Nobel per la chimica a Crispr: così ti correggo il genoma
La storia della tecnica Crispr parte da un fortuito incontro in un caffè di Porto Rico, dove le strade di Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier si incrociano. Il risultato sarà una tecnologia rivoluzionaria
di Luigi Pio D’Errico e Chiara Di Lucente
In principio vi erano i batteri: come per numerose scoperte nell’ambito della biologia molecolare, infatti, la tecnologia Crispr arriva direttamente da questi esseri microscopici. Più precisamente, dall’arsenale che i batteri possiedono per difendersi da altri microrganismi che ne minacciano l’esistenza: virus, batteriofagi (il cui nome è eloquente, letteralmente mangiatori di batteri) e plasmidi. Infatti, inizialmente, Crispr è stata la scoperta di un meccanismo biologico particolare, una specie di sistema immunitario batterico: già questo sarebbe notevole, ma alle due scienziate Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, le protagoniste della nostra storia, ciò non basta. Il passo da una scoperta della ricerca di base a uno strumento tecnologico avanzato, che in poco tempo ha rivoluzionato numerosi campi della scienza, è stato breve. Fino al Nobel per la chimica.
Facciamo un passo indietro. Questa è soprattutto la storia delle due scienziate, le cui strade si sono incrociate, e il caso ha provveduto al resto: il sistema Crispr-Cas, infatti, è stato scoperto grazie a una serie di fortunate coincidenze, eppure “la fortuna favorisce le menti preparate”. Le parole sono di Louis Pasteur, padre della microbiologia moderna, e sono state utilizzate da Charpentier per descrivere se stessa. Ed Emmanuelle Charpentier è una vita che si prepara. Nata a Juvisy-sur-Orge, cittadina francese di circa quindicimila abitanti nella regione dell’Île-de-France, l’11 dicembre 1968, è biochimica, genetista e microbiologa, membro dell’Accademia delle scienze e dell’Accademia delle tecnologie. Dopo aver studiato ed essere stata assistente per diversi anni all’Università Pierre e Marie Curie di Parigi si trasferisce per la sua attività di post-doc prima all’Istituto Pasteur e poi all’Università Rockefeller. Dal 2002, dopo una parentesi di cinque anni negli U.S.A., ritorna nel vecchio continente dove inizia il suo viaggio tra diverse nazioni europee, che la porterà nel 2009 a trasferirsi in Svezia, dove viene nominata docente associato all’Università di Umeå. Se i posti in cui lavora cambiano spesso e le fanno girare il mondo, specularmente l’argomento delle sue ricerche rimane sempre lo stesso: il batterio Streptococcus pyogenes, responsabile di infezioni frequenti ma solitamente curabili, che però possono evolvere anche in sepsi. A partire dal 2009 Charpentier inizia ad interessarsi alle molecole di Rna prodotte da questo batterio: in particolare, nota che alcune di queste sono complementari a una porzione del genoma di S. pyogenes, costituita da numerose sequenze ripetute. Questa regione è stata scoperta da poco, è comune a molti batteri ed è stata chiamata Crispr. A Berkeley, in California, il gruppo di ricerca guidato da Jennifer Doudna sta cercando di capire come funziona.
