Il ballerino nudo
di Beniamino Trombetta
Che cosa hanno in comune gli esonerati dalla pena di morte negli U.S.A. e i portatori asintomatici del SARS-CoV-2?
Apparentemente nulla (a parte che appartengono tutti alla stessa specie: Homo sapiens), ma, riflettendo attentamente, forse un collegamento tra questi elementi può essere individuato. Il legame dipende da un singolo individuo, la cui scoperta ha reso possibile sia dichiarare innocenti individui, ormai condannati, che conoscere la percentuale esatta degli infettati da coronavirus. Non si tratta di un attivista che ha lottato per i diritti dei condannati segregati nei bracci della morte, né di un medico che si è attivamente prodigato in questo stravagante anno di pandemia, si tratta, bensì, di un brillante, eccentrico e controverso biochimico: californiano di adozione, surfista, credente nell’astrologia, utilizzatore di LSD, e fondatore dell’era genomica.
Il suo nome era Kary Banks Mullis: grazie alla sua scoperta si è inaugurata una nuova era nella ricerca biologica e per questo fu insignito del premio Nobel per la Chimica nel 1993.
Kary nacque nel 1944, nella Carolina del Nord, e, fin da piccolo, mostrò un interesse, quasi ossessivo, per la scienza: “Per me la scienza è stata sempre un gioco”, diceva. Il suo fu un ruolo da protagonista grazie ad un’intuizione tanto sconvolgente da lasciare tutti a bocca aperta per la sua semplicità, ma tanto rivoluzionaria da modificare per sempre il modo di fare scienza.
Erano gli anni ‘80: Kary lavorava per la Cetus Corporation, un’impresa di biotecnologie che si occupava rifornire i laboratori di ricerca. Non aveva particolari aspirazioni, lavorava e passava gran parte del suo tempo a fare surf con la sua compagna. Aveva però una passione, la chimica del DNA, il “BIG ONE”, come lo chiamava lui, ed un rispetto quasi religioso nei confronti di questa molecola. Il rispetto nasceva dal fatto che il DNA è il materiale ereditario, viene passato in modo quasi immutato dai genitori ai figli, è presente in tutte le cellule del nostro corpo e contiene tutte le informazioni necessarie per costruire un essere vivente così come lo osserviamo. Analizzando il DNA di un essere umano, possiamo capire se è maschio o femmina, il colore degli occhi o dei capelli, la sua dieta, eventuali patologie, se è imparentato con qualcuno ed oggi siamo anche in grado di stabilire, con una notevole precisione, l’età della persona, la sua altezza o da quale regione del mondo proviene.
Per ottenere tutte queste informazioni, bisogna effettuare delle opportune analisi sul DNA, che, essendo una molecola molto piccola, non sono immediate. Il problema è proprio questo. Un problema di dimensioni e quantità. Per poter fare analisi che diano un risultato significativo è necessario avere grandi quantità di DNA, proveniente dallo stesso campione. Se questa quantità risulta essere inferiore ad un certo limite, diventa impossibile analizzarlo. Mullis risolse il problema delle quantità teorizzando e, poi, sperimentando una nuova reazione del DNA: la reazione a catena della polimerasi, nota agli addetti ai lavori con il nome di PCR.
Questa reazione chimica è divisa in successivi passaggi identici, l’unica differenza è che ad ogni passaggio (chiamato ciclo) il DNA presente nel brodo di reazione si duplica generando due molecole identiche tra loro ed alla molecola di partenza. Ripetendo diversi cicli in serie si ottiene un’amplificazione esponenziale del DNA, e anche partendo da una singola molecola (quantità insufficiente per fare qualsiasi analisi nell’era pre-PCR) dopo circa 32 cicli di reazione (che impiegano poco più di due ore) il brodo di reazione risulta arricchito di più di 2 miliardi di molecole identiche alla molecola “madre”. Il processo chimico ideato era di una semplicità tale da lasciare tutti increduli, tanto che Joshua Lederberg, già premio Nobel per la medicina, commentò: “funziona davvero? È incredibile che non ci abbia pensato io!
