La bellezza di sapere e di insegnare il micro
intervista a Bianca Colonna
di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso
Bianca Colonna, Professoressa Ordinaria di Microbiologia presso Sapienza Università di Roma ci racconta della sua carriera da ricercatrice, ma anche del suo ruolo da Professore. Parliamo delle sue scoperte più entusiasmanti e di quanto sia importante fare ricerca di base nonostante le difficoltà. Ma anche del suo rapporto con gli studenti triennali e magistrali e con i suoi dottorandi e di come il linguaggio utilizzato e il confronto sia diverso nei tre livelli di formazione.
Qual è la scoperta che l’ha più entusiasmata o emozionata durante la sua carriera?
Uno degli aspetti che forse mi ha più affascinato è stata la scoperta, mentre studiavamo la regolazione di Shigella [un batterio gram negativo, NdR], di un piccolo RNA che aveva una funzione di RNA antisenso regolatorio e che quindi andava a modulare l’espressione di una proteina molto importante per il movimento di Shigella da una cellula all’altra. I lavori sono del 2010 ma è stata una scoperta veramente affascinante.
Nella scienza non bisogna scoraggiarsi mai. Bisogna essere molto tenaci, avere una grande passione, leggere molto e essere disponibili a seguire quello che i risultati ci dicono.
Secondo lei qual è la ricetta per ottenere la migliore scienza?
Risalgo a un insegnamento che ho avuto quando stavo al Pasteur. Qui mi hanno detto di non scoraggiarsi mai e che viene un esperimento su 100. Questo è stato un bell’insegnamento, per una giovane che arrivava e che affrontava la ricerca, perché in questo campo bisogna provare molte volte ed essere molto tenaci. Quindi per una buona scienza bisogna avere una grande passione, leggere molto e non partire mai pensando di realizzare l’idea che ci siamo fatti ma essere disponibili a seguire quello che i risultati ci dicono, perché un risultato può insegnarci moltissimo.
Ci siamo creati all’interno dello studio di Shigella una nicchia di microbiologia molecolare che ci ha permesso di sopravvivere proprio perché manteniamo un approccio di base molto forte.
Secondo lei, nell’era del publish or perish qual è il giusto equilibrio fra il numero delle pubblicazioni scientifiche e la qualità?
L’introduzione dei parametri numerici, almeno nel mio laboratorio, ha cambiato molto la visione e il modo di lavorare perché noi eravamo abituati a effettuare dei lavori di genetica batterica, di regolazione a livello di microbiologia molecolare che sono dei lavori molto lunghi che richiedono anni. Quindi, siamo stati costretti ad aprire delle altre linee di ricerca che ci permettessero di pubblicare di più pur mantenendo una linea che va più lentamente e che però ci permette di pubblicare su riviste ad alto impatto. Nel nostro campo non è possibile pubblicare due tre quattro lavori l’anno e quindi dobbiamo per forza avere due/tre linee, una più produttiva e casomai meno eccitante, e un’altra invece che mantiene degli argomenti molto forti. Quindi direi che per noi questo metodo è stato un po’ penalizzante. Però noi abbiamo sempre scelto degli argomenti di base molto forti. Ci siamo sempre basati su basi di biologia molecolare con cui abbiamo avuto un approccio al nostro modello che è un batterio patogeno. Quindi ci siamo creati, all’interno dello studio di questo microrganismo e in un mondo che andava più verso la ricerca del vaccino, perché per Shigella non esiste ancora un vaccino, una nicchia di microbiologia molecolare che ci ha permesso di sopravvivere proprio perché manteniamo un approccio di base molto forte.
Secondo lei, quanto bisogna tenere dentro l’università questo approccio alla conoscenza?
Io sono una fautrice della ricerca della conoscenza e questo, ad esempio, mi ha portato a essere esclusa dal Pnrr perché cercavano soltanto docenti che avessero h index altissimi, soprattutto nel campo delle malattie infettive. Io mantenendo questo approccio di base, un approccio molecolare pur lavorando su un patogeno, chiaramente non potevo raggiungere questi valori. Noi che facciamo ricerca di base siamo, soprattutto in questo momento, penalizzati e non compresi, soprattutto in Italia. È per questo che ho aperto delle linee su temi più applicativi come l’antibiotico-resistenza.
A un giovane consiglio di leggere molto, studiare e soprattutto di seguire la propria passione.
Che consiglio darebbe a un giovane scienziato?