Jennifer Doudna è nata a Washington D.C. il 19 febbraio del 1964, ma è cresciuta alle Hawaii. Un giorno suo padre le regala il libro La doppia elica di James Watson, sulla scoperta del Dna: Doudna capisce che da grande indagherà i segreti della vita. La sua avventura scientifica inizia con una laurea in chimica al Pomona College in California e con un dottorato in biochimica conseguito all’università di Harvard. Inizialmente Doudna, in maniera del tutto simile a James Watson, studia la struttura di una molecola della vita: non il Dna, ma l’Rna; sono gli anni in cui viene scoperta l’Rna interference, una delle capacità che hanno le cellule, attraverso le molecole di Rna, di regolare i propri geni. Quando, nel 2002, diventa professoressa di biochimica e biologia cellulare all’Università di Berkeley, Doudna sta studiando questi complicati meccanismi, e ben presto si interessa alla porzione Crispr del genoma dei batteri, e in particolare alle proteine ad essa associate, chiamate Cas. È proprio qui che inizia la collaborazione del suo gruppo di ricerca con Emmanuelle Charpentier: una sta studiando come funzionano gli Rna di Crispr, l’altra le sue proteine, ma sarà insieme che riusciranno a comprendere l’intero sistema. Accade tutto in un caffè a Porto Rico, durante una conferenza scientifica in cui sia Doudna che Charpentier sono presenti a mostrare i risultati delle proprie ricerche. In realtà, è Charpentier che ha ben in mente con chi vuole collaborare: incontra Doudna nel caffè lontano dalla sede della conferenza e decidono di visitare la città insieme. Hanno occasione di parlare del loro lavoro e, alla fine di quella giornata, il sodalizio: Doudna e Charpentier collaboreranno per svelare il mistero di Crispr.
Le conoscenze di Charpentier sull’Rna batterico si combinano con successo con le ricerche di Doudna sulle proteine Cas e sull’interferenza a Rna: nel 2012 Science pubblica l’articolo in cui viene riprodotto in vitro il funzionamento di Crispr-Cas9 in S. pyogenes. Quando un batterio viene infettato da un virus, infatti, è capace di catturare alcuni frammenti del suo Dna e li include nel proprio genoma: come succede con il nostro sistema immunitario, se il batterio incontra di nuovo l’agente infettante, sarà in grado di dirigere una risposta mirata verso il virus, proprio grazie alla proteina Cas9. Questa è un enzima detto endonucleasi, capace di separare le due catene del Dna andando a rompere uno specifico legame all’interno della molecola. Cas9 opera insieme a una molecola di Rna associata al sistema immunitario adattativo Crispr, presente sia nello Streptococcus pyogenes che in altri batteri. Spesso si parla di forbici molecolari, quando si indica questo meccanismo: la molecola di Rna che appartiene alla porzione Crispr del genoma, infatti, funziona per il batterio da guida, per sapere quale frammento di dna virale rompere, mentre le proteine Cas, proprio come delle forbici, saranno in grado di tagliarlo.
La comunità scientifica accoglie la scoperta di Crispr, racconta chi è addetto ai lavori (vedi l’intervista ad Anna Meldolesi), con un entusiasmo mai visto prima: sebbene si potesse già modificare il genoma degli organismi, prima della scoperta di Doudna e Charpentier il processo era lungo e macchinoso. Adesso agli scienziati di tutto il mondo appare chiara la possibilità di poter ritoccare l’intero genoma, lettera per lettera, con una precisione inedita: ecco perché si parla di editing genomico. Crispr sembra uno strumento troppo potente perché rimanga una scoperta relegata alla ricerca di base. Infatti, i pronostici della comunità scientifica si rivelano fondati: in breve tempo la tecnologia Crispr viene sviluppata su un sistema di guida a Rna sintetico; in questo modo, i ricercatori possono scegliere la porzione di genoma da modificare, le forbici molecolari di Cas9 penseranno al resto. È una vera e propria rivoluzione: tra le sue applicazioni, Crispr viene impiegata nella ricerca di base, per indagare più a fondo le funzioni degli attori molecolari implicati nelle malattie genetiche, in medicina, in cui può direttamente mirare a geni non funzionanti, in campo agroalimentare, in cui viene usata per modificare le piante e renderle più resistenti. Le strade di Doudna e Charpentier si sono divise qualche anno dopo la scoperta, ma, in maniera del tutto simile proprio a James Watson e al suo collega Francis Crick, è probabile che rimangano sempre la coppia delle scienziate di Crispr, in grado di rivoluzionare il mondo scientifico: la consacrazione definitiva con il premio Nobel 2020 per la chimica.
