Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian P. Schmidt: le stelle della fisica
di Raffaele D’Anna 2M Liceo Scientifico Talete – Roma
Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.
Sapere che l’universo è in una fase di espansione accelerata, dimostrare l’inesattezza della teoria di un rallentamento a causa della gravità, è stata una scoperta talmente importante da meritare l’assegnazione del premio Nobel per la fisica.
Il premio è stato condiviso nel 2011 da tre scienziati statunitensi: Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian P. Schmidt.
Il loro percorso, iniziato nel 1998, si è concluso con una scoperta straordinaria destinata ad avere un grande impatto sulle nostre idee in campo cosmologico.
Basandosi sull’osservazione delle stelle supernove di tipo Ia, utilizzate come candele standard, a causa delle loro definite curve di luminosità, hanno calcolato la distanza dell’allontanamento dell’universo. Le supernovae di tipo Ia emettono tutte la stessa quantità di radiazione al momento dell’esplosione. La luminosità assoluta, ovvero la radiazione emessa in un’unità di tempo, è stata ricavata per le supernovae più vicine la cui distanza è nota.
Poiché tale luminosità è la stessa anche per le supernovae lontane, si è potuto ricavare la distanza attraverso lo studio della loro luminosità apparente. È stato osservato che le supernovae distanti sono meno luminose del previsto e hanno un’accelerazione che le trascina a distanze inaspettatamente grandi.
Dunque non solo non c’è nell’universo materia sufficiente da frenarne l’espansione, ma un meccanismo ancora misterioso ne aumenta la velocità.
Questa nuova scoperta ha portato ad interpretazioni diverse sull’universo; secondo alcuni scenari più estremi, se l’accelerazione dell’espansione dell’universo dovesse effettivamente continuare ad aumentare, le galassie si allontanerebbero al punto che l’universo apparirebbe oscuro, portando al disgregamento della materia.
Ciò si configurerebbe con la fine del mondo: questa teoria, denominata Big Rip, si contrapporrebbe all’Apocalisse dei testi religiosi, così come la teoria del Big Bang si è contrapposta alla Creazione. Tutto ciò sfocia nel contrasto tra scienza e teologia; ma se per l’inizio del mondo è stata verificata La Grande Esplosione, per la fine del mondo esisteva la sola teoria religiosa, adesso, invece, riconducibile al Big Rip.
Il rapporto scienza-fede ha accompagnato l’uomo, che, fin dai tempi di Galileo, si è posto nei confronti del mondo con curiosità, facendosi domande dettate dall’osservazione dell’universo. Il lavoro degli scienziati statunitensi ha contribuito a fare un passo in avanti rispetto al mistero della natura e dell’infinito; la vita dell’uomo è misera cosa rispetto alla grandezza dell’universo ed è ancora lungo il percorso che porterà a fare chiarezza su un mistero tanto grande.
La ricerca scientifica è uno strumento valido per il progresso dell’umanità e la condivisione dei risultati è un aspetto cruciale per la scienza. Da una piena e diffusa condivisione dei dati della ricerca dipende la possibilità di testare nuove ipotesi, verificare eventuali errori sperimentali, validare nuovi strumenti d’analisi e pianificare al meglio studi futuri.
Il Nobel assegnato a Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian P. Schmidt costituisce secondo me un punto di partenza per nuove sorprendenti scoperte.
credits immagine: spazio luce energia
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