Di leggere molto, studiare e soprattutto di seguire la propria passione. Io cerco di capire la passione di chi arriva qua già guardando i curricula. Devo dire che i ragazzi che arrivano qui da noi hanno la passione per la microbiologia perché hanno scelto questo campo in cui per fare il microbiologo bisogna farsi delle domande ed avere anche delle risposte anche abbastanza rapide. Il tempo di vita di un batterio è molto breve e quindi possiamo rapidamente cercare di capire alcuni fenomeni. Aggiungo che o in Italia o all’estero molti dei miei ragazzi sono riusciti a fare ricerca.
Secondo lei come può influenzare il contesto per la ricerca?
Io ho avuto la fortuna di fare un postdoc presso l’Istituto Pasteur a Parigi che era il tempio della microbiologia. Lì il contesto era estremamente stimolante, il mio capo era un allievo di Jacob [Premio Nobel per la medicina nel 1965, NdR] e in generale c’erano molti suoi collaboratori e anche collaboratori di Monod [Premio Nobel per la medicina nel 1965, NdR]. I Journal Club erano veramente difficili perché subivano delle domande da persone estremamente competenti. Quindi, secondo me l’ambiente fa molto. Purtroppo, qui i gruppi sono molto piccoli e quindi gli stimoli per i ragazzi sono molto limitati. Per questo motivo suggerisco di andare fuori, nei grossi centri dove possono avere una visione a 360 gradi dei vari aspetti della microbiologia.
Quando finisco i corsi a dicembre ho sempre un po’ di rimpianto, mi dispiace non avere più contatto con gli studenti perché li vedo appassionarsi al mondo dei batteri.
Come vede la didattica?
Devo dire la verità che a settembre, quando devo cominciare il corso, la vedo come un incubo, ogni volta c’è questa settimana prima che è sempre un po’ angosciante perché penso di non avere più a disposizione tutta la giornata per fare ricerca. Poi quando comincio e vedo gli studenti e l’aula mi appassiono veramente. Io insegno microbiologia agli studenti di Scienze biologiche e poi insegno microbiologia molecolare e genomica microbica agli studenti della magistrale. Quando finisco questi due corsi a dicembre ho sempre un po’ di rimpianto, mi dispiace non avere più contatto con gli studenti perché li vedo appassionarsi al mondo dei batteri. Quindi diciamo che ormai fa parte dell’equilibrio della mia vita.
Che differenza c’è fra uno studente della Triennale e uno studente della Magistrale? come affrontano i percorsi di studio?
Gli studenti della Triennale li vedi proprio crescere. Al corso che tengo al primo semestre del terzo anno di Biologia cerco di insegnare agli studenti a collegare quello che hanno imparato durante gli anni, a genetica, a biologia molecolare, a biochimica e cerco di abituarli a ragionare. Gli studenti della magistrale sono già ad un livello superiore e per questo cerco di aggiornarli sulla ricerca attuale e sulle linee di ricerca della microbiologia e sulla loro importanza. Con loro ho un rapporto diverso e uso un linguaggio completamente diverso perché sono molto maturi. Devo dire che ho veramente grande soddisfazione e sono molto bravi. Io sono una fautrice del tre più due. Non ho mai pensato che fosse un fallimento anzi penso che il sistema funzioni, perché nei primi tre anni si ha una formazione parziale e poi nella magistrale gli studenti sono maturi e riusciamo ad interagirci bene.
Cerco di lasciare liberi i dottorandi così imparano a muoversi in modo indipendente però sentono che ci siamo. Poi cerco di stimolarli e mandarli tanto ai congressi.
Quanto è importante la mentorship nella crescita di un ricercatore?
Estremamente importante. Da un punto di vista scientifico ho avuto un professore francese che mi ha seguito anche quando sono rientrata in Italia. Purtroppo, è venuto a mancare nel 2001 e da quel momento non ho più avuto nessuna persona a cui fare riferimento. Questo mi ha fatto sentire quanto fosse importante la sua presenza. Da un punto di vista accademico vengo dal laboratorio del professor Graziosi che è stato uno delle persone che ha introdotto lo studio della microbiologia molecolare in Italia. Quello che cerco di fare è di lasciare abbastanza liberi i ragazzi perché sono dei dottorandi e quindi devono proporre e dire la loro e imparare a muoversi indipendentemente. Allo stesso tempo però sentono che ci siamo e quindi quando hanno un minimo dubbio si rivolgono a noi. Cerco di stimolarli in particolare dandogli la possibilità di andare ai congressi. Credo che il fatto di cercare dei congressi, parteciparvi e trovarsi dei contatti anche indipendenti li stimoli molto. Io stessa cerco su internet, o tramite colleghi e amici i congressi a cui i ragazzi possono andare. Quindi su questo siamo molto aperti e li mandiamo tanto in giro.
Bianca Colonna, microbiologa e Professoressa Ordinaria di Microbiologia presso Sapienza Università di Roma.
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