“C’è un enorme potere in questo strumento genetico, che ci riguarda tutti. Non ha solo rivoluzionato la scienza di base, ma ha anche portato a colture innovative e porterà a nuovi trattamenti medici innovativi “, afferma Claes Gustafsson, presidente del Comitato per il Nobel per la chimica. Le potenzialità di Crispr sono pressoché infinite, fatto che ha messo in guardia la comunità scientifica riguardo a delle applicazioni poco etiche: è del 2018 la notizia della nascita di Lulu e Nana, le prime bambine nate da embrioni modificati con tecnologia Crispr dal genetista He Jiankui, in seguito condannato a 3 anni di carcere per pratiche mediche illegali. Crispr fondamentalmente però porta buone notizie: Andrea Crisanti dell’università di Padova sta sfruttando Crispr per impedire alle zanzare di trasmettere il plasmodio della malaria, ed è di pochi giorni fa la notizia che al Bambino Gesù di Roma è stato trattato grazie alla tecnologia Crispr il primo giovane adulto italiano affetto da beta talassemia. Sono passati meno di 10 anni da quell’incontro a Porto Rico, ma Crispr è già realtà.
Attenzione a Crispr: ci si potrebbe innamorare
Una passione contagiosa: ecco cos’è Crispr-Cas9 secondo Anna Meldolesi, biologa e giornalista scientifica. Il suo racconto della scienza è iniziato nei primi anni duemila, parlando degli organismi geneticamente modificati (Ogm), dei loro tranelli e delle controversie all’interno della società e dell’opinione pubblica. Poi il colpo di fulmine con questa nuova tecnologia che l’ha spinta ad aprire un blog prima, (Crispr Mania) e a scrivere un libro poi, “E l’uomo creò l’uomo: Crispr e la rivoluzione dell’editing genomico”, edito da Bollati Boringhieri. Adesso il premio Nobel assegnato a Jennifer Doudna ed Emanuelle Charpentier è la consacrazione di questa storia d’amore, ma non è certo la sua conclusione.
L’editing genomico è un argomento piuttosto complicato, anche per gli addetti ai lavori. Che cosa ti ha fatto appassionare a questa tecnologia?
Tutto è partito nel 2001, quando ho pubblicato il primo libro in Italia sugli Ogm. All’epoca fece abbastanza clamore, anche perché tutta l’opinione pubblica dava addosso a queste nuove tecnologie. Dopo anni passati a raccontarlo, il dibattito era diventato, per me una gabbia un po’ opprimente, per cui ho voluto rivolgere la mia attenzione verso altro che potesse interessarmi. Alla fine è arrivata Crispr, e mi ha subito entusiasmato: da un lato c’era la curiosità di comprendere le novità a livello tecnico-scientifico, dall’altro ho colto la chance di riprendere il discorso interrotto degli organismi modificati geneticamente, e vedere se poteva esserci un finale diverso. È vero che il primo approccio con la materia, piuttosto ostica, non è stato facile, però all’interno della comunità scientifica si respirava un entusiasmo mai visto, contagioso, che non poteva essere ignorato: la tecnica di per sé è bellissima, i personaggi che animano la storia sono affascinanti, e i risvolti politici la rendono molto più interessante rispetto al passato. Poi, una volta entrata nell’argomento, appassionarsi è facile.
Secondo te cosa ha di rivoluzionario questa tecnica?
Prima di tutto, si tratta di una ripartenza: è un mondo tutto da scrivere. Ci si può anche interrogare se il termine rivoluzione sia opportuno: se è una parola troppo enfatica, dal momento che per la stragrande maggioranza delle persone rivoluzione vuol dire frutti maturi in un futuro prossimo. E non è sempre così: i tempi della ricerca non coincidono con quelli della psicologia umana. Da un punto di vista scientifico, quello di cui si parla troppo poco, secondo me, è l’importanza di CRISPR nella ricerca di base: di fatto si possono accendere e spegnere specifici geni a piacimento, e questo dà un potenziale di comprensione dei fenomeni biologici che prima non avevamo. Questa è una rivoluzione che è già in corso. Le altre sono rivoluzioni promesse: a seconda del campo in cui si applica questa tecnologia, sono più o meno acerbe, ma l’apporto dato alla ricerca di base è un dato di fatto. Certo, produrre cellule ingegnerizzate con Crispr non è affatto facile: bisogna capire molto di bioinformatica e i vari trucchetti che si possono applicare, ma il gioco vale la candela, trattandosi di una risorsa infinita.
