Piante spaziali
“A cena sulla luna pomodori con il riso”. Paola Vittorioso, biologa molecolare del Dipartimento Charles Darwin della Sapienza, ci racconta dei suoi progetti, della sua passione per la didattica e dell’importanza di studiare le piante nello spazio. Riusciremo a colonizzare Marte?
Qual è la scoperta che l’ha entusiasmata di più?
La scoperta che mi ha più emozionato emozionata è legata allo studio sulla germinazione utilizzando un approccio di reverse genetic (identificazione di una funzione di un gene analizzando gli effetti fenotipici di sequenze genetiche modificate, NdR). Quando sono arrivata alla Sapienza mi è stato dato un gene, un fattore di trascrizione di Arabidopsis, di cui dovevo capire la funzione. Sono andata a Versailles, da cui provenivo, e da una collezione di mutanti abbastanza ampia, con una notevole fortuna, ho tirato fuori un mutante inserzionale (knockout) con l’inattivazione solo in quel gene, passaggio essenziale per comprenderne la funzione. Nell’approccio di reverse genetic, una volta isolato il gene e creato un mutante knockout, si vede dove è espresso e quindi si cerca di individuare un fenotipo legato a esso. Ecco, questa è la cosa più complicata da fare, perché è raro che i geni siano letali e quindi quello che si fa è mettere il mutante in tutte le condizioni possibili e immaginabili confrontandolo con il wild type. Così una sera mi sono accorta che il mio mutante dopo dodici ore già germinava rispetto al wild type. Ecco, questo è stato il momento più emozionante e che ha segnato la mia carriera come esperta nella germinazione dei semi.
E quindi questo gene cosa portava?
I semi hanno una fase di dormienza ossia non germinano finché non si trovano in condizioni ottimali. Questo processo è regolato da un equilibrio ormonale, in particolare c’è un ormone che induce la dormienza e inibisce la germinazione e uno che aumentando promuove la germinazione e inibisce la dormienza. Ciò che è importantissimo non sono i livelli assoluti ma il loro rapporto. Quindi per indurre la germinazione ci sono i fattori ambientali: temperatura, acqua e luce, e quelli ormonali che sono regolati anche da quelli ambientali, in particolare dalla luce. Io ho quindi cominciato a studiare come questo fattore potesse effettivamente intervenire in quel meccanismo mettendo la pianta in diverse condizioni di luce. Ho capito, insieme a una mia dottoranda, che l’inattivazione di questo gene faceva sì che i semi della pianta mutante avessero bisogno di meno luce rossa per germinare, e anche di meno giberellinegibberelline, l’ormone che promuove la germinazione. Negli anni, siamo riusciti a capire che il gene mutato era responsabile della regolazione di uno dei geni fondamentalquesto mutante regolava unio dei geni fondamentali della biosintesi delle giberellinegibberelline. Abbiamo studiato questo gene anche su in Cardamine insieme a Raffaele Dello Ioio scoprendo che germina anche in assenza di luce.
E come siete arrivati alla Luna?
Nella dieta pensata per gli astronauti, e in futuro per la sopravvivenza sulla Luna, sono fondamentali le micro-verdure ricche in sali, minerali e vitamine. Tra queste c’è proprio Cardamine. Abbiamo scelto di studiare altre piante appartenenti alla famiglia delle del tipo Brassicacee per distinguerle in light deipendent come Arabidopsis e light indipendetindependent tra cui Cardamine e Lepidium per individuare piante a ridotto consumo energetico da far crescere in sistemi chiusi biorigenerativi. Anche se la difficoltà è rendere il suolo lunare, la regolite, coltivabile. Il progetto SEMINE nasce dalla volontà di caratterizzare il pathway molecolare di germinazione di Cardamine che è un organismo editabile modificabile geneticamente, e quindi perfetto come modello, e di usare le conoscenze acquisite per la crescita di Brassicacee edibili nei sistemi chiusi biorigenerativi sul suolo lunare. Il progetto è stato finanziato dalla Regione Lazio.
Altri sviluppi di Ssemine?
Adesso è uscito un nuovo progetto dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana, NdR) che ha l’obiettivo di arrivare a colonizzare la Luna e Marte e al quale vorremmo partecipare. In questo caso il primo obiettivo è creare piante che siano in grado di crescere in sistemi chiusi biorigenerativi sulla regolite che è il terreno più avverso per la crescita delle piante: è roccioso, con ph estremeamente alcalino e senza azoto e inoltre ha molti metalli pesanti.
E come avete pensato di rendere la regolite idoneo idonea alla crescita delle piante?
