François Jacob e le sue “diverse identità”
Ebreo di nascita ma ateo per volontà, soldato per necessità e scienziato per passione: il vincitore del premio Nobel per la medicina nel 1965 François Jacob percorre la sua vita “interpretando” molteplici personaggi, ognuno demiurgo della sua personalità
«Più che come una continuità, vedo la mia vita come un susseguirsi di personaggi diversi, direi quasi estranei uno dall’altro. […] Faccio un po’ fatica a immaginare che, al nome di François Jacob, tutti quei personaggi abbiano potuto alzarsi come un sol uomo a rispondere: presente!». Poco dopo il suo bar mitzvah, momento in cui viene raggiunta la maturità spirituale per la religione ebraica, François Jacob compì la sua prima metamorfosi: “chiuse” la Torah, la Bibbia ebraica, e si “proclamò” ateo. Aveva soltanto 13 anni.
Di origine francese, Jacob nacque nel 1920 a Nancy, una cittadina francese situata nella regione della Lorena. Andò a scuola al liceo “Carnot” di Parigi fino alla maturità e poi iniziò gli studi di medicina per poter diventare chirurgo. Jacob fu spinto non da una vera e propria vocazione alla medicina, ma piuttosto da un suo modesto interesse misto a una forte ammirazione nei confronti di suo zio Henri che esercitava questa professione.
Gli anni che seguirono furono molto difficili per Jacob: morì la madre alla quale era fortemente legato e scoppiò la guerra. Preso da un forte amore per la sua terra, che ormai per metà era stata invasa dalla Germania di Hitler, all’età di 20 anni partì con il suo amico d’infanzia Roger. Seguirono in Inghilterra il movimento “France libre” (Francia libera) diretto dal generale Charles De Gaulle che si trovava alla guida del governo francese in esilio. Essendoci “carestia di medici”, seppur Jacob fosse ancora uno studente di medicina, dovette dividere le sue giornate tra l’addestramento militare e quello ospedaliero, maneggiando il fucile o vaccinando le nuove reclute.
Negli anni successivi fu diviso dal suo compagno e dall’Inghilterra fu inviato a combattere in vari stati africani: Senegal, Repubblica del Congo, Gabon, Ciad, Libia, Marocco, Algeria e Tunisia. Fu davvero un viaggio odisseico: rischiò di morire più volte e il pericolo maggiore fu in Tunisia quando si trovò a pochi passi da un tedesco. Disarmato, Jacob non aveva alcuna speranza di uscirne vivo ma fu inaspettatamente risparmiato.
«Perché ha lasciato che gli sfilassi dinanzi senza far niente? Ormai sono più di quarant’anni che mi pongo questa domanda. Non avrò mai una risposta». Poté tornare in Francia solo quattro anni dopo, su una barella a causa delle ferite riportate in guerra. Riprese gli studi di medicina “in compagnia delle stampelle” e del suo amico Yves con il quale realizzò un servizio sui nazisti rifugiati in Austria. Conobbe Lise, la sua futura moglie, a un concerto. Con lei ebbe quattro figli, due maschi e due femmine, l’ultima delle quali ebbe il nome del suo primo amore, Odile.
Poi il salto verso la ricerca biologica e la genetica in particolare. La sua volontà era quella di schierarsi contro la teoria rivoluzionaria del sovietico Lysenko che aveva portato al disconoscimento di questa disciplina nel proprio paese, l’URSS. A trent’anni prese la seconda laurea, in biologia, e vinse la borsa di ricerca presso l’Istituto Pasteur di Parigi, riuscendo ad accedere al laboratorio di André Lwoff per studiare “l’induzione del profago” e capire come avvenisse la riattivazione del virus nei batteri. Dedicò diversi anni a questo tema, ottenendo nel ’54 il dottorato di ricerca in scienze naturali presso la Sorbona di Parigi. Nel ’57, Jacob iniziò a collaborare con Jacques Monod, allora direttore del Dipartimento di Biochimica cellulare, sul metabolismo del lattosio nel batterio Escherichia coli. La loro intuizione fu quella di individuare la presenza di interruttori molecolari in grado di dialogare con il DNA al fine di “accendere” o meno i relativi geni nei meccanismi regolativi che orchestrano la cellula batterica.
Nel 1962 l’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia gli conferì il Premio Charles Leopold Mayer per il suo impegno nella biologia cellulare e molecolare e nel 1965 Jacob, insieme a Lwoff e Monod, ottenne il premio Nobel per la medicina per aver definito i modelli della regolazione cellulare, smascherando finalmente la simultanea regolazione dei geni batterici (modello dell’operone).
Divenne capodipartimento dell’Istituto Pasteur e professore di genetica cellulare al Collège de France e scrisse numerosi libri tra i quali “La logica del vivente” (1971), “Evoluzione e bricolage” (1978), “Il gioco dei possibili” (1983), vincendo nel 1994 il Premio Lewis Thomas per gli scrittori scientifici. Sua anche l’autobiografia “La statua interiore” (1988), dove Jacob ripercorse con spirito riflessivo tutta la sua vita che si concluse nel 2013, all’età di ben 92 anni.
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