Ci hai parlato di una ripartenza. In che senso?
Sulle biotecnologie, soprattutto quelle agrarie, gravano tutta una serie di sovrastrutture culturali e pregiudizi, in parte scientificamente fondati e in parte no. Crispr dà la possibilità di azzerare tutto e di ricominciare un dialogo con una società di cittadini che non ha meno memoria del periodo più velenoso delle polemiche contro gli Ogm. Con meno pregiudizi si può discutere in maniera diversa, anche perché sono cambiati anche i mezzi di comunicazione: prima c’era solo la carta stampata e la tv, adesso ci sono i social network. Non dico che adesso sia più facile, ma è un dialogo che può ripartire: per ora l’immagine di Crispr è ottima, anzi, nonostante la disavventura delle bambine cinesi, Lulu e Nana, modificate geneticamente nel 2018. Piuttosto, occorrerebbe riflettere sul perché quel caso ha avuto una risonanza bassissima sui media: nel 1997 la clonazione della pecora Dolly ha avuto un’accoglienza completamente diversa. Un po’ la reazione a questo genere di avvenimenti è cambiata, come se il pubblico si fosse abituato, un po’ perché è successo in Cina, troppo lontano da noi, e un po’ è perché non c’erano fotografie a corredare la notizia: in caso contrario, la storia, dal punto di vista mediatico, sarebbe sicuramente andata diversamente.
Un Nobel tutto al femminile. Quanto è importante questa cosa che agli occhi di molti è eccezionale ma che, in realtà, dovrebbe essere la normalità? Un nobel al “femminile” non è poi affatto diverso da uno “maschile”.
È molto importante. In generale, anche se sappiamo bene che la grande distinzione che si fa è tra cattiva e buona scienza, la disparità di genere esiste ed è qualcosa che non riguarda solo la ricerca ma anche altri ambiti lavorativi. La scienza, almeno in teoria, si pone di più questo problema anche se i dati alla fine, spesso, ci dicono il contrario. Basti pensare che la maggior parte degli articoli scientifici sono a firma maschile. Questo testimonia come il gender factor sia ancora presente e impattante. Si tratta di uno di quei problemi che hanno forti radici sociali e culturali e il premio di quest’anno da una spinta forte alla parità. Molte giovani ricercatrici potrebbero prendere spunto da quanto successo quest’anno. La scelta del comitato di lasciare libera la terza casella e insignire del premio solo le due ricercatrici ha un risvolto importante proprio in questo senso.
Nel 2012 il primo editing con Crispr/Cas9. “Solo” 8 anni e 35 premi internazionali dopo arriva il premio Nobel. Perché questo lasso di tempo?
Si tratta di un arco di tempo accettabile in fin dei conti. Il primo esperimento sugli embrioni, utilizzando questa tecnologia, risale al 2015, ma una forte risonanza si è avuta solo con il caso delle gemelline Lulu e Nana nel 2018. Quello che ne consegue dall’attribuzione del premio è che il focus si concentra tutto sull’invenzione della tecnica quanto piuttosto sui miglioramenti apportati successivamente da altri scienziati.
Il Nobel ha consacrato definitivamente la tecnica e le due scienziate, ma la corsa di Crispr non si è certo fermata. Quali sono i campi in cui sarà portata più innovazione?