Per acidificare un terreno così alcalino, conoscendo il gene delle pompe protoniche, possiamo sovraesporlo rimerlo affinché secerna maggiori quantità di ioni H+. Questo già lo riusciamo a fare in Arabidopsis e quindi potremmo fare lo stesso in Cardamine. A questo punto la regolite ha un ph acido adatto per la crescita delle piante ma necessita di azoto. Per questo motivo l’idea è quella di utilizzare Medicago truncatula, una leguminosa molto utilizzata come sistema modello che stabilisce rapporti simbiontici con organismi azoto-fissatori, quali i rizobi, all’interno di noduli. Questa pianta ha un controllo molecolare di quanti noduli forma per fissare l’azoto e alcuni mutanti hanno un controllo che le rende ipernodulanti e quindi fissano più azoto nel terreno. Quindi con Cardamine si acidifica il terreno e con Medicago si fissa l’azoto, per rendere la regolite più adatta alla coltura. Resta il problema dei metalli pesanti e in questo caso ci aiuta Lepidium, una pianta in grado di iperaccumulare i metalli pesanti e quindi di eliminarli dal terreno. A questo punto abbiamo un terreno coltivabile. L’idea è mettere in crescita micro-tom e micro-rice ossia piante di pomodoro e riso in taglia ridotta ma con le stesse caratteristiche nutrizionali e organolettiche di quelle normali.
In natura le piante si sono selezionate nel tempo in seguito ad adattamenti naturali, ad esempio un pomodoro che diventa resistente a infezione da virus a seguito di una mutazione genetica spontanea
La sua posizione sugli OGM?
Non c’è un progetto che non riguardi il Climate change perché non c’è vita senza piante. Non è un caso che le piante siano i primi organismi superiori ad aver invaso la superficie terrestre dal mare. Le piante sono organismi resilienti, quindi capaci di resistere ad ambienti avversi. I processi del ciclo vitale di una pianta sono regolati sia dalla luce che dalle temperature. Ad esempio, gli organi fiorali non si sviluppano se prima non c’è stato un periodo di freddo. Questo, oggi, con il cambiamento climatico, è un problema perché porta a squilibri come, ad esempio, una fioritura precoce che ha risvolti molto negativi sui raccolti. Per intervenire è necessario conoscere come è regolato il meccanismo e agire in modo specifico sul processo anche prevedendo di mutare le piante. Gli OGM rientrano in questo contesto. Anche in natura le piante si sono selezionate nel tempo in seguito ad adattamenti naturali, ad esempio un pomodoro che diventa resistente a infezione da virus a seguito di una mutazione genetica spontanea. Anche il cavolfiore è un mutante nelle cellule staminali vegetali. L’agricoltore può selezionare nella progenie la pianta che sopravvive all’infezione da virus, però non sappiamo se è cambiato solo il gene per la resistenza al virus oppure anche qualcos’altro. Invece, oggi grazie alla scienza posso prendere il gene per la resistenza e inserirlo in una pianta che non lo ha con la sicurezza di aver cambiato solo quello. Ecco, questo è un OGM. Ma non è finita qui: possiamo vedere qual è il gene per la resistenza e come è mutato rispetto a quello che sta nel genoma della pianta commerciale e attraverso l’editing e il Crispr Crispr-cCas9 introdurre questa mutazione che può essere considerata spontanea e naturale, creando una pianta assolutamente analoga a quella che si è selezionata naturalmente. Così facendo possiamo selezionare piante che resistono a diversi ambienti, in particolare al caldo e al freddo improvviso tipico del cambiamento climatico che stiamo vivendo oggi, introducentointroducendo solo la specifica singola mutazione puntiforme. La ricerca in questo ambito ci aiuta quindi a rispondere ai cambiamenti e a trovare soluzioni per preservare il mondo vegetale senza il quale non si potrebbe immaginare la vita.
L’agricoltore può selezionare nella progenie la pianta che sopravvive all’infezione da virus, però non sappiamo se è cambiato solo quel gene o anche qualcos’altro. Invece, oggi grazie alla scienza posso prendere il gene per la resistenza e inserirlo in una pianta che non lo ha con la sicurezza di aver cambiato solo quello. Ecco, questo è un OGM
Perché le piante nello spazio?
Anche se le prime navicelle spaziali risalgono a decine e decine di anni fa, prima non si riusciva nemmeno a pensare di arrivare alla fioritura e quindi di avere delle piante che si riproducessero. Gli studi erano prevalentemente sulla crescita in assenza di gravità e con microgravità. Oggi, come dicevo, si lavora su sistemi chiusi biorigenerativi. Tutto ciò ci servirà non solo a colonizzare l’ambiente extraterrestre ma anche la Terra che con il cambiamento climatico subirà modifiche alle quali dovremmo riadattarci (terreni arsi o ricchi di metalli pesanti, condizioni di scarsa luce, temperature elevate o molto basse). Stiamo studiando anche la risposta al Cold in Arabidopsis e Cardamine e la loro regolazione epigenetica. Il progetto vinto con il PRIN riguarda proprio l’identificazione di molecole che possano inibire o aumentare la tolleranza a fattori biotici.