L’idea della PCR gli venne nel 1983, in quello che lui stesso definì il suo “golden week-end”, solo perché lo passò interamente a fare surf sulle spiagge del Pacifico. E tornando da quel fine settimana aveva tutto quello che gli serviva per poter riflettere, “…una macchina nuova, il serbatoio pieno, un paio di scarpe comode e la donna che amava che dormiva al suo fianco” così, guidando, senza preoccupazioni, il pensiero era libero di volare ovunque: le molecole di DNA cominciarono a separarsi e a moltiplicarsi nella sua testa e, nel giro di poco tempo, all’altezza della pietra miliare 46 sulla California State Route 128, ebbe l’illuminazione e capì che aveva risolto il più grande problema della chimica del DNA: quello della quantità. Stava per affacciarsi una nuova era nella ricerca biologica, l’era della PCR.
Dall’idea alla realizzazione pratica ci impiegò parecchio tempo, in cui provò e riprovò a far avvenire, invano, la reazione. Questa è la più grande frustrazione per uno scienziato, ma se si è convinti delle proprie idee e non si abbandona, spesso si ottengono i risultati. Dopo un anno di tentativi riuscì ad amplificare un piccolo pezzettino di DNA a partire da una minima quantità. Capì l’importanza della sua scoperta, capì il suo potenziale e capì da subito che molto probabilmente avrebbe vinto il premio Nobel, ma trovò un ostacolo enorme: la comunità scientifica di allora, che lo conosceva come scienziato stravagante e non gli credette, tanto che non riuscì mai a pubblicare l’articolo che descrive la PCR.
Nonostante ciò, il sistema funzionava: la PCR fu brevettata nel 1985 e nello stesso anno fu usata per clonare in vitro il primo gene. Nel 1989 lo stesso Mullis riesce ad ottimizzare la reazione rendendola ancora più rapida e l’anno successivo fu invitato dal governo degli Stati Uniti d’America a non pubblicare nulla riguardo la PCR senza la supervisione del governo stesso. Lui, con il suo fare polemico e irriverente, rispose con una lettera in cui si spiegavano dettagliatamente le differenze tra la PCR ed una bomba atomica.
Nel 1993 arrivò il Nobel, prima della consegna fu contattato dalla fondazione e gli fu chiesto, nel discorso che avrebbe dovuto tenere, di non parlare del suo uso di LSD. Mullis, che poco prima di presenziare alla cerimonia fu arrestato dalla polizia svedese, si limitò a ringraziare la fondazione per avergli conferito il premio così giovane, ad un’età in cui poteva finalmente dedicarsi a ciò che amava di più: il surf.
La PCR ha però dei limiti: quelli del pensiero umano. La grandezza di questa scoperta sta nella sua applicabilità, subito fu utilizzata in tutto il mondo per risolvere problemi allora irrisolvibili. Nel 1993, grazie all’uso della PCR si è ottenuto il primo esonero dalla pena di morte basato sul DNA, quello di Kirk Bloodsworth, condannato nel 1985 per lo stupro e l’omicidio di una bambina. La condanna si basava sulla testimonianza di cinque testimoni oculari e il DNA trovato era in quantità troppo piccole per poter essere analizzato. L’uso della PCR dimostrò l’innocenza del soldato e la fallibilità delle testimonianze. In seguito a questo evento centinaia di uomini innocenti condannati a morte negli U.S.A. sono stati esonerati e liberati negli ultimi anni. La reazione di Mullis è stata utilizzata anche nei test diagnostici per la conferma dell’infezione da COVID-19. Se è presente una piccola quantità del genoma del Virus questo viene amplificato e dà un risultato misurabile, altrimenti no. In questo modo è stato possibile quantificare i contagi di quella che probabilmente sarà la più drammatica pandemia di questo secolo.
La storia di Kary ci insegna due cose fondamentali: tutti, con qualsiasi idea, qualsiasi passione e qualsiasi ideale possono fare scienza e contribuire alla sua evoluzione (lo stesso Newton era un pazzoide antisociale che minacciò la madre di bruciargli casa); ma, cosa ancora più fondamentale, ci insegna a non mollare, a credere in se stessi e a combattere contro le correnti ideologiche del proprio tempo.
Immagine in evidenza: Ricercatore intento nel caricare all’interno di una macchina PCR i campioni da analizzare.
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