La scoperta scientifica

La scoperta scientifica

Daniela Rhodes ci racconta come si fa

intervista a Daniela Rhodes

di Diego Parini e Mattia La Torre

Le gerarchie. Nessuna. Per favorire la buona scienza bisogna creare un ambiente aperto e stimolante per i ricercatori. Daniel Rhodes ci parla di Nobel, di donne e di un modo di fare scienza che ha (sperimentato e) ricreato a favore di tanti ricercatori in giro per il mondo.

STAR International

Lei ha fatto ricerca in diverse parti del mondo, quali sono le differenze più significative che ha visto e sperimentato?

È difficile da dire. A Cambridge (UK), ad esempio, il Laboratorio di Biologia Molecolare del Medical Research Council è gestito come nessun’altra istituzione al mondo. C’è un assoluto rispetto per le persone e la loro scienza, che possono lavorare in libertà. Nessuna gerarchia dal personale delle pulizie al direttore generale, le porte degli uffici sono sempre aperte e non ci sono i titoli. Inoltre, molti direttori non hanno neanche la segretaria, se vuoi parlarci basta chiederglielo quando li incontri nei corridoi, e si discute anche davanti ad un caffè in caffetteria. Un ambiente di questo tipo non capita per caso o per fortuna, questo posto è stato creato così, permettendo alle persone di essere libere e rispettate. Anche per questo motivo sono stati vinti tredici premi Nobel. Le gerarchie hanno fermato le carriere di molti, soprattutto molte donne. Sono un grosso ostacolo, perché ancora oggi nei piani alti della società troviamo gli uomini. Senza una gerarchia si è tutti sullo stesso livello.

Questo concetto sperimentato a Cambridge l’ha portato con sé ovunque Lei abbia fatto scienza?

Si, certamente. È per questo che anche a Singapore non ci sono i titoli fuori dalle porte. Anche con persone importanti come Francis Crick e Aaron Klug, con le quali ho fatto diverse riunioni sulla cromatina, mi sono sempre sentita libera di alzare la mano ed esprimere la mia opinione. Francis Crick diceva sempre: “la cosa più importante è avere le idee, non importa chi le ha o se sono giuste, perché tanto quelle sbagliate le scartiamo”. Una mentalità aperta. Nessuno mi ha mai detto cosa fare ma sono sempre stata ispirata a fare ricerca. Si fanno riunioni di gruppo e si lavora per risolvere i problemi. Io in un certo senso posso ritenermi fortunata che Aaron Klug – un premio Nobel – non ha mai toccato una provetta, e per questo motivo aveva bisogno di persone come me, che ragionassero su quali esperimenti fare per rispondere alle sue domande.

C’è un assoluto rispetto per le persone e la loro scienza. Così possono lavorare in libertà

Dal suo punto di vista, qual è la ricetta per poter vincere un premio Nobel, quali sono gli elementi necessari? 

Io penso che si debba fornire agli scienziati un ambiente ideale, dargli la libertà e i fondi per poter seguire le loro idee. Sicuramente, se i fondi sono centralizzati come succede nei laboratori di Cambridge, gli scienziati sono incoraggiati a risolvere problemi difficili, anche impossibili, perché quello che conta è la qualità della domanda, la qualità del progetto e non quanti articoli pubblicherai. Nessuno è mai stato valutato in base a quanti articoli ha pubblicato. Quando Richard Henderson ha vinto il premio Nobel, ho fatto un piccolo intervento all’ambasciata svedese di Singapore, e ho detto: “Mi ricordo quando Richard stava sviluppando il suo metodo di microscopia crio-elettronica, che gli ha permesso di vincere il Nobel, non ha pubblicato niente per otto anni, ma nessuno di noi ha mai pensato che fosse un fallimento”. Bisogna che chi sta a capo capisca e creda nel giusto valore della scienza. Purtroppo, ci sono ambienti scientifici in cui l’amministrazione è interessata solamente alle finanze, a quanti soldi riesci a portare e a quanti articoli hai pubblicato, senza dare peso alla qualità della ricerca e dell’insegnamento.

In qualche modo è possibile trovare un equilibrio tra quanti articoli pubblichiamo e la loro qualità?

Penso che sia da riorganizzare completamente come viene valutata la scienza. È molto facile usare i numeri. A Cambridge, ad esempio, non abbiamo mai usato i numeri delle citazioni, ed è anche proibito menzionarli. Questi numeri sono una soluzione semplice e pigra per valutare le persone. 

