante la visione integrata per la gestione dei pazienti, soprattutto quelli affetti da patologie rare?
L’integrazione, insieme ad un gruppo multi-specialistico, diventa essenziale. Non ci possiamo più fermare ad avere un bambino visto da un solo specialista. L’altra cosa importante è la collaborazione con i gruppi di ricerca non solo pediatrici, ma anche degli adulti, perché queste problematiche nei bambini permangono anche nell’età adulta. Fare un lavoro di transitional age, tra l’età adulta e quella pediatrica, diventa fondamentale
Quale può essere l’elemento, sia intellettuale che pratico, che deriva dall’interazione con i pazienti?
Quello che ho capito è che se le associazioni si muovono fanno dei lavori notevolmente significativi per la comunità scientifica medica. Un esempio, se l’associazione si muove dicendo che ha bisogno di realizzare una determinata cosa, prima o poi, la fa. Il più delle volte sono spesso le associazioni che fanno da traino, dandoti lo spunto, proprio perché devono gestire figli, nipoti o parenti, e una forza notevole nell’andare avanti nella ricerca. Le associazioni fanno un lavoro incredibile, soprattutto ti permettono di arrivare, ad esempio, al Ministero quando hai bisogno di utilizzare determinati farmaci oppure devi fare delle trafile burocratiche. Loro hanno la forza e la potenza di farti arrivare fino a questi livelli.
Secondo lei perché è importante studiare le malattie rare?
Il malato raro è un malato che deve essere preso in carica dal gruppo, creando questa idea di agire a 360 gradi: il malato al centro e gli specialisti che gli ruotano attorno. Le malattie rare sono importanti perché ti spiegano come agire, sono fonte di grossi trial di ricerca, perché nel momento in cui hai un paziente raro, provi quel farmaco particolare con quella caratteristica. È importante sapere come gestire queste patologie. Al Policlinico della Sapienza abbiamo la fortuna di avere uno sportello per le malattie rare, permettendo a tutti gli specialisti di incontrarsi e vedere il paziente tutti insieme, non una cosa da poco, poiché i bambini, soprattutto in età pediatrica, vengono sballottati da una parte all’altra, mentre qui abbiamo un centro di incontro.
Il contesto, in questo caso il Policlinico universitario, quanto è importante per i pazienti e per la ricerca clinica?
L’attrattiva che ha un Policlinico universitario è molto alta. Come per l’Università Sapienza, una potenza non indifferente di attrazione di pazienti. Il Policlinico stesso è una struttura molto grossa con all’interno centri di eccellenza. Unire Policlinico e Università è una fonte di attrazione di notevole importanza. Nel Policlinico universitario, inoltre, ci sono dei centri fondamentali per la ricerca che attraggono fondi, attraggono pazienti e tutto ci porta poi a scoperte, a premi, a grant – ndr finanziamenti – per realizzare la crescita degli universitari. Quello che ci aspetta il futuro sono proprio le sfide per i giovani e, per fortuna, il PNRR destinerà molti fondi alla ricerca.
Quali sono state le scoperte tecnologiche che più l’hanno aiutata durante la sua carriera?
Due fondamentali. L’utilizzo di una macchina di Risonanza Magnetica 3 Tesla che ci faceva vedere delle malformazioni molto piccole, impossibili da vedere con altre macchine. Una rivoluzione incredibile per la neurologia pediatrica. Dopodiché l’utilizzo di pannelli genetici, che ci hanno permesso di fare delle diagnosi, che prima non avremmo mai potuto fare. La neuro-radiologia associata alla genetica, sono state due scoperte che hanno fatto avanzare lo studio della neurologia pediatrica in tutto il mondo. La decade 1990-2000 è stata definita “the decade of the brain”, in quel periodo sono state fatte tantissime scoperte che ci hanno portato a lavorare con una facilità incredibile. E di scoperte ce ne saranno ancora molte
Se dovesse dare un consiglio ad un giovane allievo quale sarebbe?
Ai ragazzi che lavorano con me dico sempre due cose. Uno, non scoraggiarsi mai, perché l’università all’inizio sembra che ti paghi poco ma poi ti dà tanto. La strada è in salita ma non bisogna scoraggiarsi. Inoltre, la curiosità assoluta della ricerca, non si smette mai di studiare. Due, cercare di andare all’estero, cercare di muoversi per capire le altre culture, per avere al ritorno un bagaglio culturale non indifferente
Esiste un equilibrio tra la qualità e il numero dei lavori scientifici che bisogna pubblicare?
La mia ex capa mi diceva sempre: “non pubblicare cinquecento lavori ma scrivine cinquanta ad alto impatto”. Il numero esagerato di pubblicazioni in una fascia medio bassa, non significa essere eccelsi, mentre poche pubblicazioni, tutte di alta fascia, funziona meglio. Attualmente, siamo in un mondo abbastanza schizofrenico che ti porta a lavorare e fare pubblicazioni su pubblicazioni, sbagliando. Anni fa si faceva l’esatto contrario, meno lavori ma che puntavano in alto. Quindi fare una ricerca fatta meglio potrebbe avere più senso.
Alberto Spalice, Neurologo pediatrico della Divisione di Neurologia Pediatrica presso l’azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma
Guarda l’intervista completa sul canale YouTube di STAR
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