Inarea Ifo
di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso
L’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) fondato nel 1933 con sede a Roma, dal 1939 è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) monotematico per l’oncologia con l’obiettivo di prevenire, diagnosticare e curare i tumori attraverso attività di formazione, ricerca e clinica. L’IRE è gestito dal soggetto giuridico Istituti Ospedalieri Fisioterapici (IFO) il quale guida anche l’IRCCS Istituto Dermatologico San Gallicano monotematico in dermatologia.Abbiamo chiesto a Gennaro Ciliberto, il Direttore Scientifico del Regina Elena, di parlarci dell’istituto e delle sue attività di ricerca.
Cosa vuol dire essere direttore scientifico del Regina Elena?
Non è un compito facile perché è un istituto grande, molto articolato e con tante attività. La responsabilità principale è quella di fare in modo che i ricercatori interagiscano molto tra di loro e vengano facilitati nella possibilità di assicurarsi finanziamenti competitivi per la ricerca, cioè i grant. Per questo molta parte del mio tempo è dedicata a potenziare il grant office che sta a fianco dei ricercatori e a stimolare quest’ultimi ad applicare per i grant. Nell’altra parte del mio tempo coordino le attività delle sperimentazioni cliniche. Mi spiego, qua si fanno tante sperimentazioni cliniche e queste possono essere divise in profit e no-profit. Le prime sono sponsorizzate dalle industrie farmaceutiche, le seconde sono originate da noi stessi o da altri istituti e possono essere monocentriche, cioè che coinvolgono solo noi, oppure multicentriche ovvero che prevedono la collaborazione con altri istituti. Queste attività, quindi, devono essere seguite molto attentamente, ci devono essere dei data manager che rendicontano i pazienti che vengono arruolati negli studi e le pubblicazioni. Il fine ultimo è di pubblicare molto e soprattutto di pubblicare bene su riviste scientifiche internazionali di rilievo.
Il Regina Elena conta 400 pubblicazioni all’anno e 3 mila punti di impact factor.
Se volessimo darci dei numeri, quanti grant o pubblicazioni sono prodotte dal Regina Elena?
Innanzitutto, parliamo di produttività scientifica che molto spesso viene definita nel numero delle pubblicazioni e nella quantità di impact factor. Il nostro istituto pubblica, o come comunicatore della pubblicazione o come collaboratore, circa 400 pubblicazioni all’anno. Di queste, almeno 100/120 sono proprietarie, in cui siamo noi a sottomettere il lavoro. Per quanto riguarda l’impact factor raggiungiamo il valore di circa tremila punti. Dobbiamo spingere ad avere anche pubblicazioni su giornali di alto fattore di impatto e questo si può ottenere soltanto creando dei grossi gruppi di lavoro e portando avanti progetti innovativi. Qui, ad esempio, abbiamo un forte gruppo di sequenziamento del genoma, per questo tutta la parte “omica” è molto sviluppata, e di informatica in supporto all’analisi dei dati. Queste cose ci permettono di fare un salto qualitativo importante nelle pubblicazioni e quindi di pubblicare bene e tanto.
Come si concretizza il rapporto tra il ricercatore e la clinica?
Il fatto di avere nello stesso edificio clinici, chirurghi, radiologi, anatomopatologi e così via insieme con i ricercatori, e quindi avere la possibilità di creare gruppi di ricerca multidisciplinari, è la caratteristica principale di un IRCCS come questo. Noi abbiamo gruppi di ricerca traslazionali in cui ci sono varie competenze che siedono al tavolo per concepire e portare avanti studi di elevata complessità. Il vantaggio è che un ricercatore che può assicurarsi la collaborazione di un chirurgo ha a disposizione molti campioni su cui poter studiare le caratteristiche molecolari di una malattia, ad esempio oncologica. Chiaramente, è fondamentale il supporto di una biobanca dove conservare, a lungo e in maniera certificata, i campioni, sia tumorali che le biopsie liquide, dei pazienti.
Quindi è come una piccola città dove tutti si parlano. Mi sembra un modello quasi americano, giusto?
Esatto. Il compito del direttore scientifico è anche quello di governare il traffico nel bene e nel male. Perché, come nel traffico vero e proprio ogni tanto succede che qualche automobilista si lamenti perché un pedone attraversa la strada, anche qua possono avvenire attraversamenti di strada non attesi. La bellezza è proprio quella di interagire con diverse competenze e di potere mettere a frutto questo.
Abbiamo gruppi di ricerca traslazionali in cui ci sono varie competenze che siedono al tavolo per concepire e portare avanti studi di elevata complessità.
Ci può parlare del suo percorso scientifico?
