Moscerini da Nobel

Moscerini da Nobel

di Giovanni Cenci

Quando alle 5.00 del mattino Michael Rosbash ricevette la telefonata dalla commissione del Nobel, che lo informava di aver vinto insieme a Jeffrey Hall e Michael Young, il premio Nobel 2017 nella categoria Fisiologia e Medicina per il loro lavoro sui meccanismi molecolari che controllano i ritmi circadiani, la prima cosa che disse fu “sono contento per il moscerino!”. Effettivamente, le loro scoperte che spiegano come le piante, gli animali e gli uomini adattano il loro ritmo biologico in modo da sincronizzarlo con il moto di rivoluzione della Terra, sono state ottenute principalmente utilizzando Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta, come organismo modello. 

Mai un ringraziamento così dovuto. Da quando T. H. Morgan, professore di zoologia alla Columbia University, iniziò a incrociare moscerini della frutta nel suo laboratorio per comprendere meglio il ruolo dei geni nella trasmissione ereditaria, questo magnifico insetto ha fornito una quantità impressionante di informazioni sulla struttura, natura e funzione del gene e soprattutto sul suo ruolo in moltissime malattie umane. Una lunga strada iniziata agli inizi del secolo scorso, cosparsa di tanti successi e ben sei premi Nobel: il primo proprio a Morgan, nel 1933.

Non soddisfatto delle teorie genetiche dei suoi tempi, Morgan decise di scoprire come i caratteri fossero ereditati. Non potendo contare su fondi per la ricerca, cercò di capire quale animale a basso costo potesse fare a caso suo. Su suggerimento dei colleghi Lutz e Castle, scelse D. melanogaster allestendo il primo laboratorio (la storica Flyroom della Columbia University) interamente dedicato agli studi genetici del moscerino della frutta. Un ambiente destinato a sfornare un incredibile numero di menti eccezionali che avrebbero fatto la storia della genetica moderna, come Sturtevant, Bridges, Muller e Novitski, solo per citarne alcuni. 

L’isolamento di mutanti con un fenotipo visibile (tra i quali il memorabile moscerino con l’occhio bianco) permise a Morgan di osservare con estrema precisione la successione di caratteri genetici attraverso generazioni di moscerini e di dimostrare per la prima volta che i cromosomi sono i portatori di fattori ereditari che ora conosciamo con il nome di geni. Proprio per queste sue scoperte, gli fu assegnato il Premio Nobel nella Medicina nel 1933, il primo in assoluto a uno scienziato di Drosophila. 

Ma perché D. melanogaster è rimasta la scelta preferita dai genetisti (incluso il sottoscritto) da ormai più di un secolo? Nonostante il tentativo da parte di politici americani di ridicolizzarne la ricerca scientifica perché considerata un esempio di sperpero di denaro pubblico, il moscerino è considerato un vero e proprio colosso della ricerca biomedica. Le ragioni sono moltissime: la più importante è che il suo genoma è contenuto in solo 8 cromosomi (noi 46) ed è semplice da analizzare e modificare. Un aspetto cruciale è che circa il 60% dei geni del moscerino hanno una controparte nel genoma umano. Secondo H. Bellen, neuroscienziato dell’Howard Hughes Medical Institute, “circa il 75% dei geni che sono coinvolti in malattie umane, sono presenti anche in Drosophila. Inoltre gran parte di questi geni sono espressi in tessuti di Drosophila che svolgono funzioni simili a tessuti umani corrispondenti”. D. melanogaster è anche un organismo molto prolifico, si può allevare in uno spazio ridottissimo, in brevissimo tempo (in 10 giorni a 25°C l’embrione si sviluppa in adulto), nutrendosi solo di polenta, zucchero e lievito. 

Tutte queste caratteristiche sono state cruciali per studiare la trasmissione di caratteri, comprendere la funzione dei geni e infine per studiare come il genotipo (l’insieme dei geni) è correlato al fenotipo (la manifestazione esterna del genotipo).

Quanti scienziati di Drosophila hanno vinto il Nobel? Tra gli illustri studenti di Morgan, spicca H. Muller, premio Nobel nella Medicina nel 1946. Utilizzando il moscerino negli anni Venti, Muller dimostrò che i raggi X inducono mutazioni geniche e riarrangiamenti cromosomici ereditabili. Ciò permise di considerare con estrema attenzione che, in quei tempi in cui iniziava l’avventura umana con il nucleare, la radiazione potesse causare difetti genetici nella progenie di uomini esposti. 

