Scienza, democrazia e terza dose: intervista a Giovanni Spataro
Il 24 settembre, in occasione della Notte Europea dei Ricercatori 2021, si è svolto l’evento “In & Out. La comunicazione circolare della scienza per una società democratica”. Abbiamo intervistato Giovanni Spataro, giornalista di Le Scienze e moderatore della tavola partecipativa
“In & Out. La comunicazione circolare della scienza per una società democratica” è il titolo dell’evento che si è svolto a Città dell’Altra Economia, a Testaccio, in occasione della Notte Europea dei Ricercatori. Nel dibattito, incentrato sulla terza dose di vaccino anti Covid, sono intervenuti Elena Fattori, senatrice della Repubblica, Simone Pollo, professore associato di filosofia morale di Sapienza Università di Roma e Luca Carra, direttore di Scienza in rete e docente alla Sissa di Trieste. A moderare la discussione è stato Giovanni Spataro, giornalista di Le Scienze. Ecco cosa ci ha raccontato.
Il tema principale della tavola partecipativa riguardava la terza dose di vaccino anti Covid-19. Chi deve decidere? Chi deve convincerti? Chi deve avere la precedenza? Sono state queste le domande su cui la discussione si è incentrata. Come hanno risposto le persone che partecipavano?
Su chi deve decidere, quasi tutti hanno risposto che deve essere il governo. Alcune risposte citavano anche autorità sanitarie come l’Istituto Superiore di Sanità, cercando di unire il ruolo di un ente istituzionale a un’organizzazione che informa i decisori politici. Che è quello che succede nella realtà, quindi anche se con accenti diversi, hanno riproposto quello che sta accadendo adesso.
Su chi deve convincerti, invece, le risposte sono state più eterogenee perché si è passato dal governo a figure come medici di base o anche più generalmente scienziati. Qualcuno ha risposto anche intellettuali, sottolineando, credo, la necessità di potersi fidare di un gruppo di persone che ha le conoscenze necessarie ed è in grado di divulgarle in maniera comprensibile. Ci sono state più risposte diverse anche perché, in ambito comunicativo, non c’è stata una figura ben precisa e, secondo me, in questo si sono viste le differenze portate dal vissuto delle persone in questa pandemia, rispetto alla questione vaccini.
Su chi deve avere la precedenza per la terza dose anche qui ci sono state molte risposte diverse. C’è stato chi ha risposto le ‘persone fragili’, che è quello che sta avvenendo, ma anche altri che hanno risposto ‘i più giovani’ e quindi, secondo loro, le persone che avendo una maggiore socialità hanno anche una possibilità in più di essere vettori del virus, rispetto a persone della terza età. Un dibattito simile che c’è stato anche per le precedenti vaccinazioni per il Covid.
C’è stato anche chi ha risposto ‘solo chi vuole’ portando la discussione sul fatto che la vaccinazione non è obbligatoria. Ma nessuno obbliga a vaccinarsi. Il green pass rientra nella difesa della sanità pubblica e questo fine non bisognerebbe perderlo di vista perché altrimenti sembrerebbe un’imposizione. Sono convinto che il green pass non sia un limite ma anzi una forma di libertà nel contesto della pandemia. ‘Solo chi vuole’, in realtà, è una falsa risposta perché nessuno è obbligato”.
C’è chi ha parlato anche di scienziati veri e non veri.
“È stato un momento che ha un po’ colpito, all’inizio. Era evidente che, in realtà, quella persona intendeva dire che c’erano scienziati chiamati a dire la loro (salotti tv, giornali, etc.) che non rispettavano quelli che erano i procedimenti scientifici, la conoscenza scientifica acquisita. Personalmente, non credo ci sia una scienza vera o una non vera. La dicotomia scienza ufficiale e scienza non ufficiale mi ha sempre lasciato perplesso. Ma quella risposta lì tendeva a sottolineare che, secondo quella persona, ci fossero stati tanti scienziati che in realtà non rappresentavano le conoscenze acquisite dalla comunità scientifica, almeno quelle più solide, nei limiti di incertezza del contesto pandemico”.
Tra i partecipanti c’è stato anche chi si chiedeva perché bisognerebbe convincere anziché informare. Come dovrebbe agire un giornalista scientifico?
“Dovrebbe agire facendo il proprio lavoro al massimo delle proprie capacità e della propria onestà intellettuale, rispondendo a un’etica che è già ben strutturata e rispettando i canoni del giornalismo scientifico. Quando si parla di scienza, un giornalista scientifico sa, o dovrebbe sapere, che è necessario conoscere come procede il metodo scientifico. Poi, c’è anche chi non ne tiene conto per questioni politiche e per questioni di polarizzazione collegate a quelle politiche. Quando sentiamo i giornalisti che citano studi scientifici che non hanno senso o false notizie, in quel caso non di rado c’è anche una componente di schieramento politico ma questo va evitato. Quello che un giornalista dovrebbe fare è già tutto ben chiaro, ed è anche un bel mondo quello di quel giornalismo lì”.
La comunicazione che c’è stata ha alimentato un senso di timore nei confronti dei vaccini. Quali sono stati gli errori commessi?
