Laser “da combattimento” per disintegrare i tumori
Un gruppo di scienziati italiani ha brevettato un dispositivo per disintegrare le cellule tumorali, bombardandole con fasci di elettroni accelerati da raggi laser
Chiunque abbia visto Star Wars avrà desiderato di impugnare una spada laser almeno una volta. Quella è fantascienza, ma anche nel mondo reale c’è chi vorrebbe adoperare “laser da combattimento” per disintegrare i nemici. Niente mostri bizzarri o imperatori galattici: sono i tumori il bersaglio di un gruppo di scienziati italiani al centro di ricerca Eli Beamlines, vicino Praga. I loro studi si basano sulla scoperta dei laser ultracorti, per la quale lo scorso anno sono stati conferiti tre premi Nobel per la Fisica ad Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland. Gabriele Maria Grittani e la sua équipe stanno realizzando un prototipo in grado di bombardare i tumori con fasci di elettroni: un’operazione che in pochi secondi potrebbe bruciare vari tipi di carcinoma.
La tecnologia
Niente di tutto questo sarebbe possibile con un laser qualunque. Ma la scoperta di Gérard Mourou e colleghi ha permesso di localizzare un impulso laser potentissimo in dimensioni micrometriche (un milionesimo di metro), con una durata di poche decine di femtosecondi (un miliardesimo di milionesimo di secondo). Grazie a questa tecnica, è stato possibile accelerare anche particelle molto piccole, come gli elettroni, alle energie necessarie per i trattamenti medici. Gli impulsi laser consentono di “ionizzare” un target gassoso, ossia strappano gli elettroni alle molecole che compongono il gas; questo processo genera all’interno del plasma ( il gas ionizzato) dei campi elettrici potentissimi, simili a delle onde, che accelerano le particelle contro il bersaglio.
Bruciare i tumori
I nemici da disintegrare sono i tumori. La ricerca prende spunto da una tecnologia già esistente: il tumore viene “accerchiato” da più sorgenti di particelle ultra-energetiche, in particolare protoni, accelerati dall’interazione laser-plasma. In questo modo, le particelle colpiscono la massa tumorale da varie angolazioni, irraggiando in pochi secondi tutta la superficie e risparmiando le cellule sane dei tessuti circostanti. L’intuizione di Grittani e del suo team è stata quella di usare gli elettroni al posto dei protoni: sono più veloci e leggeri, e pongono le basi per una terapia più precisa, rapida ed economica. L’applicazione sarebbe soprattutto contro carcinomi molto piccoli e in posizioni scomode, nei pressi di organi importanti come il cervello o il cuore, o in aree del corpo soggette a movimento, come i polmoni e la prostata.
Dalla teoria alla pratica
Al momento, i ricercatori hanno depositato un brevetto e stanno lavorando al prototipo, sebbene non manchino le difficoltà, soprattutto nel reperimento dei fondi. È sempre più vicino il passaggio dalla teoria alla pratica, ma potrebbe volerci ancora molto tempo prima che questa tecnologia approdi nei nostri ospedali. Lo stesso Grittani ha dichiarato in un’intervista al Messaggero che “il prototipo con i primi test che dimostrano la potenzialità dell’intervento potrebbe essere completato nel giro di quattro/cinque anni. Qualche altro anno potrebbe essere necessario per ottenere le certificazioni mediche necessarie alla commercializzazione.”
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