La realtà è una simulazione, parola di Nobel
Si può essere certi di esistere realmente? No, almeno secondo l’odierna versione del più radicale dei dubbi, il simulation argument, presentato e sostenuto dal premio Nobel George Smoot
A chi, guardando il film Matrix, non è passato per la mente il dubbio che, in effetti, quello che ci circonda potrebbe non essere reale? Magari il sospetto dura un attimo, poi, una scrollata di spalle e ci appare tutto alquanto assurdo. Non sembra essere della stessa idea George F. Smoot, premio Nobel 2006 per la fisica, che in un intervento tra il serio e il – non troppo – faceto alla TEDx conference di Salford ha esposto la sua opinione in favore del cosiddetto simulation argument. Secondo questa teoria, in sostanza, la probabilità che io, voi, l’Universo e Smoot stesso siamo effettivamente reali sarebbe prossima allo zero.
“Voglio convincervi che siete una simulazione, e che la fisica lo può provare”. Così esordisce Smoot, dichiarando di voler instillare nella platea il seme del dubbio. La risata del pubblico è effimera, il registro è scherzoso, ma sebbene il relatore non ne faccia menzione, riemergono inconsciamente reminiscenze di caverne platoniche e geni maligni cartesiani: l’idea di fondo che ciò che percepiamo non sia ciò che è, declinata in forme diverse, attraversa la storia del pensiero umano fin dai suoi albori.
La sua formulazione due-punto-zero è esplicitata dal filosofo di Oxford Nick Bostrom in un articolo del 2003 e suggerisce, essenzialmente, che con grande probabilità noi saremmo il frutto di una vasta simulazione di una qualche civiltà post-umana che ha raggiunto un’enorme potenza di calcolo. L’argomento prende le mosse dall’osservazione del nostro attuale ritmo di sviluppo tecnologico, che ci permetterebbe in un futuro non lontano di mappare interamente la mente umana e scaricarla in un software in cui creare una realtà simulata interattiva.
Ma perché dovremmo farlo? Le ragioni sono molteplici, spiega Smoot: ad esempio, da una parte alcuni studiosi potrebbero essere interessati a ricostruire le dinamiche di evoluzione dell’universo o della società; dall’altra, la realtà virtuale interattiva, in ambiti come i videogiochi, i social, o il porno, sta attirando sempre più ingenti investimenti, generando un forte interesse economico. In entrambi i casi, avrebbe senso far girare migliaia di simulazioni con miliardi di coscienze simulate in continua interazione tra di loro, ed è impossibile escludere che non sia già successo.
Purtroppo, non siamo nemmeno ben equipaggiati per dirimere la questione. Al nostro cervello “manca potenza computazionale”, afferma Smoot, in un divertito tentativo di intaccare ulteriormente le nostre certezze: illusioni ottiche e sistematici errori di giudizio ci dimostrano che abbiamo “dei compromessi nei nostri algoritmi”. La mente spesso funziona in modo tale da trarre in inganno la nostra percezione della realtà delle cose.
E quindi, come si esce da questo impasse? È la fisica, che può smascherare l’inganno. Se fossimo simulati, sostiene Smoot, la nostra realtà dovrebbe essere giocoforza soggetta a delle approssimazioni che si concretizzerebbero in incoerenze nelle leggi fisiche. E così potrebbero essere lette, per esempio, la bizzarra struttura della meccanica quantistica e la sua apparente inconciliabilità con la relatività generale. La presenza di queste e altre contraddizioni, come le chiama Smoot, significa solo che non siamo molto bravi a risolverle, o indica che siamo in una simulazione?
“E se così fosse, che cosa implicherebbe?” si chiede in conclusione il nostro oratore, lasciando in sospeso una serie di domande di natura etica, religiosa ed escatologica – e se ci fosse un bug nel programma? – che il simulation argument, se preso sul serio, naturalmente solleva. Un finale che Smoot lascia aperto probabilmente per scelta. O forse per uno di quegli errori di giudizio in cui la nostra mente fallace sovente incappa: aveva terminato il suo tempo simulato.
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Torno sull’argomento Colombano , e su possibili forme di intelligenza non basate sul carbonio , che potrebbero fare pensare ad alieni con intelligenza e con tecnologie più avanzate delle nostre. Ma la mia osservazione originaria va a monte , accantonando il problema a valle (quello delle intelligenze) ma che può risolvere il dilemma delle diverse intelligenze.
Se la scala degli elementi (dall’idrogeno in su) è la stessa, ne consegue che le leggi della fisica sono le stesse, e quindi le onde elettromagnetiche per trasmettere le capteremmo anche degli alieni