Fantascienza da premio Nobel: la nuova cosmogonia di Stanislaw Lem
Stanislaw Lem, attraverso il discorso di un immaginario premio Nobel per la fisica, stravolge la nostra visione dell’universo e delle sue leggi, propone una soluzione al paradosso di Fermi e interpreta il cosmo come un gioco
Non sono molti gli autori di fantascienza che nelle loro opere sono riusciti a coniugare il fascino per il meraviglioso, per l’estraneo, con la critica della morale e della società e con una profonda e intelligente analisi della mente e della filosofia umana. Stanislaw Lem è sicuramente uno di essi. Medico polacco, maestro della fantascienza sociologica, autore di Solaris, Cyberiade, Fiabe per robot, definito «il più importante scrittore di sci-fi non anglofono», divenne famoso in tutto il mondo in seguito al successo della magistrale trasposizione cinematografica del suo capolavoro Solaris nell’omonimo film del 1972 del regista russo A.A.Tarkovskij.
Lem non scrisse esclusivamente fantascienza ma mantenne comunque, in tutte le sue opere, una propensione verso il fantastico. Vuoto assoluto del 1974, ad esempio, è un’antologia di recensioni e commenti a pseudobiblia.
Il termine pseudobiblia, coniato da L. Sprague De Camp nel suo articolo The unwritten classics, indica libri mai scritti ma citati come realmente esistenti, con il titolo e a volte con estratti, all’interno di altre opere letterarie. Esempi famosi sono il Necronomicon nelle opere di H.P.Lovecraft oppure La storia infinita e La guida galattica per autostoppisti negli omonimi romanzi rispettivamente di M.Ende e D.N.Adams. Le analisi di libri inesistenti, gli studi specifici sulle biblioteche immaginarie sono un vero e proprio genere letterario in cui si sono cimentati autori celebri come J.L.Borges e F.Rabelais.
Vuoto assoluto è una delle prime antologie interamente dedicate all’analisi di romanzi, racconti, saggi inesistenti. In seguito altri autori hanno seguito il suo esempio, come R.Bolaño con il suo La letteratura nazista in America del 1993. Il libro di Lem è un ben congegnato scherzo letterario ai limiti del solipsismo che ironizza sul concetto di libertà espressiva degli scrittori e dei critici. «Scrivere romanzi significa privarsi della libertà creativa. Il critico si trova in una situazione ben peggiore, inchiodato al libro da recensire come il galeotto ai ceppi- argomenta l’autore nella barocca introduzione al libro- Lo scrittore smarrisce la libertà nella propria opera, il critico in quella altrui?».
Tra i quattordici commenti ad altrettanti pseudobiblia spicca La nuova cosmogonia (qui nella versione inglese). Il brano, l’unico del libro ad avere sapore fantascientifico, è il discorso per la premiazione del premio Nobel di un inesistente cosmologo, Alfred Testa. Lo scienziato analizza l’opera filosofica ispiratrice delle sue teorie scientifiche, la Nuova cosmogonia dell’immaginario Aristides Acheopoulos, e delinea una visione dell’universo totalmente nuova: il cosmo e le sue leggi non sarebbero altro che la manifestazione delle tecnologie fantasticamente avanzate delle civiltà evolutesi prima del nostro tempo per migliaia, milioni, miliardi di anni. Questi esseri sarebbero così inconcepibilmente avanzati da non usare più macchine o tecnologie riconoscibili come tali ai nostri occhi. Per loro sarebbero primitive anche le più ardite opere di astroingegneria immaginate dai più fantasiosi scrittori di fantascienza. Per perseguire i propri misteriosi scopi, essi modificherebbero le leggi fondamentali dell’universo, cambiando sottilmente la realtà fisica per rendere il cosmo più congeniale alla propria esistenza.
Nel corso del tempo una civiltà passerebbe da uno stato primitivo, come quello in cui si trovano ora gli umani, nel quale la sua scienza scopre le leggi naturali a fasi sempre più avanzate nel quale le modifica a proprio piacimento in una zona di universo sempre più estesa in una sorta di autoaffermazione del principio antropico ultimo. L’universo odierno non sarebbe altro che lo scenario del Gioco delle antiche civiltà extraterrestri: i fantomatici e (quasi) onnipotenti Giocatori. Dopo le antiche e violente fasi competitive «la cui eco è ancora udibile nella radiazione cosmica di fondo», scrive Lem, si sarebbe affermata la fase collaborativa che osserviamo ancora oggi, in cui «gli Psicozoi massimizzano i benefici comuni e minimizzano i danni» rendendo isotropiche le leggi fisiche e indebolendone impercettibilmente alcune nel corso di milioni di anni, come la costante di Boltzmann, quella che regola il gradiente entropico, forse «per meglio conformare il cosmo al fenomeno della vita».
Questo tipo di evoluzione delle civiltà spiegherebbe anche il silentium universi, offrendo una soluzione al cosiddetto paradosso di Fermi, cioè l’apparente contraddizione tra le stime ottimistiche sulla probabilità dell’esistenza di civiltà extraterrestri e la mancanza di contatti con esse o di prove della loro esistenza. Enrico Fermi, il grande fisico italiano, aveva un vero talento per il ragionamento speculativo e i problemi di stima, amava porsi domande del tipo: «Ma quanti saranno gli accordatori di pianoforte a Chicago?». Durante una conversazione tra scienziati sulla possibilità di incontrare intelligenze extraterrestri si mise a considerare i fattori necessari allo sviluppo della vita e dell’intelligenza tecnologica nell’universo: il numero di stelle simili al Sole, la percentuale di pianeti nella loro zona abitabile, la frazione di questi pianeti con il giusto mix di elementi chimici per la nascita della vita, il tempo necessario all’evoluzione dell’intelligenza e numerosi altri fattori. Anche se le probabilità fossero infinitesimali (e, in effetti, lo sono), il cosmo è così incredibilmente grande, il numero di galassie, stelle e pianeti così alto, il tempo così esteso (aveva calcolato che, anche a velocità sub-luminali sarebbero bastati appena cinquecento milioni di anni per colonizzare l’intera galassia) da spingere Fermi a chiedersi: «Dove sono tutti?». Da un ragionamento analogo nacque anche la celebre equazione di Drake, che formalizza matematicamente la stima delle civiltà della nostra galassia con cui potremmo entrare in contatto. Per Testa e Acheropoulos, dopo gli innumerevoli turni del Gioco cosmico nel corso degli eoni, ormai nell’universo non è più possibile distinguere ciò che è naturale da ciò che è artificiale e, inoltre, le stesse regole del Gioco renderebbero poco convenienti, e addirittura dannosi, i contatti tra civiltà (l’espansione dell’universo sarebbe una precauzione presa dai Giocatori). Lem è meticoloso nel tessere un complesso ed elegante intreccio di ipotesi e considerazioni filosofiche che contribuiscono a rendere realistico e sinistramente plausibile il suo scenario cosmico. Per questo aspetto La nuova cosmogonia è paragonabile alle opere di quegli autori, come il teologo inglese del diciottesimo secolo William Paley, che hanno tentato di dimostrare l’esistenza di un Essere Superiore con dati e metodi scientifici.
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