Inarea traslazionale
intervista a Andrea Onetti Muda
di Sofia Gaudioso e Mattia La Torre
L‘Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nasce a Roma nel 1869 e dal 1985 è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs). È il più grande Policlinico e centro di ricerca pediatrico in Europa e per questo un centro di riferimento nazionale e internazionale. Abbiamo chiesto al Direttore Scientifico Andrea Onetti Muda di parlarci di questa istituzione passando dall’organizzazione alla ricerca e dalla formazione al rapporto con i pazienti e le famiglie e ai progetti internazionali.
Come è diventato Direttore Scientifico del Bambino Gesù?
Ho avuto l’incarico di Direttore scientifico dal 1° gennaio di quest’anno. Questa per me è un’impresa entusiasmante che ha richiesto una ristrutturazione completa del mio ruolo all’interno dell’ospedale. Fino al 31 dicembre sono stato direttore del Dipartimento di Medicina diagnostica e di laboratorio, dove dirigevo un gruppo di quasi 300 persone con specializzazioni molto diverse tra di loro, ma con un comune denominatore: il bancone. Si tratta di una rappresentazione, in piccolo, di un modo virtuoso di intendere l’attività di ricerca all’interno di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico come il nostro Ospedale. In questa tipologia di istituzioni si dà molto valore alla ricerca traslazionale, ovvero all’attività scientifica che dal bancone arriva il prima possibile e in modo efficace al letto del paziente, inteso sia come il degente o l’assistito in ospedale che come un paziente che necessiti di presa in carico e follow up sul territorio.
Una struttura sanitaria si regge su tre pilastri: l’assistenza vera e propria, l’attività scientifica e l’amministrazione. Tutte e tre devono funzionare bene per sostenersi e supportarsi a vicenda.
Come è organizzato l’Ospedale?
Quando si parla di sanità, ci si concentra sempre sull’assistenza, la parte più chiara ed evidente, e sulla ricerca scientifica, che fa in modo che l’assistenza ai pazienti sia sempre più di qualità. Spesso si tace sull’importanza dell’amministrazione e dell’attività gestionale, che invece è di fondamentale aiuto ai ricercatori e ai medici, che possono concentrarsi sulla loro attività. Una struttura sanitaria si regge su tre pilastri fondamentali, che sono l’assistenza vera e propria, l’attività scientifica e l’amministrazione. Tutte e tre devono funzionare bene per sostenersi e supportarsi a vicenda.
La presenza fisica di un parente è cruciale per far accettare nel modo migliore al piccolo paziente la malattia, qualsiasi essa sia. Direi che la presenza dell’affetto, della parte emotiva ed emozionale, è tanto importante quanto quella razionale.
Quanto è importante il rapporto medico-paziente e come vi rapportate con i pazienti di età infantile e con le loro famiglie?
Questo è un argomento che abbiamo affrontato insieme alla direzione sanitaria e alla direzione amministrativa, molto attenta a questo aspetto. Il percorso che è stato individuato per assicurare ai nostri piccoli pazienti una presa in carico che sia il più efficace possibile, prevede che la famiglia sia accanto al nostro paziente anche fisicamente e che sia regolarmente informata sugli aspetti e sull’evoluzione della sua condizione. La presenza fisica di una mamma o di un papà è cruciale per far accettare nel modo migliore al piccolo paziente la malattia, qualsiasi essa sia, così come l’ospedalizzazione. L’affetto e la presenza dei familiari sono importanti quanto l’assistenza degli specialisti. Questi due anni di pandemia da Covid-19 hanno evidenziato quanto la mancanza di vicinanza abbia danneggiato in modo significativo anche la parte emotiva ed emozionale dei nostri figli, dei nostri piccoli pazienti. Sono aumentati esponenzialmente i casi di turbe psichiche anche gravi e più che triplicati gli ingressi al pronto soccorso per tentativo di suicidio in età pediatrica. A questo proposito mi piace citare l’impegno che ha avuto questa istituzione anche nel definire il ruolo e l’importanza dell’accompagnamento della famiglia nelle fasi finali, laddove le cure non siano sufficienti a garantire la sopravvivenza dei nostri pazienti. È stata inaugurata recentemente dalla Presidente Mariella Enoc una struttura, in località Passoscuro, vicino a Palidoro, dedicata all’accompagnamento nelle fasi terminali della vita dei piccoli pazienti. In questo Centro di cure palliative è prevista la possibilità per i genitori, i parenti o per chi ne ha diritto, di vivere accanto ai malati in una fase delicata del percorso. Il medico deve anche sapersi confrontare con i parenti, e questa cosa non è così semplice; per questo deve essere formato anche su questo aspetto. Tendiamo a pensare che il medico bravo sia quello che somministra la cura migliore, o che faccia il miglior intervento chirurgico, o identifichi la migliore diagnosi. Questo è importantissimo, ma non è tutto.
Il bambino non è un piccolo adulto, è un mondo totalmente diverso che richiede una formazione differente. Noi formiamo specialisti in pediatria del futuro che porteranno il loro ruolo sul territorio nazionale e internazionale.
Come sono coinvolti gli studenti?
