Peter Medawar: la ricerca scientifica come “arte del risolvibile”
Spesso presentato come l’uomo che ha reso possibile il trapianto di organi, sono i risultati positivi dei suoi esperimenti ad aver spinto altri scienziati a credere con ragione nelle possibilità di successo nel campo dei trapianti
Nel 2016 in Italia sono stati eseguiti circa 3.700 trapianti di organi, con un trend in crescita del 12% rispetto all’anno precedente. Operazioni rese possibili da anni di ricerche e dallo sforzo e la costanza di brillanti scienziati. Tra di loro spicca senz’altro Peter Brian Medawar, Premio Nobel per la medicina nel 1960 insieme a Sir Frank Macfarlane Burnet per la scoperta della tolleranza immunologica acquisita.
Medawar nasce in un quartiere periferico di Rio de Janeiro il 28 febbraio 1915 da padre libanese e madre britannica. Inizia i suoi studi di biologia in Inghilterra al Marlborough College, per poi proseguire con la zoologia al Magdalen College di Oxford. Dopo il conseguimento della laurea, lavorando alla scuola di patologia di Oxford, s’interessa della ricerca nel campo della biologia legato alla medicina. Si sposa nel 1937 con Jean Shinglewood Taylor, figlia di un fisico di Cambridge, con cui metterà al mondo quattro figli. Le sue intuizioni brillanti e la sua passione per la didattica gli consentono di diventare professore in diversi college britannici e di ricevere importanti riconoscimenti, tra cui la Royal Medal della Royal Society di Londra nel 1959.
Il periodo più proficuo della sua ricerca inizia durante le prime fasi della seconda guerra mondiale, quando il Medical Research Council gli chiede di studiare un problema importante per i feriti di guerra: le perdite di cute dovute a ustioni. Per curare tali ferite era necessario utilizzare la pelle proveniente da donatori volontari eseguendo un trapianto tra individui differenti, il cosiddetto omotrapianto. Diventava di conseguenza indispensabile capire il motivo per cui la pelle presa da un essere umano non era in grado di formare un innesto permanente sulla pelle di un’altra persona. Con le ricerche in quest’ambito Medawar getta le basi per il suo futuro lavoro a Birmingham in collaborazione con Rupert Everett Billingam, con cui studierà i problemi di innesto cutaneo su gruppi di bovini gemelli monozigoti ed eterozigoti. Gli ostacoli incontrati nel condurre gli esperimenti si risolveranno grazie alla lettura del libro The Production of Antibodies di Burnet e Frank Fenner e grazie agli importanti risultati ottenuti da Ray David Owen sullo scambio dei precursori dei globuli rossi tra i gemelli prima della nascita.
Medawar, Billingam e Leslie Brent, quest’ultimo conosciuto a Londra nel 1951, scoprono la tolleranza attivamente acquisita e dimostrano che il problema dei trapianti è in qualche modo risolvibile. Come afferma lo stesso Medawar nel suo libro I Limiti della Scienza «la barriera che impediva il trapianto tra organismi geneticamente differenti, fino allora ritenuta invalicabile, poteva venir superata; si doveva quindi affrontare la questione con uno spirito nuovo, sapendo che prima o poi si sarebbe riusciti a risolverla»; e continua «per questo dico che quei primi esperimenti non sono i diretti responsabili dei successi conseguiti oggi nel campo dei trapianti. Ebbero solo un effetto morale dimostrando a coloro che poi tali successi conseguirono che non si trattava di un progetto impossibile. Definire la ricerca scientifica ‘arte del risolvibile’, come ho appena fatto, è dunque perfettamente giustificato».
Il suo sguardo sulla filosofia della scienza, influenzato anche dall’amicizia con l’epistemologo austriaco Karl Popper di cui si fa portavoce divulgandone il pensiero, spinge Medawar a scrivere e pubblicare diversi libri, tra cui Advice to a Young Scientist nel 1979 e Pluto’s Republic nel 1982.
A soli 54 anni Peter Medawar viene colpito da un ictus ed è quindi costretto ad abbandonare la carica di direttore del National Institute for Medical Research che aveva ottenuto nel 1962.
Medawar muore a Londra il 2 ottobre 1987. Ed è proprio alla sua morte che arriva il riconoscimento formale di uno dei suoi meriti più grandi: l’eccellenza nella comunicazione della scienza. Ad attestarla è il Michael Faraday Prize della Royal Society «per il contributo che i suoi libri hanno avuto nel presentare al pubblico, e agli scienziati stessi, la natura intellettuale e l’umanità essenziale di perseguire la scienza al livello più alto e il ruolo ricoperto nella nostra cultura moderna».
Credits immagine in evidenza: topbritishinnovations.org
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