Le gerarchie hanno fermato le carriere di molti, soprattutto quelle delle donne

Perché valutare un articolo, o delle applicazioni per borse di studio, utilizzando solo la scienza, è un lavoro impegnativo. Al contrario utilizzare i numeri riduce lo sforzo. È comunque un dato di fatto che i migliori scienziati pubblicano sulle migliori riviste. Ma dipende anche dal Paese dove pubblichi. In America ci sono questi gruppi enormi che pubblicano principalmente per un ritorno economico, ma questo non è un buon modo di fare scienza. Puoi avere i top-professori, nelle top-università e pubblicare tantissimo. Però i laboratori sono composti da trenta e più persone, e l’ambiente che si crea può essere terribile, perché i ricercatori sono costretti a competere gli uni con gli altri, anche all’interno dello stesso progetto.

La scienza in quale modo può aiutare la società?

Molte grandi scoperte, delle quali ha beneficiato tutta l’umanità, sono state fatte con uno scopo completamente diverso. Un esempio sono gli anticorpi monoclonali. I ricercatori volevano solamente scoprire la diversità di queste molecole, non ne avevamo immaginato le ricadute applicative. Una storia divertente a proposito dei monoclonali, è che i ricercatori suggerirono di brevettarli, ma l’amministrazione decise che non ne valeva la pena. Se pensiamo che ora sul mercato gli anticorpi monoclonali vengono venduti a quasi venti bilioni di dollari (USD), questo è un ottimo esempio di come la ricerca di base porti a grandi applicazioni e che a loro volta poi portano a successo commerciale – è anche un esempio che le decisioni sulla scienza devono essere prese dagli scienziati.

Francis Crick diceva sempre: “la cosa più importante è avere le idee, non importa chi le ha o se sono giuste”

Quali consigli si sente di dare ad un giovane scienziato?

Non puntare alla scienza se non ne sei veramente innamorato. Devi avere la passione per la scienza. Non significa che dovrai escludere la tua vita privata. Io, ad esempio, ho iniziato il mio PhD quando è nato mio figlio, perché non bisogna essere in laboratorio per pensare. Ho poi avuto il lusso di poter lavorare a qualcosa che mi interessa veramente. Tuttavia, so che non capita a tutti.

Aaron Klug – un premio Nobel – non ha mai toccato una provetta

Passione e un pizzico di fortuna?

Penso che si debba essere concentrati e appassionati. Non sono mai stata preoccupata della mia carriera, e non mi sono mai dispiaciuta con me stessa per essere una donna, anzi ho sempre messo tutte le mie energie per essere migliore dei miei colleghi maschi. Non serve a nulla compiangersi o sedersi in un angolo e lamentarsi. Sii determinato, se dai il massimo per il tuo lavoro questo funzionerà. Tuttavia, questo accade in un sistema equo. Quello che vedo ora, in particolare in Italia, è che puoi essere un ottimo scienziato ma le persone che decidono per la tua carriera sono incapaci di capirlo, perché non seguono i giusti valori. A Singapore ho ascoltato un intervento in cui è stato detto che le università al giorno d’oggi sono delle istituzioni finanziarie, come delle aziende. Non si deve dimenticare il ruolo principale delle università, ovvero: fornire agli studenti un ambiente in cui imparino a pensare in autonomia – e questo è il ruolo essenziale dei professori. Non conta solamente passare o meno gli esami. Bisogna riportare la giusta attenzione sulle università e sugli istituti di ricerca, altrimenti il sistema collasserà.

Quando Richard Henderson stava sviluppando la microscopia crio-elettronica, con la quale ha vinto il Nobel, non ha pubblicato niente per otto anni. Nessuno di noi ha mai pensato che fosse un fallimento

Quindi non bisogna mai farsi sopraffare da nessuno, indipendentemente che sia maschio o femmina?

Una cosa importantissima è difendere la tua scienza. Difendi la scienza ancora prima di difendere te stesso. Difendersi con la scienza, secondo me è vincente. E guadagnerai rispetto. La scienza non ha sesso, non è maschio o femmina. 

Scegli la tua scienza, quella per cui combattere, quella di cui sei capace, questo concetto lo voglio ribadire. E trova un luogo in cui tu abbia la libertà e l’ambiente per realizzarla. 

Daniela Rhodes, Biologa strutturale e molecolare presso il Laboratorio di Biologia Molecolare di Cambridge