Movimenti veloci
Di Emilio Giovenale e Marco Tannino
La retina nei nostri occhi ha un “tempo di persistenza” di circa un decimo di secondo. Questo significa che per costruire un singolo fotogramma accumula tutte le immagini che le arrivano in un decimo di secondo. Se un essere umano tenta di guardare un fenomeno che dura meno di un decimo di secondo, la retina non riesce a seguirlo e l’immagine ricostruita dal cervello appare sfocata. L’esempio classico è quello del volo del colibrì. Questo uccello muove le ali avanti e indietro ottanta volte al secondo: in un decimo di secondo le ali fanno avanti e indietro otto volte. Se proviamo a guardarlo mentre resta librato in aria, di fatto al posto delle ali vediamo un frullare vago, perché la lentezza del nostro sistema di percezione non riesce a catturare tutte le immagini singolarmente. Le immagini sulla nostra retina si sovrappongono e l’effetto finale è appunto un’immagine sfocata.
Se un essere umano tenta di guardare un fenomeno che dura meno di un decimo di secondo, la retina non riesce a seguirlo e l’immagine ricostruita dal cervello appare sfocata. L’esempio classico è quello del volo del colibrì.
Per distinguere correttamente il movimento delle ali si può ricorrere a telecamere che acquisiscano, ad esempio, ottocento fotogrammi al secondo, capaci di registrare ben dieci fotogrammi di ciascuna oscillazione avanti e indietro delle ali del colibrì e così distinguere correttamente ogni dettaglio del volo di questa incredibile creatura. La regola base è che per vedere correttamente un fenomeno in movimento è necessario un sistema di rilevazione dell’immagine più veloce del fenomeno osservato. Per questo, impulsi di luce della durata di alcuni attosecondi consentono di osservare il moto degli elettroni nelle reazioni chimiche e altri fenomeni altrettanto veloci.
Emilio Giovenale e Marco Tannino, studenti del Master “La scienza nella pratica giornalistica” presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma
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