Il Nobel per la letteratura del ’65 e il caso Šolochov: tutti i retroscena dagli archivi di Stoccolma
Il “gran rifiuto” di Sartre, la rosa degli “illustri perdenti”, l’impopolarità della letteratura sovietica: risvolti seri e semiseri di un’annata ricca di curiosità
Come da statuto della Nobel Foundation, allo scadere del tradizionale riserbo dei cinquant’anni, anche quest’anno in gennaio l’Accademia reale svedese ha rivelato i candidati al premio Nobel per la letteratura del 1965, conferito allo scrittore russo Michail Aleksandrovič Šolochov per il romanzo Il placido Don.
È dagli inizi del XX secolo che l’assegnazione del Nobel per la letteratura scatena discussioni animate e le sue candidature catalizzano le attenzioni del mondo. Ma è particolarmente ricca di aneddoti e curiosità l’assegnazione a Šolochov, cui è direttamente correlato il famoso “gran rifiuto” di Jean-Paul Sartre dell’anno prima.
Nel ’64, lo scrittore e filosofo francese “strappò” infatti il Nobel per la letteratura allo scrittore russo, ma non accettò il riconoscimento. Andò così: Sartre, indicato come possibile vincitore già in precedenza, nel 1964 fu scelto in una rosa di settantasei candidati. Quell’anno ebbe notizia dell’assegnazione del Nobel qualche giorno dopo il 17 settembre, data in cui i membri dell’Accademia Svedese votarono a maggioranza il suo nome, ma solo il 14 ottobre il pensatore esistenzialista spedì a Stoccolma la lettera in cui dichiarava di non accettare il Nobel. Un rifiuto clamoroso. La lettera arrivò successivamente al 22 ottobre, giorno in cui fu annunciato ufficialmente il nome di Sartre come vincitore. A distanza di oltre cinquant’anni dalla vicenda, alla rimozione del segreto d’ufficio sulle carte d’archivio, il quotidiano svedese “Svenska Dagbladet” ha poi rivelato al mondo il retroscena: se la lettera di Sartre fosse arrivata prima del 22 ottobre, il premiato del ’64 sarebbe stato un altro, e con ogni probabilità Michail Šolochov che, dunque, avrebbe ricevuto il prestigioso riconoscimento con un anno di anticipo.
Dall’elenco del ’65 si apprende, inoltre, che la rosa dei candidati fu quell’anno particolarmente ricca di nomi conosciuti – Pablo Neruda, Ezra Pound, Samuel Beckett, Jorge Luis Borges e gli italiani Alberto Moravia e Giuseppe Ungaretti, tra i tanti – e fra questi, alcuni “illustri perdenti” che il Nobel non lo vinsero mai: Vladimir Nabokov, W.H. Auden, e lo stesso Borges. E proprio di quest’ultimo, secondo Colm Tóibín della London Review of Books, è nota la delusione per la protratta esclusione: la possibilità di vincere il premio avrebbe tormentato a lungo lo scrittore, con i giornalisti appostati fuori la porta di casa per raccontare al mondo, anno dopo anno, il suo rammarico sui giornali.
Michail Šolochov, il candidato con il maggior numero di sostenitori (ben dieci proponenti, in maggioranza accademici sovietici) si aggiudicò infine il premio, un traguardo raro nella lunga corsa a ostacoli della letteratura sovietica al Nobel.
Benché la letteratura russa della fine del XIX secolo fosse considerata tra le migliori d’Europa, nessuno scrittore russo si aggiudicò infatti il Nobel prima del 1933, quando il premio andò a Ivan Bunin. Tra i letterati che il Comitato trascurò di considerare, Anton Cechov fu certamente fra gli scrittori di maggior successo sia in Russia che in Europa. La candidatura di Dmitri Merezhkovsky, scrittore e filosofo religioso, fu proposta ben otto volte a partire dal 1914 ma solo nel 1937 gli esperti del Comitato formalizzarono un rifiuto definitivo. Maxim Gorky rientrò nella rosa dei finalisti nel 1923, 1928 e nel 1930, ma fu in seguito accusato di “servire il bolscevismo”. Pertanto, diverse figure che avrebbero potuto a ragione ambire al premio furono formalmente escluse dal Comitato in quanto autori di opere “che non si addicono al contesto del Nobel”, si lesse. È famosa poi la rinuncia del ’58 di Boris Pasternak per il suo Dottor Živago, a causa degli attacchi di cui fu vittima nell’Urss, e anche Andrei Voznesensky, che godeva di popolarità presso l’Unione Sovietica e il pubblico, fu considerato tra i papabili ma non fu mai premiato. La premiazione di Šolochov fu dunque la prima e unica volta in cui il Comitato scelse con il beneplacito della leadership sovietica.
E per finire, nel tempo la critica letteraria ha nel tempo avanzato dubbi sulla paternità dell’opera Il Placido Don. Può uno scrittore così giovane aver composto un romanzo tanto articolato, l’unico della sua vasta produzione? Come può un comunista conformista come Šolochov aver raccontato così bene la guerra civile anche dal punto di vista antisovietico? In definitiva, fu davvero Šolochov l’autore del romanzo? Come Aleksandr Solgenitsin ricorda, a parer di molti lo scrittore sarebbe venuto in possesso di un romanzo incompiuto di un certo Fiodor Kriukov (un cosacco morto di tifo nel 1920 a cinquant’anni) e lo avrebbe utilizzato come base per la sua produzione.
Alfred Nobel nel suo testamento scrisse che il premio per la letteratura sarebbe dovuto andare all’autore “che avrà prodotto nel campo della letteratura l’opera più eccezionale in senso ideale…”; queste parole sancirono l’inizio di una lunga tradizione idealmente priva di vincoli col contesto politico. Ma nel tempo è stato davvero così?
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