La scienza scritta sui muri: così lo Spallanzani di Roma celebra la ricerca scientifica
Una Hall of Fame di scienziati sul muro esterno dell’Ospedale Spallanzani di Roma, per raccontare tre secoli di progressi scientifici e avvicinare i passanti al mondo della ricerca
Via Folchi, periferia sud-ovest di Roma. Uno stradone senza negozi, senza bar, senza monumenti o palazzi eleganti. In via Folchi ci sono solo macchine, fermate del bus, e muri. Uno di questi muri costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, da aprile, fanno capolino 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto volto a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la direzione dello Spallanzani e l’associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la street art e i luoghi che la ospitano.
“È un’opera commemorativa della ricerca sulle malattie infettive, ma è anche un ottimo modo di far dialogare fra loro l’arte urbana e le istituzioni”, commenta Matteo Colavolpe, curatore di Graffiti Zero. “Per la prima volta le istituzioni hanno creato un accordo con realtà che lavorano sul territorio, per dare qualcosa alla città”.
Un lavoro a sei mani, in cui tre artisti diversi hanno contributo, ognuno con le proprie competenze artistiche, a creare un murales di 810 metri quadrati: Gregorio Pampinella ha realizzato i volti degli scienziati, Daniele Tozzi si è occupato della parte calligrafica e Andrea Marrapodi, in arte Kiv, ha creato i fondi. Un lavoro di squadra, proprio come avviene nei laboratori di ricerca scientifica.
Una Hall of Fame di scienziati che con i loro studi hanno rivoluzionato il mondo della medicina e di conseguenza, hanno migliorato la vita dell’umanità. Primo fra tutti Lazzaro Spallanzani, il “padre scientifico” della fecondazione artificiale, cui seguono i premi Nobel Edward Jenner, Robert Koch, Alexander Fleming, Carlo Urbani. Un muro che racconta l’importanza della ricerca anche attraverso il titolo dell’opera: “Lessons from the past, Challenges for the Future” – lezioni dal passato, sfide per il futuro, che possa incuriosire o fornire input di approfondimento ai passanti, e avvicinarli al mondo della scienza.
“Un’opera d’arte urbana può essere un mezzo per comunicare qualcosa nel modo più semplice e immediato possibile – cioè per strada – a persone che non sono interessate o che, come in questo caso, non immaginano nemmeno cosa vuol dire fare ricerca”, conclude Colavolpe.
“Abbiamo accettato il progetto perché aveva uno scopo sociale, non era un semplice intervento di abbellimento, uno spazio da decorare, ma c’era un messaggio da veicolare. Gli interventi murari devono avere un’attinenza con i luoghi in cui vengono realizzati, perché il territorio ha molto da raccontare”.
Unica pecca? Nessuna donna.
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