Intelligenza artificiale: dimmi come scrivi e ti dirò come stai
Un recente studio, condotto dall’Università La Sapienza, propone l’analisi della scrittura attraverso l’intelligenza artificiale come metodo innovativo di monitoraggio a distanza dei pazienti neurologici
di Giulia Donatiello
La scrittura a mano rappresenta un compito cognitivo e motorio molto complesso, che deriva dall’attivazione di una rete neuronale ampiamente diffusa. Grazie alla semplicità con cui si possono raccogliere i campioni da analizzare, tramite strumenti d’uso comune, come il cellulare, l’analisi della scrittura rappresenta già da tempo un metodo largamente usato per valutare le abilità motorie nei pazienti con il morbo di Parkinson o con l’Alzheimer.
Lo studio, realizzato con la collaborazione dei dipartimenti di Ingegneria dell’informazione, elettronica e telecomunicazioni della Sapienza, dell’ircss Neuromed e del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Cincinnati in Ohio, e pubblicato sulla rivista Frontiers in Aging Neuroscience, propone un ulteriore passo avanti: l’analisi della scrittura, attraverso l’intelligenza artificiale, viene proposta come strumento per monitorare da remoto i pazienti con disturbi neurologici.
Per poter analizzare un gran numero di dati fruibili in telemedicina, i ricercatori hanno utilizzato il machine learning: una branca dell’intelligenza artificiale che si occupa di creare sistemi che migliorano le performance di un algoritmo nell’apprendimento di dati. Questo sistema ha permesso di studiare, in modo oggettivo, come cambia la scrittura al variare dell’età. In particolare, sono stati reclutati 156 soggetti sani e destrimani dall’ircss Neuromed, successivamente divisi in tre gruppi: giovani adulti (18-35 anni), adulti (36-55 anni) e adulti in età avanzata (>56anni).
Ognuno di loro ha scritto il proprio nome e cognome dieci volte consecutive su un foglio di carta e, successivamente, ha fotografato il proprio campione di scrittura e lo ha inviato ai ricercatori. Tutte le immagini ricevute, in formato PDF, sono state poi processate, utilizzando una rete neurale convoluzionale, cioè un algoritmo istruito per individuare dei “pattern” nelle immagini, utili per il riconoscimento di oggetti, volti o scene. I ricercatori hanno progettato questa rete in modo che contenesse tre blocchi: un input layer, cioè uno strato che accoglie tutti i dati in ingresso, ottenuti da ciascun campione; un pool layer, in cui avviene l’elaborazione vera e propria, e un output layer, che unisce i dati rilevati dal blocco precedente e li sfrutta per fornire l’informazione d’interesse. In questo caso, la fascia d’età del campione in studio.
I risultati hanno evidenziato che la dimensione dei caratteri diminuisce all’aumentare dell’età. Questo risultato è in linea con studi precedenti, che hanno mostrato come la progressiva riduzione delle dimensioni rifletta dei cambiamenti funzionali nelle strutture corticali che regolano la scrittura. Ulteriori considerazioni hanno portato poi a sostenere un’altra ipotesi avanzata in studi precedenti, in cui è stato evidenziato un possibile legame tra la progressiva riduzione dei caratteri in tarda età e la micrografia correlata al morbo di Parkinson. In futuro, saranno necessari ulteriori approfondimenti per chiarire un’eventuale correlazione tra riduzione dei caratteri correlata all’età, morbo di Parkinson e progressiva micrografia associata alla malattia.
Sebbene ricerche precedenti avessero già dimostrato il legame tra deterioramento della scrittura ed età avanzata, questo studio riporta, per la prima volta, come l’analisi dei dati basata sul machine learning sia utile per attribuire ogni campione di scrittura ad una specifica fascia d’età dell’autore, esaminando un semplice esempio rilevato in casa. Inoltre, questo lavoro fornisce un approccio affidabile e potenzialmente utilizzabile in futuro per individuare disturbi neurologici da remoto.
“Il nostro auspicio – conclude Francesco Asci, co-autore dello studio – è che l’analisi della scrittura da remoto e mediante algoritmi di intelligenza artificiale possa costituire in futuro un innovativo biomarker di invecchiamento, con un impatto rilevante nel campo della diagnostica di malattie neurodegenerative e in accordo con i metodi della telemedicina”
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