Iniziato il processo ad Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991
Golpe in Birmania, iniziato in segreto il processo ad Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991 “per la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani”. Su di lei, luci e ombre.
Tutto inizia l’8 Novembre 2020. Alle elezioni, il Partito di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), riesce a conquistare più dei 322 seggi necessari per formare il governo. Per diverse settimane, però, l’esercito esprime i propri dubbi in merito, accusandola di brogli elettorali.
Proprio l’esercito, lo ricordiamo, in Birmania ha ancora un fortissimo potere dovuto alla lenta transazione democratica iniziata nel 2011. I militari, infatti, controllano circa il 25% dei seggi in Parlamento e proprio questo fattore fa sì che abbiano la possibilità di veto sulla modifica della Costituzione.
Il primo febbraio 2021, giorno in cui si sarebbe dovuto riunire il Parlamento per la prima volta dopo le elezioni, a guidare il colpo di Stato c’è Aung Hlaing, capo delle forze armate e, a oggi, alla guida del gabinetto.
Dopo diversi sospetti, Aung San Suu Kyi viene dunque tratta in arresto con diverse accuse. La prima riguarda la violazione della legge import-export, per aver importato illegalmente, secondo l’esercito, dei walkie-talkie per le sue guardie del corpo. La seconda riguarda invece la violazione della legge sui disastri naturali, Aung San Suu Kyi avrebbe interagito con le folle in piena pandemia globale. La terza riguarda la violazione della legge sui segreti di Stato.
Accuse pretestuose? Forse. Ma la donna, in ogni caso, rischia una condanna da 3 a 6 anni di detenzione. Anche il processo ha destato non pochi dubbi a livello locale e internazionale, dal momento che è iniziato totalmente in segreto: il suo avvocato non era stato avvisato e, al momento del suo arrivo, l’udienza era già finita. In occasione dell’udienza successiva, prevista il primo aprile, l’avvocato ha dichiarato di aver visto Suu Kyi tramite videoconferenza e di averla trovata “in buona salute”.
Dal primo febbraio in poi, ogni giorno la popolazione del Paese scende in piazza per manifestare contro il golpe. In moltissimi sono stati uccisi dalle violente repressioni da parte dell’esercito che, intanto, sta anche limitando le principali libertà degli individui. È stato ordinato il blocco dei provider internet per l’accesso ai principali social network, non solo per limitare la libertà di espressione e informazione, ma soprattutto per rendere più difficili le organizzazioni di cortei e proteste. Quella più famosa, la “rivolta delle pentole”, ha visto la popolazione battere sui balconi di casa stoviglie e coperchi in segno di dissidenza. Un evento che non è sfuggito all’occhio internazionale che, a più riprese, si è schierato contro i golpisti e le loro sanguinose repressioni.
Aung San Suu Kyi è simbolo di democrazia e difesa dei diritti umani nel Paese. Lei, tra le dissidenti più famose al mondo, per 30 anni ha lottato per la libertà del suo Myanmar. Suu Kyi ha infatti trascorso quasi 15 anni in carcere o agli arresti tra il 1989 e il 2010.
Un impegno da premio Nobel? Sicuramente. Ma allo stesso tempo è stata una donna molto criticata per via della questione dei Rohingya (minoranza mussulmana che viveva nello Stato di Rakhine nel sud della Birmania). La donna avrebbe infatti difeso la persecuzione della minoranza mussulmana compiuta dai militari nel 2017. L’opinione pubblica occidentale ha chiesto a più riprese che le venisse revocato il Nobel.
A oggi, gli spargimenti di sangue non sono finiti. Le proteste e le repressioni continuano senza sosta: il bilancio delle vittime è salito a 700 e Suu Kyi è ancora detenuta. Come andrà a finire?
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