Quando il farmaco non c’è
Nei mesi scorsi l’EMA (l’Agenzia Europea per i Medicinali) ha prima vietato e poi approvato l’uso in Europa di un nuovo farmaco contro l’Alzheimer, il Lecanemab. Il farmaco è un anticorpo monoclonale che, assunto in fase precoce, rallenterebbe lo sviluppo della malattia. La decisione, limitata a una specifica classe di pazienti è stata presa sulla base di una valutazione costi/benefici. Questo tipo di giudizio su rischi e opportunità benefiche è alla base di ogni scelta sulla sperimentazione clinica e poi eventuale commercializzazione dei farmaci. Nel caso della malattia di Alzheimer valutazioni del genere assumono una sfumatura particolare. In genere, rischi e benefici di un farmaco riguardano la sopravvivenza dei pazienti e la loro qualità di vita. Il caso della malattia di Alzheimer (come altre condizioni neurodegenerative) riguarda, invece, l’identità delle persone. Come noto, infatti, la condizione di un malato di Alzheimer consiste nella più o meno lenta e irreversibile perdita della memoria e con essa di tutta una serie di funzioni che nel corso della vita hanno definito il carattere, e quindi l’identità, di quella persona. In gioco in questo caso non è il vivere o il morire, o il vivere più o meno bene. In gioco è il potere continuare a essere se stessi o lo scivolare in una condizione che di fatto trasforma la persona in “qualcun altro”, a dispetto della continuità del corpo. In un caso del genere, per preservare il proprio carattere e la propria identità, sembrerebbe comprensibile che si scelga di correre rischi anche alti. Le persone dovrebbero essere libere di lasciare direttive anticipate che, in caso di malattia di Alzheimer, impongono di non applicare trattamenti salvavita. Allo stesso modo dovrebbero essere libere di tentare terapie innovative, ma rischiose, per potere continuare a essere se stesse il più a lungo possibile.
Simone Pollo, filosofo morale della Sapienza Università di Roma
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