Nei successivi 40 anni, il moscerino si affermò come modello ideale per capire come i geni dirigono lo sviluppo di un embrione da una singola cellula ad organismo multicellulare. Nel 1995 il premio Nobel nella categoria Medicina e Fisiologia venne assegnato a C. Nusslein-Volhardt, E. Wieschaus e E. Lewis “per le loro scoperte relative al controllo genetico dello sviluppo embrionale”. Moltissimi dei geni identificati da questo trio, fondamentali per lo sviluppo del moscerino, possiedono delle controparti conservate (omologhe) in diversi organismi animali, uomo incluso, dove rivestono ruoli essenziali durante lo sviluppo.

Lo sviluppo di nuove tecniche d’indagine genetica e molecolare ha poi permesso di estendere lo studio delle conservazioni funzionali e anatomiche tra Drosophila e i sistemi di mammifero, facendo del moscerino un modello elettivo per mappare anche le funzioni celebrali. Una di queste è il sistema olfattivo con le sue complesse soluzioni per il riconoscimento e la distinzione degli odori presenti nell’ambiente. Nel 2004 il premio Nobel della Medicina e Fisiologia fu assegnato a R. Axel e L. Buch per “le loro scoperte sui recettori odoranti e l’organizzazione del sistema olfattivo”. Essi scoprirono che più di 1000 geni, molti dei quali individuati nel laboratorio di Drosophila di Axel, erano coinvolti nella percezione degli odori. 

Moscerini mutanti furono utilizzati anche da J. Hoffmann per esplorare l’attivazione del sistema immunitario innato permettendogli di vincere nel 2011 (insieme a B. Beutler) il premio Nobel nella Medicina e Fisiologia. Hoffman scoprì che i mutanti Toll erano più suscettibili all’infezione di un fungo patogeno rispetto ai normali moscerini. Dimostrò poi che la proteina Toll agiva da sensore rivelando la presenza di patogeni e stimolando il sistema immunitario a produrre peptidi antimicrobici. Nello stesso tempo Beutler scoprì che il recettore del prodotto batterico che causa lo shock settico in uomo, era molto simile alla proteina Toll indicando che il moscerino e i mammiferi utilizzano le stesse molecole per attivare il sistema immunitario innato, la prima linea di difesa contro i microorganismi patogeni. 

La sorprendente somiglianza tra il moscerino e l’uomo fu ulteriormente confermata dal lavoro dei tre premi Nobel in Medicina e Fisiologia del 2017. J.C. Hall, M. Rosbash e M. W. Young hanno usato il moscerino per scoprire i meccanismi molecolari che controllano i ritmi circadiani. Partendo da studi sul moscerino, con l’isolamento del primo gene “orologio” denominato period, i tre scienziati sono riusciti a dimostrare che i ritmi circadiani in tutti gli organismi multicellulari funzionano utilizzando gli stessi principi che li rendono perfettamente sincroni con i movimenti della terra.

I successi scientifici ottenuti utilizzando il moscerino della frutta vanno però molto oltre le assegnazioni dei 6 premi Nobel. D. melanogaster continua ad ispirare in tutto il mondo l’attività di migliaia di scienziati in quasi tutti i campi della ricerca biomedica inclusa quella relativa allo studio degli effetti dei voli spaziali sui sistemi cardiovascolari, muscolari e del sistema immunitario. Nonostante la cronica inconsistenza di finanziamenti pubblici per la ricerca di base, l’Italia vanta la presenza di numerosi laboratori di prestigio internazionale per la ricerca genetica in D. melanogaster. È di grande effetto sapere che due dei pioneri della ricerca genetica in Drosophila in Italia (M. Gatti e S. Pimpinelli, Professori Emeriti della Sapienza Università di Roma) siano annoverati tra i discendenti diretti di Sturtevant e Novitski, due degli allievi di Thomas Hunt Morgan! 

Immagine in evidenza: Ricercatrice intenta nella selezione di D. melanogaster, moscerino della frutta, allo stereomicroscopio