Genio e sregolatezza, un binomio da Nobel

Genio e sregolatezza, un binomio da Nobel

«Il genio? Pazzia con metodo». Così lo scrittore Frank Herbert ha descritto questo binomio, tanto sfruttato da diventare un luogo comune e tuttavia fondato su numerosi esempi illustri.

Riguardo al legame genio-sregolatezza nelle scienze, il matematico Piergiorgio Odifreddi sostiene che «forse lo scienziato viene percepito come un matto semplicemente perché non lavora solo in orario d’ufficio, e non usa la ragione solo a ore o a giorni alterni». In realtà, anche nelle vite di alcuni premi Nobel l’espressione del genio si è spesso accompagnata ad alcune stramberie, qui elencate senza la pretesa di esaurire l’argomento.

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A chi sarà ispirato il personaggio di Doc. Brown in “Ritorno al futuro”? Credits: Backtothefuture

Nella categoria “eccentrici ma non troppo” potrebbero rientrare Rita Levi Montalcini, coscienziosa in laboratorio ma spericolata al volante, Albert Einstein, che con la sua capigliatura scarmigliata e il vestire trascurato lanciò lo stile “scienziato pazzo”, e che si dice raccogliesse per strada mozziconi di sigaretta per farne tabacco da pipa. Ma anche James Watson premiato nel 1962 per aver scoperto la struttura del DNA e altrettanto noto per le sue dichiarazioni politicamente scorrette. Oppure il Nobel per la medicina nel 1912 Alexis Carrel, che scoprì la religione dopo aver assistito a ben due miracolose guarigioni ad opera della Vergine Maria durante i suoi due viaggi a Lourdes, ma la cui carriera non ne trasse beneficio.

Proseguendo sul filone della spiritualità, come dimenticare Lord Rayleigh e Joseph Thomson (rispettivamente premiati nel 1904 per aver scoperto l’argon e nel 1906 per l’elettrone), che sostennero le ragioni del medium americano Henry Slade, accusato di truffa per i suoi tentativi di giustificare scientificamente la pratica delle sedute spiritiche. Roba del secolo scorso? No, anche ai giorni nostri un Nobel per la fisica sostiene la parapsicologia. Brian Josephson è stato premiato nel 1973, ma da tempo ormai i suoi interessi riguardano il misticismo orientale, la telepatia e la telecinesi, più che l’effetto quanto-meccanico.

Una menzione a parte merita Kary Mullis, Nobel per la chimica nel 1993, considerato un “imbarazzo” per la comunità scientifica. Già il titolo della sua autobiografia, Ballando nudi nel campo della mente, la dice lunga sulla vita di questo scienziato, segnata da incontri con gli alieni (che lo avrebbero rapito presentandosi sotto forma di procioni parlanti), viaggi astrali e sensoriali a base di allucinogeni autoprodotti in garage. Fortunatamente Mullis è nato troppo tardi per poter subire l’invenzione di un altro Nobel che ha vissuto nella follia, pensando però di poterla operare: Egas Moniz, l’inventore della lobotomia. La sua tecnica fu adottata per almeno due decenni per il trattamento dei disturbi psichici (prima dell’avvento dei farmaci), ed egli stesso la praticò fino al 1949, quando un suo paziente gli sparò rendendolo paraplegico.

http://blogs.nature.com/houseofwisdom/2013/02/zewail-city-to-start-receiving-university-applications-from-students.html

Zewail City of Science and Technology. L’università ha aperto i battenti nel 2013. Credits: blog.nature.com

Esiste poi un’altra categoria di scienziati un po’ particolari, descritta da uno studio canadese: quelli affetti da “nobelite”. Questo disturbo sembra manifestarsi con eccessi di megalomania e delirio di onnipotenza esteso anche a materie estranee a quella di competenza, e insorge solitamente dopo l’assegnazione del premio Nobel. Ne è stato esempio da manuale Linus Pauling, premiato per la chimica nel 1954 e per la pace nel 1962, che dichiarò di poter curare il cancro con dosi massicce di vitamina C: a sua discolpa bisogna riconoscere che anche l’ego più umile si sarebbe gonfiato davanti al bagliore di due medaglie. Quanto a sintomi della nobelite non scherza neanche Ahmed Zewail, che, dopo il Nobel per la chimica nel 1999, ha pensato di costruire in Egitto una città della scienza intitolata a se stesso.

Sembra quindi che alcuni Nobel siano solo un po’ strambi, o che siano impazziti dopo aver guadagnato la fama, mentre l’ultimo di questa lista ha sopportato davvero il peso di gravi disturbi psichici e l’internamento in cliniche psichiatriche. John Nash, scomparso il 23 maggio, ha lottato per vent’anni contro la schizofrenia riuscendo alla fine a riprendersi il posto che meritava tra i grandi della scienza, insieme alle altre “beautiful minds”.