Julius Wagner-Jauregg, un Nobel “offuscato” da simpatie naziste
Figura controversa del mondo scientifico e primo psichiatra a ricevere il Nobel, Wagner-Jauregg scoprì il valore terapeutico della malaria nel trattamento della demenza paralizzante
Un valentissimo psichiatra. Il primo nella storia, addirittura, a essere stato insignito del premio Nobel per i suoi studi su malaria e demenza. Ma anche un antisemita dell’ultima ora e un sostenitore dell’eugenetica, che arrivò persino a teorizzare la tendenza degli ebrei a soffrire più degli altri di malattie mentali. E’ la storia di Julius Wagner-Jauregg, psichiatra austriaco nato a Wels nel 1857, una delle figure più controverse del panorama scientifico della seconda metà dell’ottocento.
Secondo di quattro figli di un’agiata famiglia borghese, nonostante suo padre avrebbe preferito per lui studi filosofici, più brevi e abilitanti al ruolo di insegnante, Wagner-Jauregg si interessò sin da piccolo alla medicina, mostrando curiosità per il sezionamento di animali morti al fine di “vedere come erano fatti al loro interno”. Una passione che venne coronata il 14 luglio 1880, quando Julius si laureò in medicina con una tesi sul battito cardiaco.
Tre anni dopo la fine degli studi, quasi per caso, Wagner-Jauregg iniziò a occuparsi di psichiatria: in seguito a due rifiuti ricevuti da due diversi ospedali, si propose come assistente di Maximilian Leidesdorf, uno dei più eminenti psichiatri dell’epoca. Sotto la guida di Leidesdorf e in seguito di Krafft-Ebing, la carriera di Wagner-Jauregg conobbe una velocissima ascesa: fu nominato direttore della clinica psichiatrica di Vienna prima e di Graz poi.
Successivamente venne insignito del titolo di professore straordinario di psichiatria e malattie nervose. Come docente era considerato piuttosto freddo e distaccato, ma anche capace di duro lavoro e senso di giustizia. Come collega era invece ritenuto brillante e difficile allo stesso tempo. Un uomo in grado di pensare fuori dagli schemi e lontano dai comuni principi.
Un professionista instancabile, che pur non rinunciando ai suoi venti minuti di sonnellino pomeridiano, non dormiva mai più di cinque o sei ore per notte per meglio dedicarsi alla ricerca sulla piretoterapia. Nel 1887, osservando pazienti che soffrivano di sifilide, notò per la prima volta che questi mostravano dei miglioramenti dopo aver contratto malattie febbrili. Studiò estensivamente il fenomeno, fino a scoprire, nel 1917, l’efficacia dell’utilizzo del Plasmodium, il parassita responsabile della malaria – relativamente innocuo e curabile in un secondo momento con il chinino – nel trattamento della cosiddetta paralisi progressiva, una delle conseguenze della sifilide in fase terminale. La scoperta gli valse, 10 anni più tardi, l’assegnazione del premio Nobel per la medicina.
Ma accanto alla luce, ecco le ombre. Tra queste, i processi con l’accusa di maltrattamento ai pazienti – celebre per esempio quello del 1919, in cui testimoniò anche l’ex-amico Sigmund Freud, l’antisemitismo e l’entusiasta adesione all’eugenetica. Circostanze che portarono Wagner-Jauregg, dopo la morte, avvenuta il 27 settembre 1940, a essere ricordato più per le sue malefatte che per il suo effettivo contributo alla scienza medica.
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