L’intelligenza del rischio

L’intelligenza del rischio

Perché governare l’incerto non è un gioco da ragazzi

«Ci sono tre tipi di giocatori d’azzardo: mentre due di loro, che possiamo definire i problematici e gli occasionali, scommettono per divertirsi, i terzi scommettono per vincere. Sono gli esperti». Gli esperti sarebbero quelli che del rischio hanno fatto un mestiere. «Sono pochi e vincono sistematicamente perché sono competenti. Hanno una visione chiara del rischio, più chiara rispetto a quella della maggior parte delle persone». A parlare è Dylan Evans, psicologo e scrittore britannico, che ha passato gli ultimi anni studiando e intervistando alcuni tra i più brillanti giocatori d’azzardo del mondo.

Evans si è occupato di ricerca nei campi della teoria delle decisioni e della gestione del rischio prendendo spunto dalle teorie di Daniel Kahneman, psicologo cognitivista e Nobel per l’economia, pioniere degli studi sul giudizio umano e sul processo decisionale in condizioni di incertezza. «Kahneman ha inaugurato un nuovo ramo della psicologia. Interessandosi al modo in cui le persone prendono le decisioni, non il modo ideale in cui dovrebbero farlo ma il modo reale in cui lo fanno, ha scoperto alcuni bias cognitivi: una serie di automatismi mentali che spesso ci fanno prendere delle decisioni sbagliate».

FRB_8532

Dylan Evans durante la lectio magistralis “Risk Intelligence. Come calcoliamo (male) l’incerto)” al Festival delle Scienze di Roma (Credits: Francesca Buoninconti)

Non tutti però peccano di ‘pregiudizio’. Secondo Evans, infatti, esistono alcune categorie di persone, come i meteorologi, i giocatori professionisti, gli speculatori finanziari, in grado di calcolare bene le probabilità e fare previsioni molto accurate. «Questa abilità — spiega — non è correlata al livello di educazione o al quoziente intellettivo ma alla capacità di stimare accuratamente le probabilità. È un particolare modo di pensare in condizioni di rischio e incertezza». È l’intelligenza del rischio. «Un’altra forma di intelligenza da aggiungere alla lista proposta da Howard Gardner», professore di pedagogia e psicologia all’università di Harvard e autore del libro Formae Mentis con cui ha introdotto al mondo accademico e scientifico la teoria delle intelligenze multiple.

Per misurare il quoziente di rischio (RQ), Evans ha sviluppato il risk intelligence test (di cui è disponibile una versione gratuita online). I dati ricavati dal test hanno confermato valori elevati di RQ sia per i meteorologi sia per i giocatori esperti. Viceversa, molti professionisti che devono quotidianamente prendere decisioni rischiose (medici, regolatori finanziari, banchieri), sono risultati incapaci di gestire correttamente dubbio e incertezza perché “troppo sicuri di sé”. Il cuore dell’intelligenza del rischio, infatti, è la capacità di valutare i limiti della propria conoscenza, per agire con sicurezza quando si sa ed essere prudenti quando non si sa molto. «È necessaria una buona dose di realismo per prendere le giuste decisioni — serve ad avere una strategia razionale — può sembrare poco romantico, ma è così!».

L’intelligenza del rischio non è una dote innata. È un processo intuitivo che si apprende con l’esperienza. Riconosce l’interferenza di bias cognitivi nel processo decisionale e cerca di limitare la loro influenza attraverso la lucida gestione dell’incertezza. È figlia della ‘rivoluzione’ della teoria delle scelte razionali iniziata da Daniel Kahneman con il collega Amos Tversky nei primi anni ’70. Attraverso studi sperimentali, i due psicologi evidenziarono i limiti del pensiero razionale e dimostrarono che il processo decisionale è influenzato da distorsioni cognitive che entrano in gioco inconsapevolmente.
Il modello dell’homo oeconomicus, come individuo in grado di compiere scelte perfettamente razionali tenendo a freno istinto ed emotività, fu completamente ribaltato per far spazio a un individuo imperfetto, influenzato dalla soggettività.
La rivoluzione cognitiva interessò i campi dell’economia, portando alla nascita dell’economia comportamentale, ma anche della politica e della felicità umana.

«Per avere integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza» Daniel Kahneman fu insignito del Nobel per l’economia nel 2002. Amos Tversky morì qualche anno prima del premio ma Kahneman ne ha sempre condiviso il merito. Come dichiarò in un intervista al “New York Times” «sento che è un premio congiunto. Siamo stati inseparabili per più di un decennio».

Credits immagine di copertina Wikimedia Commons