Muore Mario Molina, il “papà” del buco dell’ozono
Premio Nobel nel 1995 insieme a Paul Crutzen e Frank Rowland per gli studi sulla chimica atmosferica, è stato pioniere della ricerca ambientale
È scomparso all’età di 77 anni Mario Molina, il chimico messicano che per primo ha studiato l’impoverimento di ozono nella stratosfera. Le sue ricerche, assieme a quelle di altri due colleghi, gli sono valse il premio Nobel per la chimica nel 1995, attribuito per l’appunto “per il loro lavoro nella chimica atmosferica, in particolare per gli studi sulla formazione e sulla decomposizione dell’ozono”.
Molina ha reso nota al mondo la questione in un articolo pubblicato su Nature nel 1974, nel quale rivelava l’esistenza di composti di sintesi molto pericolosi, i cosiddetti clorofluorocarburi (Cfc), all’epoca rilasciati nell’ambiente in quantità sempre maggiori. “Questi composti sono chimicamente inerti e possono rimanere nell’atmosfera dai 40 ai 150 anni, e ci si può aspettare che le concentrazioni raggiungano livelli da 10 a 30 volte superiori a quelli presenti” scriveva allora. “La loro foto-dissociazione nella stratosfera produce quantità significative di atomi di cloro che portano alla distruzione dell’ozono atmosferico”.
È proprio da quegli anni che si è iniziato a parlare dell’ormai noto “buco” dell’ozono, nonostante questa sia una dicitura impropria: si tratta infatti di un assottigliamento dell’ozonosfera particolarmente accentuato nelle regioni polari della Terra. Il danneggiamento di questo strato atmosferico rappresenta un grave pericolo per la vita sul nostro pianeta, dal momento che la stratosfera ha la funzione di schermare e quindi di proteggere gli organismi viventi dai raggi ultravioletti provenienti dal sole.
Inizialmente il buco dell’ozono è stato localizzato al Polo sud e in una precisa stagione: per spiegarne la ragione Molina ha indagato la chimica delle particelle di ghiaccio delle nuvole stratosferiche che si formano al buio e al freddo dell’inverno antartico. Tramite esperimenti che imitavano il comportamento delle particelle di ghiaccio a contatto con i composti chimici incriminati, ha osservato che i Cfc rilasciano cloro. Ed è proprio l’accumulo invernale di cloro stratosferico a determinare un intenso impoverimento dell’ozono alle prime luci del sole primaverile al Polo sud.
L’allarme lanciato da Molina sulla pericolosità di queste sostanze non è rimasto inascoltato: i suoi studi hanno portato, nel 1987, alla firma del Protocollo di Montréal, un trattato delle Nazioni Unite che per la prima volta ha messo al bando un’intera classe di composti chimici, proprio i Cfc studiati da Molina. L’accordo prevede la riduzione graduale di questi composti fino alla loro totale eliminazione entro il 2030; l’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan lo ha definito come “forse il singolo accordo internazionale di maggior successo fino a oggi”.
La sua attuazione e il successivo lavoro di Molina sulla qualità dell’aria nelle megalopoli e sul cambiamento climatico hanno migliorato la qualità di vita di milioni di persone in tutto il mondo. Infatti, mentre era professore all’Istituto di tecnologia del Massachusetts (Mit), Molina e l’allora moglie e collaboratrice hanno lavorato sulla qualità dell’aria nelle città del sud del mondo con più di dieci milioni di abitanti. Questo progetto ha combinato studi sul campo di chimica atmosferica nei quartieri urbani e ha coinvolto centinaia di scienziati di fama, con il risultato di aver effettivamente migliorato la qualità dell’aria nella sua città natale, Città del Messico.
Oltre che per le ricerche ambientali pioneristiche, Molina va anche ricordato per il contributo alla comunicazione scientifica. Nel 2014, dieci anni dopo la fondazione del Mario Molina Center for Strategic Studies on Energy and the Environment, sempre a Città del Messico, ha guidato un’importante iniziativa di sensibilizzazione del pubblico sul cambiamento climatico, la “What we know“, per l’Associazione Americana per il Progresso della Scienza (Aaas).
In virtù di tutta una vita spesa alla lotta ai cambiamenti climatici, Molina è diventato una figura pubblica di rilievo, al punto che è stato addirittura consigliere scientifico di più presidenti messicani, consigliere di tre papi e consigliere fidato dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. In ultimo, nei suoi ultimi mesi prima di morire, ha sostenuto con passione l’uso della mascherina per ridurre la trasmissione del coronavirus in Messico.
Credits immagine: Wikimedia Commons
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