C’è un coinvolgimento sicuramente strutturato perché il nostro è un ospedale accademico. Abbiamo un rapporto diretto con l’Università di Tor Vergata, la cui Scuola di pediatria, diretta dal professor Rossi, è presente fisicamente all’interno dell’ospedale. Gli studenti del corso di laurea di Medicina, così come quelli delle professioni sanitarie e gli specializzandi di pediatria, si formano qui al Bambino Gesù. Inoltre anche altre università, tra cui La Sapienza e il Campus Biomedico, mandano i loro studenti a formarsi all’interno del nostro ospedale. Circa il 20% degi studenti che si formano da noi si occupano di ricerca. Il Bambino Gesù è uno degli ospedali pediatrici più grandi d’Europa, e per questo c’è un forte interesse per la formazione di quelli che saranno i medici, i biologi, gli infermieri e i tecnici di laboratorio del futuro. Questo compito è fondamentale perché creiamo degli specialisti in pediatria che porteranno avanti il loro ruolo sul territorio nazionale e, perché no, internazionale. Ricordiamoci che il bambino non è un piccolo adulto, ma un mondo totalmente diverso, che richiede uno studio e una formazione differente rispetto a quello dell’adulto.
Che tipo di ricerca è svolta al Bambino Gesù e come si coniuga con la clinica?
La ricerca è soprattutto di tipo traslazionale, cioè quella che consente di trasferire il più rapidamente possibile i risultati della ricerca alla clinica. Il percorso di ricerca è bidirezionale, perché la necessità di capire meglio il paziente e indagare la patologia che lo affligge, crea delle domande che vengono indirizzate alla ricerca. La ricerca studia e cerca le risposte, talvolta totali, altre volte paziali, che vengono in seguito ritrasferite alla clinica, che può dare al paziente le risposte adeguate. Questa è una semplificazione di un percorso virtuoso che non deve fare altro che passare dalla clinica, dove emergono le necessità, alla ricerca. È da questa contaminazione tra ricercatori e clinici che si ottengono risultati migliori sia in ricerca, con le pubblicazioni scientifiche, che in clinica, attraverso l’individuazione di un percorso di cura per determinate patologie.
Che progetti ha per il futuro del Bambino Gesù?
Salgo sulle spalle del gigante che mi ha preceduto, ovvero il professor Bruno Dallapiccola, genetista di fama mondiale, che per 13 anni è stato Direttore Scientifico di questa struttura. Tutto ciò che si è raggiunto in questi anni è il frutto della sua gestione. Sono intenzionato a continuare seguendo la linea di Dallapiccola, mantenendo la qualità scientifica e i rapporti di collaborazione nazionali e internazionali che sono attualmente in essere. Nel mio progetto triennale di direzione scientifica vorrei implementare la connessione tra gli altri Irccs pediatrici italiani e la partecipazione del Bambino Gesù alle reti ERN, con lo scopo di mettere in condivisione dati e conoscenze. In pediatria esistono tantissime malattie inquadrate come malattie rare, perché le malattie geneticamente determinate sono molto più evidenti in età pediatrica. Queste malattie, essendo rare in termini di persone che colpiscono, se prese singolarmente non possono fornire quella quantità di informazioni necessarie per garantirne una conoscenza tale da individuare un trattamento efficace. Ma se le malattie rare che vediamo al Bambino Gesù le mettiamo insieme alle malattie rare che si vedono in tutti gli altri ospedali pediatrici nazionali e internazionali, allora la concentrazione di dati e di esperienze messe a fattor comune, consente di poterle analizzare e di arrivare a risultati che siano statisticamente significativi. Questo sarà uno dei miei target principali nella gestione dell’attività scientifica di questo ospedale.
Il Bambino Gesù ha rapporti con diversi paesi del mondo, sia per fornire attività assistenziali e di aiuto in specifiche condizioni cliniche, sia per favorire la formazione delle figure sanitarie cruciali perché una struttura possa fornire un’assistenza completa al paziente.
Lei è stato in missione con il Bambino Gesù in Repubblica Centrafricana, ci può raccontare questo progetto e se sono previste altre iniziative di questo tipo?
La missione in Repubblica Centrafricana è stata un’opportunità che mi è stata data quando sono arrivato qui al Bambino Gesù, cinque anni e mezzo fa. Al progetto di costruzione di una struttura ospedaliera dedicata al trattamento dei disturbi alimentari nell’unico ospedale pediatrico della Repubblica Centrafricana che si trova a Bangui, la capitale, si è affiancato un programma di formazione di medici pediatri. Questo perché quando le organizzazioni modello Emergency o Medici senza Frontiere, che fanno un lavoro veramente fantastico, vanno via, lasciano un vuoto difficilmente colmabile. Il Bambino Gesù ha attivato una collaborazione con la Scuola di medicina dell’Università di Bangui proprio per offrire la nostra esperienza al fine di garantire la formazione dei medici e degli specialisti pediatrici locali. La collaborazione in Repubblica Centrafricana, ancora attiva, è stata operativa anche durante gli anni di pandemia, nei quali fisicamente non ci siamo potuti muovere: nel 2020 abbiamo attivato una piattaforma sulla quale gli studenti hanno potuto seguire le lezioni e fare gli esami a distanza, senza interrompere la loro progressione formativa nell’ambito del corso di laurea. Anche questa piattaforma è ancora attiva e quindi i nuovi studenti, anche quelli che non ho conosciuto, possono continuare a formarsi. Credo che questa continuità sia una cosa molto importante. Il Bambino Gesù non ha rapporti solo con la Repubblica Centrafricana o con la Costa d’Avorio, dove andrò la prossima settimana, ma è presente in 14 paesi del mondo per fornire attività assistenziali e di aiuto in specifiche condizioni cliniche, che possono andare dalla cardiologia alla cardiochirurgia, dalla nefrologia alla neurologia, ma anche di supporto didattico, e quindi di formazione, non solo di medici, ma anche di infermieri, dtecnici di laboratorio, e altre figure sanitarie cruciali perché una struttura possa andare avanti e fornire un’assistenza completa al paziente. Perché ricordiamoci che per quanto bravo possa essere un medico, senza assistenza sanitaria i risultati sarebbero scadenti.
Andrea Onetti Muda, medico e Direttore Scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
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