Il mare lungo le coste d’Ischia: una finestra sul futuro degli oceani
Un recente studio di un team di ricerca Sapienza ha mostrato come i cambiamenti climatici agiscano acidificando le acque dei nostri mari mettendo a serio rischio gli ecosistemi che li caratterizzano
Un team di ricercatori del Dipartimento di biologia ambientale di Sapienza Università di Roma, in collaborazione con la Stazione zoologica Anton Dohrn di Ischia, ha appena pubblicato i risultati di uno studio che mette in evidenza come il cambiamento climatico stia agendo anche nell’ambiente subacqueo, attraverso l’acidificazione delle acque. Oggetto dello studio è la Posidonia oceanica, una pianta marina caratteristica del Mediterraneo, e la comunità di organismi a essa associata. Il sito di indagine è uno dei più importanti e ricchi ecosistemi costieri del nostro paese: il mare intorno all’isola di Ischia. Lo studio, pubblicato sulla rivista Mediterranean Marine Science, è il risultato di un lavoro durato diversi anni sotto il coordinamento di Giandomenico Ardizzone, professore ordinario di Ecologia di Sapienza, e Maria Cristina Gambi, ricercatrice dell’ente ischitano. Gran parte del lavoro è stato svolto sul campo da Edoardo Casoli, assegnista di ricerca dell’ateneo romano, al quale abbiamo posto alcune domande.
Il vostro studio è partito dalla Posidonia oceanica ma ha poi coinvolto l’intero ecosistema marino che vi ruota attorno, mettendo in evidenza modificazioni molto significative in numero di specie e nella catena trofica. Come mai avete scelto la Posidonia? Vi aspettavate questo tipo di risultati?
Abbiamo scelto la Posidonia oceanica perché è uno degli organismi più importanti e rappresentativi di tutto il panorama Mediterraneo. È una pianta endemica del nostro mare, vale a dire che vive solo qui, ma soprattutto è in grado di formare un ecosistema molto complesso che ospita un’enorme biodiversità e garantisce beni e servizi importantissimi per l’uomo (protegge dall’erosione delle coste, deposita il carbonio mitigando le emissioni di CO2 e ospita risorse utili per la pesca). Abbiamo analizzato la fenologia della pianta e la fauna epifitica (cioè gli organismi che crescono sulla superficie delle sue foglie, servendosene come supporto) perché sono due aspetti diversi ma tra loro interconnessi molto importanti. Mentre la risposta della Posidonia era stata già evidenziata da studi precedenti, anche se non analizzata così in dettaglio durante il suo sviluppo annuale, la comunità epifitica ci ha lasciato sbalorditi. I drastici cambiamenti nel popolamento delle zone acidificate, con la scomparsa degli organismi calcificanti, ci forniscono uno scenario davvero molto preoccupante che porterà effetti a cascata su tutto l’ecosistema.
Perché avete scelto come sito per lo studio proprio il mare intorno a Ischia?
Perché in questo tratto di mare sono presenti vent, cioè sistemi di emissione (sottomarina) di gas di origine vulcanica, con caratteristiche molto importanti: sono composti per più del 90% da CO2, sono privi di elementi tossici e fuoriescono alla stessa temperatura delle acque circostanti. Questa eccedenza di anidride carbonica provoca una naturale acidificazione dell’acqua ossia una marcata riduzione del suo pH, causando lo stesso meccanismo dei cambiamenti climatici. È per questo che abbiamo scelto i vent di Ischia, perché ci permettono di condurre l’esperimento in un vero e proprio laboratorio naturale, a cielo aperto, come non era mai stato fatto prima! Offrendoci una finestra sul futuro degli oceani che potrà aiutarci a prevedere i principali cambiamenti che avverranno entro la fine del secolo (stando ai modelli di acidificazione dei mari).
Credi che l’opinione pubblica sia sufficientemente informata e sensibile alla tematica del cambiamento climatico che coinvolge i mari?
In questi ultimi anni i problemi del cambiamento climatico indotto dall’uomo stanno lentamente venendo a galla. Tuttavia si parla più degli ecosistemi terrestri, forse perché è più semplice generare un’iconografia nella mente del pubblico: ghiacciai che si sciolgono, uragani e foreste in fiamme scuotono maggiormente la nostra coscienza. In fondo un’acqua più acida o più calda ha lo stesso aspetto di un’acqua “naturale” e “in salute”. Credo quindi sia una questione legata alla necessità della moderna informazione di “colpire il pubblico”. Il cambiamento climatico ferirà tutti gli ecosistemi della terra, dall’equatore ai poli, indipendentemente dalle immagini che utilizziamo per lanciare questo messaggio. È fondamentale capire che nessuno sarà salvo. La sensibilità nelle istituzioni e nelle persone (e nemmeno in tutte) ha appena germogliato. Purtroppo c’è ancora tantissima strada da fare… non siamo che all’inizio di un processo che in un modo o nell’altro ci cambierà tutti.
Quale sarà il futuro dei nostri mari se non agiamo in modo concreto per difenderli? Possiamo fare qualcosa individualmente o se non cambiano le cose a livello globale non c’è azione locale che valga?
Gli scenari futuri non promettono niente di buono. I mari e gli oceani diventeranno drasticamente più caldi e più acidi, creando un ambiente ostile alla sopravvivenza di tantissime specie. Tutto questo sarà accompagnato da un crescente disturbo antropico che si materializza in sversamenti di inquinanti, materiali plastici e detriti di vario genere e sfruttamento incontrollato di qualsiasi tipo di risorsa. Tali scenari non dovrebbero farci dormire sonni tranquilli. Problemi globali di questo genere non possono essere lasciati all’azione, seppure nobile, del singolo. Viviamo in una società governata da un modello economico e di sviluppo che è la causa di tutto ciò. Solo azioni corali che prevedano un nuovo sistema economico e produttivo, un nuovo tessuto sociale, nuove abitudini e nuovi stili di vita permetteranno di arginare un disastro annunciato.
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