La cultura
fra Siti e Pasolini
intervista a Walter Siti di Diego Parini e Mattia La Torre
Roma, Museo MAXXI 2022. Il secondo incontro tenuto da Walter Siti per ricordare il personaggio di Pier Paolo Pasolini, intitolato “Pasolini, il lungo addio: La realtà”, ha visto la partecipazione di Vittorio Lingiardi. Si è affrontato il tema dell’inconscio, una parola poco usata da Pasolini pur avendo avuto fin da giovane rapporti con la filosofia freudiana. Al termine dell’evento abbiamo posto delle domande a Walter Siti.
Noi siamo scienziati e facciamo divulgazione scientifica e ci chiedevamo se ci fosse della scienza nell’arte di Pasolini?
No, quasi niente, credo proprio che avesse una cultura totalmente umanistica, perfino l’economia credo la conoscesse male, parlava di marxismo, ma credo che “Il capitale” non l’abbia mai letto. Lui stesso confessa che appena va incontro a dei testi che hanno un minimo di linguaggio tecnico, anche di filosofia, li lascia. Credo proprio che lui sia fatto per la cultura umanistica. Non ricordo una sola sua cosa dove si parli di scienza sinceramente.
Però forse c’è del metodo nei suoi vari approcci ai diversi mezzi, nel suo podcast che, da scienziati, abbiamo trovato molto illuminante, e anche questo voler approcciarsi a diversi metodi comunicativi può essere una sorta di scienza?
C’è un atteggiamento sperimentale, quello sì. Nel senso che vuole sperimentale tutte le possibilità. Ma direi proprio che è l’opposto del metodo. Cioè si butta come se ogni volta dovesse ricominciare da capo, mentre suppongo che la scienza sia basata sul fatto che le conquiste degli scienziati precedenti non vanno tutte buttate.
In Pasolini c’è un atteggiamento sperimentale. Nel senso che vuole sperimentale tutte le possibilità. Ma direi proprio che è l’opposto del metodo.
Lui invece, è come se ogni volta rifiutasse tutto il precedente, delle volte non sa nemmeno come si usano le cose. Bertolucci, ad esempio, che gli ha fatto da aiuto regista per “Accattone”, il suo primo film, dice ad un certo punto, quando lui diceva “facciamo un travelling”, sembrava il primo travelling della storia del cinema, perché non sapeva neanche come si facesse, non sapeva quasi cos’era. Quindi, un atteggiamento sperimentale, non metodico.
Una sorta di serendipità?
Forse, ma più che altro il desiderio di buttarsi avanti, di provare qualunque cosa per vedere l’effetto che fa. Sempre con questa idea di trovare una strada diversa per rappresentare la realtà. Ad un certo punto incomincia a dipingere, perché aveva una buona mano e dipingeva bene. Però anche lì si vuole reinventare i colori, perché i colori classici non gli vanno bene, e allora lo fa con il vino, lo fa pestando i petali dei fiori ecc con il risultato che, purtroppo, non è rimasto quasi più niente, perché sono colori molto deperibili. È proprio, diciamo così, la voglia di provare a riprodurre la realtà con tutti i mezzi che lui riesce a trovare a disposizione.
Anche queste opere incompiute, in qualche modo, lo rendono immortale?
Le cose più immortali sono quelle compiute, perché sono come dei monumenti che restano li poi la storia può diventare anche tutta diversa. Però diciamo, “L’Orestiade di Eschilo” anche se non capiamo le cose che capivano allora, però è li come monumento. Leonardo, ad esempio, che era uno che sperimentava moltissimo, molte sue cose sono oggi illeggibili o magari non è rimasto quasi più niente. Lui è diventato immortale sicuramente per la Gioconda piuttosto che per gli affreschi che aveva fatto a Palazzo Vecchio, che infatti non sono rimasti.
Walter Siti, Scrittore e critico letterario
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