Qual è il nesso tra pandemie e azione dell’uomo sulla natura?
Aumento della popolazione, caccia e traffico di animali selvatici, perdita di habitat naturali e della biodiversità. Un’analisi coordinata dal Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza evidenzia il nesso tra pandemie e intervento dell’uomo sulla natura
Luoghi e tempi diversi, stesso meccanismo: malattie trasmesse dal mondo animale all’uomo. Zoonosi. “Ebola, Sars, Zika, MERS, H1N1 e ora anche Covid-19 sono tutte malattie sviluppatesi in questo modo: il rischio di insorgenza non dipende di per sé dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, ma dall’influenza delle attività antropiche su queste aree e specie”. A dirlo è Moreno di Marco del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, coordinatore di un’analisi internazionale, Sustainable development must account for pandemic risk, pubblicata a febbraio su Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences).
Come fanno i patogeni degli animali a compiere il passaggio da una specie a un’altra, lo spillover? Passando dall’ospite serbatoio, dove non fanno troppi danni, all’essere umano, a volte con un ospite intermedio, l’amplificatore. Perché l’uomo fa pressione sulla natura. Ma come dice David Quammen, autore del libro intitolato proprio Spillover, “siamo una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”. E condividiamo la casa. Un matrimonio a tutti gli effetti. Quindi il rispetto è fondamentale.
L’uomo fa ristrutturazioni planetarie per rispondere alla rapida crescita demografica, ai cambiamenti nella dieta (maggior uso di prodotti di origine animale) e a un’aumentata richiesta di energia. Ecco allora deforestazione e consumo di suolo; incremento di terreni agricoli e pascoli; inquinamento dell’aria e delle acque. Che portano alla perdita di habitat naturali e biodiversità, all’aumento del rischio di contatto tra esseri umani e animali selvatici e al cambiamento climatico. E lo studio denuncia “la poca attenzione posta al nesso tra cambiamento ambientale e insorgenza di malattie infettive, sebbene quasi tutte le recenti pandemie siano dovute a interazioni tra animali (fauna selvatica per lo più) ed esseri umani, a causa di una maggiore densità di popolazione e ai cambiamenti antropogenici dell’ambiente”.
I 17 obiettivi (Sustainable Development Goals, Sdg) che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha individuato per uno sviluppo sostenibile “sono connessi”, dice Di Marco. “La necessità di più cibo, di conservare la biodiversità e di mitigare il cambiamento climatico non si possono considerare separatamente, o il rischio di nuove malattie infettive può essere un punto cieco dello sviluppo sostenibile, perché i meccanismi che ne determinano l’insorgenza interagiscono in modo cruciale con quelli necessari al raggiungimento degli obiettivi”. Un esempio. L’obiettivo 2 è fame zero: espandere e intensificare le coltivazioni e introdurre e incrementare l’allevamento di bestiame saranno le azioni, che però comporteranno un’alterazione dell’ecosistema e un aumentato rischio di malattie infettive. Dunque “gli sforzi per ridurlo richiedono compromessi con gli Sdg, poichè entrambi basati sulle stesse risorse planetarie. Ecosistemi intatti sono importanti per la prevenzione delle malattie infettive, per mantenere i patogeni entro la comunità animale e limitarne la probabilità di trasmissione agli esseri umani”.
La chiave di volta per gli scienziati è perciò “integrare la valutazione del rischio di pandemie nella pianificazione per lo sviluppo sostenibile, con un approccio interdisciplinare a questi obiettivi, per connettere salute e ambiente a livello locale, nazionale e globale”. E ancora: “Quest’integrazione deve avere priorità affinché sia possibile prevenire e non dover reagire a potenziali conseguenze catastrofiche per l’umanità”.
Con un occhio attento all’aspetto economico: Ebola (2013-16), ha causato di più di 10 miliardi di dollari di danni economici; per Covid 19, dopo circa sei settimane dal primo caso, le stime indicavano un possibile impatto economico di 150 miliardi di dollari. L’attuale approccio economico, spiegano gli autori, “è rivolto al post-pandemia, ma promuovere la riduzione del rischio a monte, mediante prevenzione e rilevazione di minacce biologiche per evitare eventi di spillover, potrebbe offrire migliore protezione economica e permettere di raggiungere le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale, ambientale”.
Credits immagine in evidenza: Public Domain Vectors
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