Jennifer Doudna, in una delle tante interviste che ha dato prima del premio, alla domanda su quale messaggio avrebbe voluto passasse con Crispr, ha risposto che con questa tecnologia “si può fare tanto, ma non tutto”. I campi più promettenti sono quelli, come si è già detto, della ricerca di base, e anche delle malattie del sangue: la prima applicazione medica è stata il trattamento dell’anemia falciforme dell’afroamericana Victoria Grey: una storia e una testimonial di grande effetto. Questo è il trattamento di una malattia in cui si è più avanti, perché è l’unico trial che mostra, oltre a risultati di sicurezza, anche di efficacia. In altri campi, come quello oncologico, per il momento ci sono solo prove di sicurezza. In più la pandemia ha un po’ bloccato la ricerca clinica, rallentando i progressi. Riguardo le applicazioni non mediche, la sfida più grande è quella di sviluppare piante che gestiscano meglio le risorse idriche, in modo che possano fronteggiare meglio le future siccità derivanti dal climate change. Ovviamente le possibilità che le applicazioni in campo vegetale si concretizzino dipende molto dalle disposizioni politico regolatorie dei paesi, il miglioramento del mondo vegetale procede a piccoli passi, ma la direzione è quella dell’emergenza climatica.
Secondo te quale sarà l’applicazione futura più interessante?
Si tratta di un campo della ricerca davvero avveniristico, ma che potrebbe cambiare la storia: il gene-drive, tecnologia che, grazie a Crispr, ridurrebbe significativamente le zanzare responsabili di trasmettere la malaria all’uomo. Al momento ci troviamo in stadi molto precoci, ma c’è un filone italiano della ricerca molto importante, grazie ad Andrea Crisanti, che, prima di essere l’uomo dei test del coronavirus, è stato e sarà l’uomo del gene-drive: ho avuto la fortuna di visitare i suoi laboratori a Terni, dove ci sono le zanzare geneticamente modificate tra le più avanzate al mondo. Si tratterebbe di un’innovazione enorme, sia da un punto di vista scientifico, in quanto questa tecnica non è mai stata applicata, sia da un punto di vista ecologico: è una bella palestra per il confronto tra più discipline scientifiche e di democrazia partecipativa per questioni di governance. Si tratta anche del settore che probabilmente avrà più riscontri pratici, sono già state chieste moratorie in sede ONU: se si trovasse la maniera di sconfiggere la malaria, malattia che fa quattrocentomila morti l’anno, tutti concentrati in un continente, sarebbe un cambiamento epocale.
Non solo luci
Battaglie legali, brevetti revocati, esperimenti fuori legge: potrebbe sembrare un thriller fantascientifico invece è la realtà di Crispr-Cas9. Perché, come la maggior parte di tutte le scoperte straordinarie, presenta anche ombre e lati oscuri
Il primo è di carattere legale: sono anni infatti che l’Università di Berkeley (sede del gruppo di ricerca di Doudna e Charpentier) e il Broad Institute del MIT di Boston, guidato dal biochimico Feng Zhang, si contendono parte dei brevetti sulla tecnologia Crispr-Cas9. Sembrerebbe una mera questione di diritti, invece non va sottovalutata. La natura estremamente versatile di questa tecnologia ha portato – e porterà – a talmente tante applicazioni che, nel momento in cui diventeranno commerciali, comporteranno una riscossione di diritti sulla proprietà intellettuale enorme. Il motivo principale della contesa riguarda l’applicazione di Crispr sulle cellule eucarioti, quelle che costituiscono gli organismi superiori, dai lieviti fino ai mammiferi. Nel celebre articolo pubblicato da Doudna e Charpentier nel 2012, infatti, veniva presentato il sistema Crispr come strumento di editing genomico nelle cellule batteriche, come quelle di S. pyogenes, microrganismo studiato per anni da Charpentier. Sette mesi dopo, il gruppo di ricerca di Zhang pubblica l’applicazione della tecnologia Crispr sulle cellule eucarioti, aprendo di fatto la possibilità di sperimentare su lieviti, animali modello e, soprattutto, cellule umane. La battaglia legale inizia nel 2016, quando l’ufficio brevetti degli