Le maree solide muovono i continenti
Uno studio in collaborazione tra Sapienza Università di Roma, Asi e Ingv dimostra sperimentalmente che c’è un legame evidente tra le forze di natura astronomica e gli spostamenti delle placche litosferiche che compongono la crosta terrestre
Quando parliamo di maree l’immagine che viene alla mente è sicuramente quella di ampie masse d’acqua che con precisa cadenza fluttuano, innalzandosi e abbassandosi grazie all’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna sulla Terra. Il fenomeno delle maree però non riguarda esclusivamente le masse liquide, ma interessa anche quelle solide: anche la crosta terrestre, proprio come l’idrosfera, è sollecitata da queste forze di natura astronomica. Di questo si occupa il recente studio intitolato “Tidal modulation of plate motions”, pubblicato su Earth Science Reviews e frutto di una collaborazione tra scienziati di Sapienza Università di Roma, dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).
La dinamica della tettonica delle placche è relativamente poco chiara e da decenni si ipotizza che il Sole e la Luna contribuiscano attivamente al movimento della crosta terrestre, ma la loro influenza non era mai stata provata in maniera convincente; questo studio dimostra sperimentalmente che c’è un legame evidente tra le forze di natura astronomica e gli spostamenti delle placche litosferiche in cui è suddiviso il guscio del pianeta. “La marea solida, fenomeno quasi dimenticato, ci coinvolge tutti ogni giorno”, ci ha spiegato Carlo Doglioni, professore di Sapienza e coautore dello studio, “spostando il suolo di qualche decina di centimetri sulla verticale e di circa la metà sull’orizzontale”.
All’origine della ricerca ci sono diverse osservazioni, ad esempio l’asimmetria a scala globale della struttura dei margini delle placche tettoniche che suggerisce una deformazione in qualche modo “polarizzata”, si individua quindi un’orientazione privilegiata: “La geometria delle zone di subduzione e dei margini passivi” (rispettivamente le zone dove una placca scorre al di sotto di un’altra e i margini di scorrimento orizzontale di una placca rispetto all’altra), continua Doglioni, “dipende dalla loro posizione geografica; questo ci ha spinto a descrivere un flusso delle placche tettoniche mediamente diretto a ovest rispetto al mantello sottostante”. Inoltre, prosegue Doglioni, “il motore delle placche è un’energia che coinvolge l’intero pianeta, quindi non può che essere un fattore astronomico; la rotazione terrestre e le maree esercitate dalla Luna e dal Sole sono state quindi le sorgenti energetiche di cui siamo andati a caccia”.
Gli effetti periodici delle maree possono essere divisi in due categorie, ad alta e a bassa frequenza. Le oscillazioni ad alta frequenza sono quelle che si verificano con cadenza diurna, semidiurna, bisettimanale e mensile. Quelle a bassa frequenza, invece, hanno ritmi più lunghi, con cadenze semi-annuali, annuali, periodiche di 8,8 e 18,6 anni circa (rispettivamente per la precessione del perigeo e del nodo ascendente della Luna), fino ad arrivare a periodi lunghissimi di 26.000 anni, come avviene per la precessione degli equinozi.
Gli autori di questo studio hanno analizzato serie storiche di dati raccolti per più di 20 anni dalla rete globale di stazioni Gnss permanenti (Global Navigation Satellite Systems, che comprende sia il Gps americano che il sistema Galileo europeo): in questo modo, è stato possibile effettuare misure di velocità tra le placche, confrontare i dati di stazioni a migliaia di chilometri di distanza e quindi svolgere l’analisi della velocità di allontanamento o avvicinamento tra le placche.
Carlo Doglioni ci racconta che lui e i suoi colleghi pensavano di riuscire a dimostrare che la componente semidiurna della marea solida, che si verifica ogni 12 ore e 25 minuti (classificabile tra le oscillazioni ad alta frequenza) fosse la componente principale dello spostamento orizzontale delle placche di alcuni centimetri l’anno, ma analizzando le serie storiche di dati Gps “è invece emerso che la sorgente energetica più forte è quella delle basse frequenze, di diversi mesi e ancor più anni (8.8 e 18.6)”. Lo studio si è quindi focalizzato sugli effetti periodici delle maree con periodi lunghi e non su quelle a cadenza semidiurna come invece credevano i ricercatori all’inizio dello studio (gli effetti di queste possono essere confusi da fattori climatici e stagionali atmosferici e da cicli dei fluidi nel sottosuolo): “Come spesso accade nella scienza, si cerca una cosa e se ne scopre un’altra”, dice lo scienziato.
Grazie a queste analisi è stato possibile osservare che le oscillazioni a bassa frequenza, nella loro componente orizzontale, sono univocamente attribuibili alle sollecitazioni mareali sulle linee di base inter-continentali: “Queste linee sono archi sulla superficie terrestre che uniscono idealmente due punti di misura con ricevitori Gps posizionati su continenti diversi, quindi placche tettoniche differenti. La variazione nel tempo della loro lunghezza ci permette di calcolare la velocità dell’allontanamento o avvicinamento tra le placche”. Queste oscillazioni orizzontali sono chiaramente attribuibili alle sollecitazioni mareali perché “quando si verifica la marea solida (o liquida) il punto di riferimento oscilla e nella componente orizzontale rimane un piccolo residuo che cumulandosi nel corso dei mesi, anni, millenni o addirittura milioni di anni, porta a grandi spostamenti delle placche; nel caso della componente verticale invece il punto di riferimento ritorna esattamente alla stessa altezza di prima del passaggio dell’onda”.
È stato quindi possibile quantificare l’effetto che hanno le maree solide sullo spostamento delle placche tettoniche, in sostanza “il nostro punto di misura si sposta lungo l’orizzontale mediamente verso ovest di alcuni centimetri ogni anno rispetto al mantello terrestre, rimane cioè al passaggio della marea solida una deformazione (isteresi) che, sommandosi nel tempo, porta ai movimenti relativi tra le placche”.
Ma come è stato possibile studiare e misurare come è cambiata nel tempo la distanza tra due punti sulla superficie della Terra? Doglioni ci spiega che “sono state considerate stazioni rappresentative di tutte le principali placche del mondo e dei movimenti relativi tra loro” e aggiunge che forse un giorno sarà possibile misurare queste oscillazioni anche nell’ambito delle alte frequenze e riconoscere anche il loro effetto sugli spostamenti, escludendo da queste misure (dell’ordine delle decine di micron) le incertezze dovute agli effetti stagionali, climatici o alla presenza di falde nel sottosuolo.
Altri strumenti che potrebbero essere presi in considerazione per questo genere di studi, oltre i dati provenienti della rete Gps, sono il Laser Ranging (come ad esempio il Lageos dell’Agenzia Spaziale Italiana) e il Vlbi (Very Long Baseline Interferometry) che misura la velocità di movimento tra due siti rispetto alle stelle fisse.
Questo campo di ricerca potrà aiutarci a comprendere meglio i terremoti, dandoci un’interpretazione della sismicità legata alla tettonica delle placche stessa. Doglioni, insieme ai suoi colleghi e coautori della ricerca Davide Zaccagnino e Francesco Vespe, auspica che “questa scoperta sia l’inizio di un percorso che ci permetterà di capire sempre meglio non solo la sismicità, ma anche i meccanismi fondamentali di funzionamento della Terra e le sue interazioni con la dinamica planetaria e, perché no, anche dell’origine ed evoluzione della vita”.
Immagine di copertina: via picryl
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