Pasternak e la censura del regime

Pasternak e la censura del regime

di Matteo Bringiotti, V G, Liceo Scientifico Galileo Galilei, Alessandria

Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.

In certi contesti politici la libertà di espressione è un lusso che non ci si può permettere. Tale è stato sicuramente quello dell’Unione Sovietica, nel quale vita difficile ebbe Boris Pasternak, uno dei più grandi letterati russi del XX secolo. Lo scrittore moscovita ha sempre avuto un atteggiamento distaccato nei confronti del Partito, “non allineato”. Atteggiamento non gradito ma che non gli ha precluso una certa notorietà come poeta. Fu però l’unico romanzo che scrisse a procurargli sia un successo internazionale che il disprezzo del regime stalinista: ‘Il dottor Živago’.

Il capolavoro di Pasternak si inserisce, per dirla con Montale, “per l’ampiezza del quadro e per la primordialità delle passioni nella tradizione tolstoiana” ma allo stesso tempo raccoglie le eredità del modernismo di Joyce, Proust e Kafka, in un’opera dal grandioso impianto narrativo e in cui si respira un senso del provvidenziale e dell’ineluttabilità del destino. Ma ciò che ha destato scalpore è il racconto che Pasternak restituisce della Rivoluzione d’ottobre e della successiva guerra civile. Una rivoluzione imposta con la forza, “non idealizzata nelle università, maniera 1905, ma nata dalla guerra, sanguinosa, la rivoluzione dei soldati”, seguita da anni di requisizioni, miseria e carestie. Anni caratterizzati da violenza e sospetto, nei quali Bianchi (controrivoluzionari) e Rossi (bolscevichi) “gareggiavano in efferatezze, moltiplicando le atrocità per rappresaglia e reazione”; fino alla definizione di un potere bolscevico ancora più aspro di quello zarista.

Il contesto della storia russa, dai moti del 1905 fino all’estate 1943, fa da sfondo all’epopea del medico e poeta Jurij Živago, costretto lontano dalla sua famiglia prima dalla chiamata al fronte e poi dall’arruolamento forzato nell’Armata rossa, che diserterà dopo qualche tempo. Un personaggio colto e retto, rivoluzionario ma avverso ai metodi bolscevichi; tanto saldo nelle sue posizioni politiche quanto intimamente diviso dall’amore per due donne: Tonja e Lara. Živago porta il fardello della solitudine e della fragilità del pensatore dissidente, deluso dagli amici che si “conformano”, fino al tragico epilogo.

Forte è l’impronta autobiografica dell’autore, che infatti dal ‘36 si ritirò in una villa di Peredelkino, sempre più contrario allo Stalinismo. Nel Dopoguerra iniziò la stesura del romanzo che, nel ‘56 fu rifiutato dall’Unione degli scrittori. Un libro tanto dissacrante era ovviamente inaccettabile per i canoni del “realismo socialista”, quella tendenza dispotica che non solo esigeva una cultura piegata al Partito, ma ripudiava anche il ricorso a formalismi e sperimentalismi.

Dopo varie traversie Feltrinelli riuscì ad avere l’anteprima mondiale del romanzo, pubblicandolo in italiano per la prima volta nel novembre ‘57. Il successo fu immediato, in un solo anno contò 31 ristampe e Pasternak fu proposto per il Nobel per la letteratura. Candidatura inizialmente non accettata dal comitato, in quanto ‘Il dottor Živago’ non era stato pubblicato in lingua originale. Quello che successe dopo ha del filmico. La Cia e l’MI6 (si era in piena Guerra Fredda) dirottarono a Malta, con una scusa, un aereo contenente una delle poche copie del libro in russo. Gli agenti segreti prelevarono dalla stiva e fotografarono per intero il manoscritto, per poi stamparlo e inviarlo a Stoccolma. Questo rivelava nel 2007, a cinquant’anni dall’accaduto, lo storico Ivan Tolstoj. Noto è invece il resto della storia. Nel ’58 Pasternak vinse l’ambito premio, ma Chruščёv lo accusò di tradimento e gli vietò di ritirarlo, pena l’espulsione. Lo scrittore obbedì ma fu comunque ostracizzato e morì nella miseria due anni dopo. Il romanzo fu stampato in Russia solo nel 1988.

È questa una vicenda che deve far riflettere sul potere politico della letteratura e soprattutto su come troppo spesso venga, per questo, strumentalizzata o censurata.