Oggi, si lavora su sistemi chiusi biorigenerativi. Tutto ciò ci servirà non solo a colonizzare l’ambiente extraterrestre ma anche la Terra che con il cambiamento climatico subirà modifiche alle quali dovremmo riadattarci
Quindi lei si immagina una vita nello spazio?
Assolutamente sì.
Secondo me è importantissimo che la gente capisca il valore della ricerca di base anche da un punto di vista umano, utilizzando termini più accessibili. Mi ha sempre affascinata raccontare la mia passione a chi non ne sa nulla
Quanto è importante la divulgazione scientifica?
Per me è fondamentale e mi ha sempre affascinata poter raccontare il mio lavoro e la mia passione a persone che non ne sanno nulla. Il momento più emozionante è stato spiegare a mio padre la scoperta che avevo appena fatto sulla germinazione e di cui abbiamo pubblicato la ricerca. Lui era un carabiniere ufficiale dei Carabinieri e non ne sapeva nulla quindi gli ho raccontato perché era importante questo lavoro e che cosa dimostrava semplificando il linguaggio. È stata una soddisfazione enorme. Questa cosa poi l’ho rimessa in atto negli anni. Ad esempio, ho partecipato a trasmissioni quali Geo & Geo e Galileo dove ho parlato di argomenti scientifici di vario tipo e mi sono dovuta inventare degli esempi o dei modelli per far capire a un pubblico generalista quello che stavo spiegando.
Secondo me è importantissimo che la gente capisca il valore della ricerca di base anche da un punto di vista umano, utilizzando termini più accessibili per evitare diffidenza da parte dell’ascoltatore, evitando anche il rischio che si informi in altro modo, ad esempio su Intenet, strumento che senza avere le giuste competenze può condurre a situazioni come quella che abbiamo vissuto durante il Covid.
A un* giovan* dico di non pensare solo alle possibilità di lavoro, ma di concentrarsi sulla propria passione cercando di coltivarla con impegno
Che consiglio darebbe a un* giovan* che vuole intraprendere la carriera da scienziat*?
Quello che dico sempre anche quando faccio orientamento ai giovani nelle scuole è di non pensare solo alle possibilità di lavoro, ma innanzitutto di concentrarsi su ciò che piace loro di più e soprattutto sulla propria passione cercando di coltivarla con impegno. Il consiglio è quindi quello di capire che cos’è che ci piace veramente e di studiare e impegnarsi per fare di quello la nostra vita. Ho avuto la fortuna di avere una docente bravissima che mi ha spinto a partecipare a seminari e progetti anche quando non mi sentivo all’altezza. Questa cosa mi ha aiutata tantissimo soprattutto a sapermi presentare meglio agli altri: se all’inizio eroa da 28 sono diventata da 30 e lode. Io, per esempio, a 25 anni mi sono trovata davanti a una scelta: essere assunta per gestire i rapporti con le università nei contratti, oppure provare a fare veramente ricerca. Ho scelto la seconda, la mia passione.
L’insegnamento fa crescere non solo gli studenti ma anche noi docenti, cerco di supportare in modo non asfissiante e di creare un rapporto di fiducia. Ancora oggi ci sono ex-student* che mi scrivono dopo anni per chiedermi qualche consiglio
E con la didattica che rapporto ha?
Scommetto tanto sulla didattica. Senza dubbio è un grande impregno di tempo ma è anche una sfida: l’insegnamento fa crescere non solo gli studenti ma anche noi docenti. Mi sento molto mamma chioccia e questo l’ho scoperto negli anni. Cerco di supportare in modo non asfissiante e di creare un clima di fiducia tra me e i miei studenti. Ho scoperto anche che il piacere più grande non è la propria pubblicazione, ma la pubblicazione a primo nome di un mio studente perché significa che sono riuscita a trasmettergli qualcosa. Ancora oggi ci sono persone che mi scrivono dopo anni per chiedermi qualche consiglio anche a livello lavorativo e sono ancora in contatto con gli studenti degli anni passati dal mio primo anno ad oggi. Proprio in merito a questo, durante il Covid ho organizzato un aperitivo telematico con tutti loro ed è stato bellissimo. Credo che ogni tanto serva un punto di riferimento, è una bella responsabilità, ma è davvero appagante.
Paola Vittorioso, Biologa molecolare presso il Dipartimento “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma
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