ipernova

Un’ipernova magneto-rotazionale svela il mistero di una delle più potenti esplosioni stellari

Studiati gli elementi pesanti in una stella primitiva esplosa 13 miliardi di anni fa, e che fanno pensare si sia trattato di un’ipernova. Parola del Nobel Brian Schmidt

Barbara Orrico

Fino a qualche anno fa, i lampi gamma rappresentavano uno dei misteri più impenetrabili dell’astrofisica moderna. Gli astronomi hanno poi potuto finalmente avere delle posizioni precise sulle quali lavorare, scoprendo che tali lampi avvengono in galassie lontane. Così lontane che la radiazione impiega miliardi di anni per raggiungerci. Tanto più lontana è la sorgente, quanto maggiore è la quantità di energia liberata. Il fenomeno più energetico noto agli astrofisici è l’esplosione di una supernova, ma per i lampi gamma una supernova normale non basta, ci vuole di più. Si parla quindi di ipernova, stella molto pesante che è nata, evoluta ed esplosa quando l’universo era molto, molto più giovane di quello odierno.

Ora è stato risolto il mistero di una delle più violente esplosioni stellari, 10 volte più potenti di una supernova, quello di una ipernova esplosa nella Via Lattea circa 13 miliardi di anni fa. Gli indizi che hanno aiutato a risolverlo si trovano nell’insolita concentrazione di elementi pesanti, come zinco e uranio, in una stella primitiva della nostra galassia. Lo indica uno studio pubblicato sulla rivista Nature, coordinato da David Yong, Gary Da Costa e Chiaki Kobayashi di Astro3D, l’Arc Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions all’Università Nazionale Australiana. Allo studio ha partecipato come coautore anche Brian Schmidt, premio Nobel per la Fisica nel 2011 per la scoperta legata all’accelerazione dell’universo attraverso lo studio delle supernove. Secondo Schmidt, l’abbondanza di zinco in questa stella antica è un chiaro indicatore di un’ipernova.

Gli autori dello studio hanno utilizzato i dati dell’Osservatorio australiano di Siding Spring e del Very Large Telescope dell’ESO (European Southern Observatory), puntando i loro strumenti verso la stella di grande massa J200322.54-114203.3, situata a 7500 anni luce da noi. A differenza della maggior parte delle stelle risalenti agli albori dell’universo, quest’ultima contiene poco ferro e quantità molto elevate di elementi più pesanti come zinco, uranio ed europio. La teoria iniziale per la quale si sarebbe formata da una fusione di stelle di neutroni è stata quindi scartata. La spiegazione esposta nel paper su Nature è quella di un evento estremamente più potente ed energetico: un’esplosione in ipernova amplificata da una rapida rotazione della stella e da un forte campo magnetico. Dopo l’incredibile scoppio, tutto il materiale stellare si fonde in una sorta di zuppa chimica in cui le particelle e gli atomi si ricombinano formando elementi sempre più pesanti.

Lo studio rafforza l’ipotesi secondo la quale le stelle antiche, formatesi nei primi momenti di vita dell’universo, attraverso esplosioni in ipernove, siano state in grado di creare tutti gli elementi chimici che costituiscono l’universo stesso, anche quelli più pesanti.

Secondo gli esperti, si tratta di una scoperta importante che si aggiunge a quella dell’inaspettata accelerazione dell’universo compiuta da Brian Schmidt assieme a Saul Perlmutter e Adam Riess. Scoperta, quest’ultima, che scosse la cosmologia, introducendo il concetto di energia oscura come possibile spiegazione all’accelerazione dell’espansione dello spaziotempo: la teoria classica dell’evoluzione dell’universo affermava che, dopo un periodo di espansione accelerata, la velocità di espansione dell’universo stesso sarebbe diminuita a causa dell’azione della gravità. Ma tra il 1998 e il 1999, Schmidt e gli altri ricercatori, osservando le supernove di classe Ia, che hanno origine dalle stelle nane bianche, fecero le prime osservazioni sperimentali sull’espansione accelerata dell’universo. In parole povere, l’universo non solo non stava rallentando, ma le galassie si allontanavano una dall’altra sempre più velocemente. Tutto questo sarebbe frutto della misteriosa “forza oscura”, una ipotetica forma di energia non direttamente rilevabile, diffusa omogeneamente nello spazio, sulla cui natura ed esistenza si conosce ancora molto poco. Per gli studiosi, maggiori indizi su di essa potrebbero arrivare dallo studio delle onde gravitazionali, perturbazioni dello spaziotempo generate da violenti fenomeni cosmici, come la collisione tra buchi neri o stelle di neutroni.

Immagine in evidenza: https://www.nysf.edu.au/