Sabrina Sabatini e il meraviglioso mondo delle cellule staminali vegetali
di Barbara Orrico
Vincitrice dell’Armenise Mid-Carrer Award, la scienziata Sabrina Sabatini considera la ricerca sulla biologia vegetale utile per possibili scoperte complementari alla ricerca medica
Quando le chiediamo di spiegarci il suo concetto di ricerca di base, Sabrina Sabatini, una delle due prime vincitrici del recente Armenise Mid-Career Award, ci risponde senza tanti giri di parole con un pensiero di Leonardo da Vinci: “Quelli che s’innamorano di pratica senza scienza son come il nocchiere, che entra in naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”.
Lei appartiene a quel gruppo di super cervelli che non è fuggita definitivamente dall’Italia e ci è tornata molto volentieri per contribuire ad arricchire il tessuto di quella ricerca pura che ha come obiettivo primario l’avanzamento della conoscenza; quella ricerca che è il fondamento necessario e imprescindibile per consentirci di capire ogni cosa, di fare scoperte che possono rivelarsi significative anche a distanza di anni.
Rientrata in Italia nel 2003, dopo avere lavorato nel Dipartimento di Genetica e Biologia dello sviluppo dell’Università di Utrecht in Olanda, Sabrina Sabatini, 52 anni, laureata in Scienze Biologiche all’Università Sapienza, dove ha anche conseguito un dottorato di ricerca in Genetica e Biologia Molecolare e dove è professore associato, ha dato vita al Laboratorio di Genomica Funzionale e Proteomica dei Sistemi Modello grazie all’Armenise Harvard Career Development Award. Con il suo gruppo di ricerca, composto da una quindicina di persone, utilizza modelli vegetali per studiare i complessi meccanismi molecolari che controllano l’equilibrio tra divisione e differenziazione cellulare. Proprio i vegetali possono essere un ottimo modello su cui studiare la logica del comportamento delle staminali e dall’analisi di analogie e differenze tra cellule animali e vegetali si potrebbero anche trarre informazioni preziose sulla fisiologia umana.
Cosa significa ricevere un Armenise Mid-Career Award in questo momento della sua vita e carriera? E cosa significa per la sua ricerca?
Il premio è arrivato in un momento molto delicato. La Fondazione Giovanni Armenise Harvard, una delle poche realtà che sostiene la ricerca di base, con questo nuovo tipo di finanziamenti ha cercato di colmare un gap che si viene a creare spesso nella carriera degli scienziati. In generale, si finanziano ricercatori molto giovani per consentirgli di avviare il loro percorso, oppure coloro che si sono distinti in modo particolare per studi e pubblicazioni e che si trovano non alla fine della loro carriera ma quasi. C’è quindi un vuoto centrale tra le fasi iniziali e quelle avanzate della carriera di ricerca, in cui magari chi sta facendo bene e ha pubblicato bene, occupandosi di questioni importanti, ha difficoltà a trovare risorse economiche. Questo è vero soprattutto in Italia, dove notoriamente i finanziamenti alla ricerca sono scarsissimi, in modo particolare a quelli per la ricerca di base. Questo finanziamento è quindi una boccata di ossigeno per tutto il gruppo, perché mi permette di pagare le persone che sono cresciute con me e che vogliono proseguire la ricerca nel mio laboratorio, di trattenerle in Italia con dei contratti.
Ci racconti la sua ricerca.
Da tempo ci occupiamo dei meccanismi molecolari che permettono alle cellule staminali di differenziarsi. L’idea che abbiamo avuto è stata quella di usare le cellule staminali vegetali perché hanno delle caratteristiche incredibili rispetto a quelle animali, ovvero capacità rigenerative molto elevate. Vivono per molti anni: nelle foreste svedesi si è trovato un albero che ha 9.000 anni. Ebbene, noi siamo curiosi di capire che tipo di “strategie” mettono in atto tali cellule per assicurare la crescita continua delle piante, ci occupiamo di trovare i geni responsabili di queste caratteristiche favolose. I test hanno dimostrato che il momento della ‘trasformazione’, cruciale per la vita delle cellule, si può riassumere in un modello matematico che consente simulazioni al computer per ottenere previsioni precise sul loro comportamento.
Perché la biologia vegetale?
Il motivo principale è legato alla straordinaria capacità di sopravvivenza delle piante: se qualcuno ti dicesse che esiste un organismo che può vivere per migliaia di anni, che è capace di trasformare la luce in suo sostentamento, che contiene cellule staminali in grado di rigenerare continuamente organi, non saresti curioso di capire come sia possibile?!
Cosa accadrebbe se non si facesse ricerca di base?
Non ci potremmo spiegare molte cose, anche molto semplici. É successo spesso che alcune scoperte all’inizio non sembrava avessero una grossa importanza ma poi invece in futuro si sono rivelate fondamentali. Pensiamo al petrolio, quando fu scoperto non si sapeva cosa farci, non si sapeva a che cosa sarebbe servito. Talora, la ricerca di base viene penalizzata proprio per gli elevati costi di avvio, i tempi e l’incertezza di sviluppi commerciali e industriali. Spesso ha applicazioni a distanza di anni e a volte anche di decenni. Bisogna comunque fare ricerca, fare ricerca di base affiancata alla ricerca applicata. E bisogna anche farsi semplicemente guidare dalla curiosità, non solo pensare a come ci si possa guadagnare rischiando di rimanere fossilizzati sugli stessi filoni di ricerca e non cercarne di nuovi.
Su quale studio specifico state lavorando ora?
In questo momento ci stiamo occupando di capire come le dimensioni e la forma di una specifica cellula riescono a influenzare la sua attività. Ci sono vari studi, anche in campo animale, che dimostrerebbero che la forma e la dimensione di una cellula condizionerebbero enormemente la sua attività. Quindi, il nostro lavoro ora è quello di capire proprio la relazione che esiste tra struttura e funzione.
Quali sono i risultati che considera più importanti nella sua vita professionale fino a oggi?
Essere riuscita a tornare in Italia con una borsa che mi ha permesso di intraprendere le mie ricerche in modo indipendente, di dare vita al laboratorio e al team di lavoro. Se penso che all’inizio c’era a malapena solo un impianto elettrico… In laboratorio si è creata una vera e propria famiglia, tutti sono a disposizione l’uno dell’altro, c’è davvero un forte spirito di squadra. Alcuni dei collaboratori hanno iniziato a lavorare con me quando ancora erano studenti universitari. Ho avuto la fortuna di vivere e contribuire al loro percorso di crescita. Un altro risultato importante per me è stato quello di aver vinto l’European Research Council Consolidator Grant, finanziamento considerato tra i più prestigiosi in Europa. Sono poi diventata membro EMBO, l’European Molecular Biology Organization, che riunisce scienziati e ricercatori sulla base dell’eccellenza nella ricerca nel campo delle scienze biologiche e in particolare della biologia molecolare.
Immagine in evidenza: https://armeniseharvard.org/scientists/sabrina-sabatini/
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