Scienza e religione non vanno d’accordo? Tutta colpa del cervello
Secondo un recente studio americano, un elevato utilizzo del pensiero razionale del cervello limiterebbe la possibilità di sviluppare empatia e di avere una fede religiosa
Il conflitto tra scienza e religione potrebbe essere una conseguenza della struttura del nostro cervello. A sostenerlo, in uno studio pubblicato lo scorso 23 marzo su Plos One, è un team di scienziati della Case Western Reserve University e del Babson College. Attraverso alcuni esperimenti, i ricercatori hanno evidenziato come l’utilizzo della zona del cervello responsabile del pensiero analitico comporti la disattivazione dell’area che controlla il livello di empatia, a sua volta fortemente correlata alla fede religiosa. L’attendibilità di questi risultati è però messa in dubbio da altre statistiche, tra cui quelle relative alla religiosità dei premi Nobel.
Non è la prima volta che si utilizza un approccio scientifico per indagare il legame tra fede religiosa e pensiero razionale. Negli anni scorsi, alcune ricerche avevano ad esempio mostrato che le persone credenti sono mediamente meno intelligenti rispetto agli atei, e che la fede in Dio si manifesta in seguito all’attivazione di un’area ben precisa del cervello.
Lo studio appena pubblicato su Plos One contiene però alcuni elementi di novità. Innanzitutto i ricercatori avrebbero dimostrato (tramite esperimenti di risonanza magnetica funzionale) l’esistenza di una distinzione netta tra una “rete analitica” di neuroni che governa la razionalità e una sorta di “rete sociale” che invece favorisce l’empatia e la socializzazione. Queste due aree del cervello non comunicano tra loro, nel senso che l’utilizzo dell’una reprime l’attivazione dell’altra. Attraverso altri otto esperimenti distinti, che hanno coinvolto da 159 a 527 adulti, è stato poi evidenziato che le persone credenti utilizzano maggiormente l’area del cervello responsabile dell’empatia.
«Questi risultati, – sottolinea Tony Jack, leader del gruppo di ricerca – oltre a fornire una giustificazione più solida al conflitto tra scienza e religione, dimostrano una cosa interessante: le persone di fede sono più empatiche rispetto agli atei. Di conseguenza chi tende a utilizzare solo la parte razionale del proprio cervello rischia di compromettere la possibilità di coltivare altri tipi di pensiero, di carattere sociale e morale». Questa tendenza, tra l’altro, fornisce una spiegazione indiretta al fatto che le donne siano più credenti rispetto agli uomini: sarebbe proprio una conseguenza della più spiccata capacità delle donne a sviluppare empatia.
Ma non è detto che un buon scienziato non possa essere credente. Nel suo libro 100 years of Nobel Prize, Baruch Aba Shalev riporta infatti una statistica abbastanza sorprendente sui Nobel: ben il novanta per cento dei premiati tra il 1901 e il 2000 appartiene (o apparteneva) a una religione, mentre solo il restante dieci per cento risulta ateo o agnostico. E la percentuale di credenti si mantiene molto alta anche considerando i soli scienziati, cioè i Nobel per la fisica, chimica e medicina. Un dato che appare in netto contrasto con i risultati pubblicati su Plos One.
La contraddizione, secondo Jack, è però solo apparente: «Sotto le giuste condizioni la fede religiosa può favorire la creatività scientifica. I molti scienziati credenti sono probabilmente persone abbastanza intelligenti da capire che non c’è alcuna ragione per cui scienza e religione debbano entrare in conflitto».
E chissà se scoprire che questo dualismo è una semplice conseguenza della struttura del cervello potrà servire a rendere meno turbolenti i dibattiti sul tema.
Credits immagine in evidenza: cruxnow.com
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