“È una questione molto complicata. Credo che uno dei problemi più grandi in ambito comunicativo sia stato quello di aver generato una polarizzazione sul tema, da parte della comunità scientifica, che ha creato confusione nella testa delle persone.
Non credo che sia stato fatto in modo consapevole, cioè per creare appositamente confusione nella testa delle persone. A parer mio, questa confusione è stata generata da prese di posizioni di cui si era profondamente convinti, su cui però non si è innestato uno degli strumenti principali della ricerca scientifica: il dubbio. Il dubbio che, magari, chi era dall’altra parte potesse avere ragione non su un’opinione genericamente fondata ma sull’analisi di contesti e dei dati. Parlo di una polarizzazione che ha perso di vista i dati scientifici e la discussione scientifica, e che ha negato il dialogo e il confronto tra scienziati. Abbiamo assistito a molti scontri”.
Durante la tavola partecipativa, si è anche detto che il governo non è l’ente migliore per convincere i cittadini perché a causa di un “gioco di leve”, la logica viene messa da parte. La logica scientifica e quella politica non hanno un punto d’incontro quindi?
“Quello che si è perso di vista è che la pandemia esiste ed è il problema più grave di salute pubblica, sociale ed economico dal dopoguerra a oggi. Dire che il governo non dovrebbe informare perché ci sono giochi politici, francamente, la trovo una posizione incomprensibile. In un paese democratico, il governo è in carica secondo processi democratici e deve decidere, deve comunicare. Se il governo pensa che ci sono delle misure di sanità pubblica fondamentali e cruciali per il paese è ovvio che deve farlo.
Le leggi riguardano la vita dei cittadini e proprio per questo è fondamentale che ci sia un dibattito trasparente sul perché vengano fatte determinate scelte. Quindi, il governo deve assolutamente informare. Un governo deve dire cosa fa e perché lo fa e questo è fondamentale in una società democratica e trasparente. Guai se non fosse il contrario, sarebbe grave.
Quella posizione per cui il governo ‘non può’ e ‘non deve’ la trovo molto rischiosa. La stampa deve fare il suo lavoro: se il governo dice una cosa e la stampa pensa che il governo dica delle falsità ha il diritto e il dovere di dire che non è vero. Ed è quello che già succede. Ma il fatto che ci sia questo dibattito è la dimostrazione per cui se un governo decide e informa, non c’è un problema di agibilità democratica”.
Qual è la difficoltà dell’instaurare un dialogo con la cittadinanza sui temi scientifici? L’insegnamento del metodo scientifico, come suggeriva qualcuno durante la discussione, aiuterebbe?
“Sicuramente l’insegnamento del metodo scientifico aiuta, però non penso che in Italia abbiamo questo problema. Tra l’altro, in Italia, esistono tantissimi festival della scienza online, youtuber che fanno divulgazione scientifica, ricercatori che parlano di scienza anche sui social media. Secondo me non c’è la mancanza d’offerta nemmeno da parte delle istituzioni visto che, comunque, a scuola viene insegnata. Le materie scientifiche sono presenti nell’ordinamento scolastico già dalla scuola primaria. Forse il problema è che questo dibattito culturale non viene ancora messo al centro dell’attenzione dai mezzi di comunicazione più potenti. Sui mezzi più tradizionali come la televisione e i giornali, al di là del Covid, la scienza è ancora un po’ relegata in un angolino. I programmi televisivi e radiofonici che parlano di scienza sono pochissimi mentre sui social è una realtà pulsante. Noi che siamo dell’ambiente, lo sappiamo ma il problema è che lo sappiamo solo noi. Altri, invece, si sono avvicinati a questa sfera solo in questo periodo per via della pandemia ma la divulgazione fatta sui social è una realtà viva anche da prima”.
Quando si parla di scienza e democrazia c’è chi cita la frase di un noto personaggio scientifico: “La scienza non è democratica. La velocità della luce non si decide per alzata di mano”. Cosa ne pensa?
“Questa frase ha subito numerose mistificazioni ma non per responsabilità dell’autore. Chiunque conosca il metodo scientifico sa che la scienza non è democratica nel momento in cui noi lo confrontiamo con il funzionamento della democrazia come siamo abituati a vederlo. I cittadini sanno che le leggi, in parlamento, vengono approvate per alzata di mano: c’è chi dice sì e c’è chi dice no, sulla base delle convinzioni di una persona rispetto alla legge proposta. Questo non avviene nella scienza ma non perché la scienza sia autoritaria o antidemocratica. Chi ha detto quella frase sa benissimo che la scienza non è autoritaria perché conosce benissimo il metodo scientifico. La scienza non è democratica perché non si arriva a una costruzione della conoscenza scientifica per alzata di mano. La costruzione della conoscenza scientifica è un’acquisizione di conoscenza che segue delle regole ben precise in cui non si segue il principio di autorità, cioè lo status di una persona che fa un’affermazione non conta, conta solo quello che dice nel contesto del metodo scientifico. E per inciso è il motivo per cui anche un premio Nobel può dire una solenne stupidaggine in ambito scientifico. Non riesco a pensare a qualcosa di più democratico di un mondo in cui, tra l’altro, il principio di autorità vale zero”.
Immagine in evidenza: Tavola partecipativa ERN (Credit photo: Mattia La Torre)
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