Diciamo che ho fatto tanto. Nella prima fase della mia carriera sono stato parecchi anni in Germania, in un laboratorio dove si faceva ricerca di base. Questo mi ha permesso di ritornare in Italia, di intraprendere la carriera universitaria e di diventare professore ordinario. Poi ho avuto l’opportunità di lavorare per circa vent’anni per un’industria farmaceutica, l’IRBM di Pomezia. Lì ho svolto un’attività di ricerca che mirava alla scoperta dei meccanismi di malattia e quindi allo sviluppo di farmaci che potessero curare queste malattie. Finita questa esperienza, mi si è data l’opportunità di lavorare presso gli IRCCS. Prima a Napoli all’Istituto Nazionale Tumori Pascale, per circa cinque anni, e poi al Regina Elena dove lavoro da circa sei anni. Per me queste ultime due esperienze sono la sintesi di quello che ho fatto precedentemente perché lavoro in un posto dove si può combinare la ricerca con l’attività e le sperimentazioni cliniche, un posto di questo genere è la grande realizzazione come ricercatore. Forse l’esperienza più esaltante qui è quella di avere messo su, tra i primi in Italia, un gruppo di lavoro multidisciplinare: il Molecular tumor board che è deputato a cercare delle mutazioni nei tumori dei pazienti oncologici avanzati che possono essere oggetto di terapie farmacologiche. Questo permette di intervenire in una fase molto avanzata della malattia, quando le terapie approvate non hanno più nessuna efficacia e di trovare un’ultima speranza, o più di una speranza per i pazienti oncologici. Questa attività va avanti da circa quattro anni e mi dà molta soddisfazione.
Che differenza c’è tra un medico ricercatore e un biologo ricercatore?
La differenza è la diversa esposizione durante il corso di laurea alle diverse materie. Il biologo ha un approfondimento di alcuni argomenti di base che il medico non ha. Per esempio, un biologo studia meglio la genetica, la chimica e la fisica di uno che fa un corso di medicina. Invece medicina dà una visione sulle malattie e quindi ha un quadro globale. Ad esempio, io non mi sono specializzato, però ricordo tantissime cose di quelle che ho studiato durante il corso di medicina e quindi ho acquisito anche la capacità di comprendere la malattia, oltre che la conoscenza di base dei meccanismi. Le cose che non ho approfondito durante il corso di laurea le ho approfondite dopo facendo ricerca di base.
Che consiglio darebbe ad un giovane che vuole fare ricerca?
Di non rimanere nello stesso posto nel quale si è laureato o nel quale ha fatto il dottorato. Un giovane deve muoversi e fare esperienze, possibilmente all’estero. Quindi gli direi di farsi almeno due o tre anni fuori e poi di ritornare. Credo infatti che svolgere la propria attività in un solo posto non dà quel quadro ampio che si ha nel momento in cui si fa esperienza in ambienti diversi.
Ci impegniamo a fornire una cura a 360 gradi del paziente che non significa soltanto garantire la terapia migliore ma anche prendersi cura del paziente e stargli vicino con una serie di attività come la psico-oncologia e la medicina narrativa.
Come descrive il rapporto medico-paziente all’IFO?
Ha una grande importanza, è ben organizzato ed è in continua evoluzione perché ascoltiamo la voce dei pazienti, delle associazioni di volontari, degli ex pazienti oncologici e così via. Purtroppo, molto spesso succede che il personale è poco e che i medici sono sottoposti a una pressione notevole per cui talvolta un paziente si può sentire non soddisfatto. Però noi ce la mettiamo tutta anche perché siamo parte di una rete internazionale di istituti oncologici europea che pone la centralità del paziente come un punto fondante. Questa centralità la realizziamo in tanti modi. Ad esempio, attraverso il corpo infermieristico che in questo istituto è veramente di altissimo livello. Ci impegniamo a fornire una cura a 360 gradi del paziente che non significa soltanto garantire la terapia migliore, ma anche prendersi cura del paziente e stargli vicino con una serie di attività quali la psico-oncologia e la medicina narrativa che sono state introdotte da qualche decennio ma che tendono a prendere sempre più importanza nella gestione completa del paziente a 360 gradi.
Se dovesse dire dove sarà domani l’IFO?
Io spero che sia sempre all’avanguardia. Per esserlo ci vuole una partecipazione da parte di tutti. Bisogna crederci e sentirsi parte di un gruppo. Serve però avere anche il supporto delle autorità regionali e nazionali. Innanzitutto, si deve sperare che questo momento favorevole dei finanziamenti che investe tutta l’Italia, grazie anche al Pnrr, possa non essere episodico e continuare nel tempo. Poi di avere nei decisori regionali un occhio di riguardo per un’istituzione come la nostra.
Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico dell’IRCCS Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e Professore Ordinario di Biologia Molecolare presso l’Università degli Studi di Catanzaro “Magna Graecia”.
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