La bile non è più quella di una volta
A 170 anni dalla scoperta del primo acido biliare, i ricercatori della Michigan State University ne individuano un tipo inedito: scoperta fondamentale per nuove comprensioni su digestione, malattie gastro-intestinali e rapporto essere umano-batteri
Era il 1848 quando fu scoperto il primo acido biliare; ottant’anni dopo un chimico tedesco vinceva il Nobel per averne rivelato la struttura. Oggi quegli acidi biliari non sono più soli: ne sono stati individuati degli altri, non prodotti dagli enzimi, bensì dai microbi intestinali.
Una recente ricerca della Michigan State University, guidata da Robert Quinn e pubblicata su Nature, ci porta ad aggiornare le nostre conoscenze su questi composti. È noto che gli acidi biliari sono sintetizzati nel fegato, legati agli aminoacidi glicina e taurina grazie a specifici enzimi, e parzialmente raccolti nella cistifellea; da qui si riversano nel duodeno dove contribuiscono alla digestione dei grassi. Questi i punti rimasti immutati, finora.
Oggi gli scienziati hanno individuato acidi biliari combinati con aminoacidi alternativi (leucina, tirosina e fenilalanina) per i quali il legame avviene ad opera del microbioma, comunemente noto come flora intestinale.
I risultati, ottenuti grazie alla spettrometria di massa, si sono fatti ancor più intriganti quando i ricercatori hanno traslato lo studio dalle cavie all’essere umano, rivelando che i nuovi composti sono maggiormente presenti in pazienti affetti da fibrosi cistica e malattie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn. Questi ulteriori acidi biliari potrebbero quindi avere un ruolo chiave o essere sintomi di squilibri microbici del tratto digestivo, come afferma lo stesso Robert Quinn: “Queste molecole possono alterare le vie di segnalazione nell’intestino umano, riducendo la produzione complessiva di acido biliare; ciò rappresenta un nuovo meccanismo con il quale i batteri intestinali possono manipolare la nostra fisiologia”.
È senz’altro necessario approfondire la funzione di tali sostanze e il loro eventuale contributo nell’alterazione del microbioma intestinale; quest’ultimo si rivela dunque avere sempre più importanti implicazioni cliniche per la salute umana, per la patogenesi delle malattie nonché per il futuro dei trattamenti medici. Un dato è certo: la bile non è più quella di una volta.
Credits immagine: Google immagini
Commenti recenti