Il tempo che ci vuole
Il concetto di morte nel Nord e nel Sud d’Europa
di Siria Di Maria, Antonio Ruggiero e Sofia Tamborra
Ci siamo fatti raccontare da Francesco de Ceglia quanto possano essere eterogenee le reazioni umane nei confronti della morte, e quante differenze, a tal proposito, ci sono tra le popolazioni europee del Nord e del Sud
“Ricordati che devi morire”, ammonisce Savonarola a Mario, interpretato da Massimo Troisi, nel film Non ci resta che piangere. È una verità ineluttabile. Tuttavia, se da una parte, fisiologicamente, la morte è identica per tutti, dall’altra, la reazione dell’umanità a questo evento è tanto plurale quanto la varietà delle culture. Danze, lamenti funebri, pianti rituali, canti, discorsi, tutte azioni finalizzate ad onorare e celebrare la persona defunta. Ma in che istante avviene la morte? Ce lo racconta Francesco de Ceglia, Professore di Storia della Scienza all’Università di Bari. Il docente incentra la sua analisi sul confronto tra la visione del Sud e quella del Nord Europa. Difatti, in questi due poli geografici si sono sviluppate, nel corso dei secoli, percezioni totalmente contrastanti: un corpo considerato morto da alcuni, per altri poteva contenere ancora in sé la vita.
L’idea della morte e della scienza nel Sud e Nord Europa
La concezione della morte nell’Europa meridionale nasce anche dalla cultura giudaico-cristiana, ma è figlia soprattutto della temperatura nella quale la cultura è immersa. Gesù fu seppellito il giorno stesso della sua morte, il Venerdì Santo, non soltanto perché il giorno seguente sarebbe stato lo shabbat, ma anche perché con quelle temperature il corpo si sarebbe decomposto facilmente. Pertanto, per tradizione ebraica, il corpo va sepolto il giorno stesso del decesso biologico, e di conseguenza la percezione della morte è immediata. Nell’Europa prettamente mediterranea, il discorso è analogo: le condizioni climatiche non sono così diverse dalla Palestina storica, motivo per cui, anche noi oggi, abbiamo la concezione di un corpo che si decompone velocemente e, altrettanto velocemente, pensiamo che avvenga la morte. Questa visione è stata successivamente canonizzata dalla Chiesa cattolica, che introduce l’idea di exitus, ovvero la fuoriuscita dell’anima dal corpo. Il distacco è netto: non appena l’anima esce dal corpo, quest’ultimo perde la vita. D’altra parte, l’Europa settentrionale è tipicamente caratterizzata da un clima molto rigido, freddo e austero. A tali latitudini il suolo è gelato per 10 mesi l’anno.
“Nell’Europa meridionale e in quella prettamente mediterranea, ancora oggi abbiamo la concezione di un corpo che si decompone velocemente e, altrettanto velocemente, pensiamo che avvenga la morte”
Più si sale verso il polo, più l’alternanza delle stagioni è compromessa: il giorno tende a coincidere con l’estate, mentre la notte con l’inverno. Nelle culture scandinavo-germaniche, prima che il cristianesimo venisse diffuso, i corpi dei defunti venivano bruciati, dato che seppellirli era impossibile a causa della durezza del terreno. Con l’avvento del cristianesimo, invece, il corpo del defunto veniva ricoperto con delle pietre e lasciato in loco, in attesa che il suolo scongelasse e ne permettesse la sepoltura. Proprio tale contesto ha creato un immaginario opposto all’exitus istantaneo, ovvero un processo diluito nel tempo. La morte biologica di un corpo, secondo questa concezione, può paradossalmente coesistere con la vita: i morti conservano una insita “forza vitale” che gradualmente si spegneva.
Il ruolo della natura
Il Professor De Ceglia, nella sua volontà di raccontare quello che gli antichi autori di testi storici della medicina non dicono nei loro libri, rivela come anche il ruolo della natura vari in base alla geografia. Nell’Europa mediterranea, cattolica, la natura conserva un comportamento comprensibile perché inserito nel contesto del panorama religioso, descrivibile attraverso il processo scientifico. Tuttavia, nei casi in cui l’azione della natura non seguiva il normale corso causa-effetto, ciò poteva essere spiegato mediante l’intercessione dei Santi che operavano dei miracoli. Nell’Europa protestante, meno permeabile nei confronti della tradizione cattolica e dove l’Inquisizione non ha avuto il suo corso, la natura, essendo dotata di un’intelligenza insita, assume un ruolo molto più preponderante sostituendosi a Dio.
La fede protestante non riconosceva la presenza dei Santi, quello che per i cattolici era inteso come un miracolo in questo caso era invece espressione della natura stessa. Tale forza insita, era capace di agire ed alterare il normale corso della realtà. Questa concezione scaturiva dal forte contrasto tra notte/inverno e luce/estate. Durante l’inverno, la natura diventa immobile, ferma, dura e, quindi, più vicina al concetto di morte. Durante l’estate, invece, si ritorna al calore, al movimento, alla vita, proprio come un risveglio dal torpore della notte. È questa sacra ciclicità che sposterà l’approccio scientifico di queste latitudini alla ricerca dell’irregolarità. Lo studio dell’armonia degli eventi naturali, d’altronde, equivarrebbe a voler spiegare Dio: sostanzialmente un atto di hybris, ossia tracotanza.
La medicina storica
De Ceglia evidenzia che i concetti di morte e natura influenzano persino la pratica terapeutica nella medicina storica. La “forza vitale” dei morti poteva essere utilizzata come medicazione. Non è così impensabile pensare che in quegli anni il mercato farmaceutico fosse attraversato da terapie stravaganti. Si credeva ad esempio che il sangue, contenente l’essenza della vita, avesse una memoria, una forza intrinseca che gli consentisse di compiere miracoli, anche a grandi distanze. Uno dei farmaci più famosi e costosi di quel momento storico era l’Unguento armario: una miscela contenente più di cento ingredienti tra cui sangue e resti di cadaveri, usata per guarire dalle ferite da armi (si applicava direttamente sull’arma invece che sulla persona ferita). Era un’epoca in cui i medici, quasi sciamani, potevano fare ben poco per curare i malati, al punto che i pazienti guarivano nonostante i medici e non grazie a loro.
Siria Di Maria, Antonio Ruggiero e Sofia Tamborra sono student* del Master La Scienza nella Pratica Giornalistica, Sapienza Università di Roma, https://web.uniroma1.it/mastersgp/
Francesco Paolo De Ceglia è docente di Storia della scienza all’Università di Bari Aldo Moro, specializzato nel pensiero scientifico moderno e nei suoi legami con la teologia e la storia culturale. Autore di articoli su riviste internazionali e di circa dieci volumi, tra cui I fari di Halle (2010) e per Einaudi Il segreto di San Gennaro (2016) e Vampyr. Storia naturale della resurrezione (2023).
Commenti recenti