Stati Uniti, lo Us Patent and Trademark Office (Uspto) conferisce il brevetto su Crispr a Zhang, presentato più tardi rispetto al gruppo di Doudna e Charpentier, ma fatto valutare prima grazie a una procedura prioritaria a pagamento. Il gruppo di Berkeley, contesta la natura inventiva del brevetto di Boston: secondo l’università californiana, infatti, con le conoscenze derivanti dall’articolo su Crispr nelle cellule batteriche già pubblicato, qualsiasi esperto del settore avrebbe potuto applicare quella tecnologia sulle cellule eucariotiche. L’Uspto, alla fine, respinge la contestazione, stabilendo che le invenzioni di Doudna e Charpentier e quella di Zhang sono due invenzioni diverse. “Loro avranno un brevetto sulle palline da tennis verdi, noi lo avremo su tutte le palline da tennis”: così commentava Doudna il verdetto dell’ufficio statunitense, nel 2017. La battaglia legale non si è certo fermata, questa volta a favore delle due scienziate di Berkeley: nel 2018, infatti l’ufficio brevetti europeo revoca il brevetto di Crispr a Zhang, e, dopo due mesi, approva il brevetto che copre ampie applicazioni tecnologiche di Crispr-Cas a Doudna e Charpentier. Del resto, più una scoperta è rivoluzionaria, più è contesa: adesso anche il Nobel, assegnato a Doudna e Charpentier – con un vistoso terzo posto vuoto – può essere visto come un segnale importante sull’attribuzione dell’invenzione alle due scienziate.
Fibrosi cistica, distrofia muscolare di Duchenne, anemia a cellule falciformi: queste sono solo alcune delle malattie genetiche che colpiscono l’uomo, spesso invalidanti e che abbassano di molto l’aspettativa di vita. Non solo, ci sono molti tumori la cui probabilità di insorgenza dipende dalla mutazione di uno o più geni, e si potrebbe continuare così per molto: una tecnologia come quella di Crispr, che permette di correggere puntualmente un gene difettoso, rappresenta una speranza per tutta la comunità medica. Sappiamo bene, però, che tutto ciò che può essere usato come trattamento di malattie, (specie le cosiddette terapie avanzate, che utilizzano le ultime scoperte della biologia cellulare e molecolare) deve essere supportato da dati e strettamente regolamentato. In più, la modificazione delle cellule umane potrebbe aprire una delle applicazioni più controverse della tecnologia Crispr: l’editing genetico delle cellule germinali, oppure di embrioni. E il 26 novembre 2018, sembra concretizzarsi il timore di chi vede nelle tecnologie di modificazione del genoma insormontabili dilemmi etici, con il nome di Lulu e Nana. Il biofisico cinese He Jiankui, infatti, annuncia di aver fatto nascere le prime bambine modificate geneticamente con la tecnologia Crispr: nell’ambito di una sperimentazione condotta dallo stesso He (c’è da puntualizzare, non autorizzata e i cui risultati non sono stati sottoposti al processo di peer review), in sette coppie che dovevano sottoporsi alla fecondazione in vitro sono state impiantati embrioni modificati con Crispr. In particolare, dal momento che i padri di tutte le coppie erano positivi all’infezione da Hiv, negli embrioni è stato eliminato il gene ccr5, la porta di ingresso del virus nelle cellule umane. Da questa sperimentazione, che ben superava i limiti del lecito, sono nate una coppia di gemelline, soprannominate appunto Lulu e Nana, annunciate a gran voce da He come i primi esseri umani immuni all’Hiv. In realtà, tutto ciò che riguarda questa storia è fumoso: di He non si è saputo molto, salvo poi ricomparire nelle cronache nel 2019, per la sua condanna a 3 anni di reclusione per pratiche mediche illegali, mentre il destino di Lulu e Nana è avvolto nel mistero. Nelle riviste scientifiche appaiono diversi lavori di modifiche di embrioni umani grazie alla tecnologia Crispr, ma – ovviamente -nessuno di essi è stato impiantato in utero: si tratta di un eventuale passo successivo che la comunità scientifica vuole valutare, mettendo al riparo questa potente tecnologia da controverse implicazioni etiche.
Fonte immagine: Nature.com
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