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L’ecosistema marino è in grave pericolo e lo dimostrano i numeri di cui ci parla Simonetta Fraschetti, ecologa marina e professoressa ordinaria di ecologia presso l’università Federico II di Napoli. In questo articolo ci racconta anche di quali sono le possibili soluzioni, del ruolo della scienza e delle scienziate nel fornire una conoscenza maggiore degli ecosistemi marini e delle strategie attuate dall’Unione Europea, tra le quali il Next Generation Ue. Ma anche del National Biodiversity Future Center, la risposta italiana alla crisi della biodiversità
La pesca industriale ha causato la perdita del 90% della biomassa dei grandi predatori. Le popolazioni di uccelli marini sono diminuite su scala globale, in media del 69% dal 1950 al 2010. Certi gruppi, come gli albatros e i petrelli, hanno subito declini ancora più pronunciati. In Europa, ho personalmente contribuito ad una valutazione dello stato degli habitat marini che ha mostrato che circa l’80% degli habitat marini bentonici mostra segni di degrado e che l’estensione delle zone umide si è ridotta del 50%. Ciò si traduce chiaramente in una perdita netta di beni e servizi che i sistemi marini possono invece fornire quando caratterizzati da un buono stato ambientale, con gravi conseguenze anche per gli esseri umani. Gli oceani sono in grave pericolo.
Queste valutazioni si basano su ciò che sappiamo, ma la nostra conoscenza sulla distribuzione e il funzionamento degli habitat marini è ancora straordinariamente scarsa, specialmente nei mari profondi ma purtroppo ancora negli habitat più superficiali. Anche la nostra comprensione dello stato di questi sistemi è estremamente limitata. Abbiamo mappature che coprono il 100% della superficie di Marte e della Luna mentre conosciamo solo circa il 25% della geomorfologia dei fondali del nostro oceano, per non parlare della definizione degli habitat della colonna d’acqua (cioè la maggior parte della biosfera). La nostra conoscenza è di gran lunga inferiore se consideriamo la componente biologica. Sicuramente questa carenza deriva dalle difficoltà tecniche di osservare e mappare specie e habitat marini considerati i costi e le difficoltà operative, ma è anche una questione di decisioni politiche orientate ad investire molto di più nella ricerca della vita extraterrestre che nella vita nei nostri oceani.
Abbiamo mappe del 100% della superficie di Marte e della Luna, mentre conosciamo solo circa il 25% della geomorfologia dei fondali del nostro oceano
Abbiamo bisogno di soluzioni. L’esperienza drammatica del Covid ha mostrato che quando gli esseri umani si fermano, il recupero dei sistemi naturali è ancora possibile. La stessa lezione proviene dalle aree marine protette ben gestite. Queste evidenze suggeriscono che le soluzioni sono ancora possibili, ma dobbiamo essere rapidi considerato che il mare è spesso visto come la prossima frontiera economica, con nuove minacce che interagiscono con gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Abbiamo bisogno di soluzioni poiché entro il 2030 dobbiamo raggiungere il buono stato ambientale (Good Environmental Status – GES) nelle acque di tutti gli Stati membri dell’UE, dobbiamo raggiungere il 30% dell’ambiente marino sotto regime di protezione (con il 10% sotto protezione totale) e dobbiamo ripristinare il 20% degli habitat degradati. Questi obiettivi, che avrebbero dovuto essere raggiunti nel 2020, sono stati rimandati al 2030.
In teoria, non partiamo da zero. In Europa, l’adozione della Direttiva Habitat, della Direttiva Sugli Uccelli e della Direttiva Quadro sull’Acqua rappresentano importanti opportunità per ridurre gli impatti su specie e habitat. La Politica Comune della Pesca, la Direttiva Quadro sulla Strategia Marina, che mira a raggiungere il Buono Stato Ambientale nei 5.720.000 km2 dei mari europei, ha spostato l’attenzione sugli ecosistemi, introducendo l’approccio “ecosistem based”. Diversi paesi europei stanno espandendo la pianificazione in mare come applicazione della Direttiva Quadro sulla Pianificazione Spaziale Marittima e di altre iniziative come accordi o raccomandazioni regionali. Sebbene le direttive europee siano vincolanti solo per gli Stati membri dell’UE, altri paesi al di fuori dell’UE tendono a seguire misure simili.
Il National Biodiversity Future Center è la risposta italiana alla crisi della biodiversità con l’idea di catalizzare la ricerca, l’innovazione e le azioni per migliorare la salute dei nostri mari in un quadro di “One Health”
Come ricercatrice, non penso che sia la scienza il problema: abbiamo prodotto conoscenze solide, spesso con finanziamenti limitati. Ma abbiamo anche delle responsabilità: la frammentazione della comunità scientifica, dovuta alla sovra-specializzazione, e la difficoltà cronica di condividere conoscenze al di fuori di università ed Enti di ricerca sono elementi importanti che aumentano il divario sostanziale tra scienza, persone comuni e responsabili delle decisioni politiche. Inoltre, le lobby economiche si oppongono alle politiche di sostenibilità. Lo scenario del business as usual per la gestione ambientale e la conservazione devono cambiare drasticamente. La recente posizione di diversi politici che sottolineano che le cose non vanno bene a causa della ricerca e delle ONG è semplicemente paradossale.
Abbiamo bisogno di soluzioni: entro il 2030 dobbiamo raggiungere il 30% dell’ambiente marino sotto regime di protezione. E ripristinare il 20% degli habitat degradati
Negli Stati Uniti, lo Stanford Center for Ocean Solutions (COS) è stato finanziato nel 2008 con l’obiettivo di creare le innovazioni necessarie per sostenere la salute degli oceani di fronte a molteplici minacce, traducendo i risultati della ricerca in soluzioni su larga scala per oceani e persone. Si tratta di un centro universitario impegnato a formare una generazione di leader per gli oceani in grado di lavorare tra discipline e settori. In Italia, il Next Generation Europe sta portando investimenti molto rilevanti, per la prima volta, verso lo studio della biodiversità (marina ma non solo) in termini di studio, mappatura, monitoraggio, conservazione e ripristino. Il National Biodiversity Future Center (NBFC) è la risposta italiana alla crisi della biodiversità con l’idea di catalizzare la ricerca, l’innovazione e le azioni per migliorare la salute dei nostri mari, del nostro territorio e delle nostre città in un quadro “One Health”. Di fatto, il NBFC è il primo centro in Europa nato con il coinvolgimento di centinaia di ricercatori impegnati in modo coordinato in ricerca di base ed applicata. Questo progetto coraggioso può fare la differenza, soprattutto se l’investimento sarà mantenuto nel tempo e sarà seguito da altri esempi su scala europea. Una visione olistica e interdisciplinare della conservazione e gestione dello spazio marino che bilancia protezione e uso del capitale naturale è centrale nel NBFC e può contribuire a invertire le tendenze di perdita di biodiversità che stiamo osservando a livello europeo.
Nel frattempo, il 12 luglio 2023 il Parlamento europeo ha votato a favore della Legge sul Ripristino della Natura. Una grande vittoria a valle di una seduta complessa con 336 voti a favore della legge modificata e 300 contrari, con 13 astensioni. Il regolamento stabilisce obiettivi vincolanti in sette ambiti di intervento, come terreni agricoli, torbiere, impollinatori e fondali marini, con l’obiettivo di invertire i danni ambientali causati dalle attività umane non controllate e dai cambiamenti climatici, in linea con la COP 15 e il Green Deal. Questo porterà a un cambiamento di visione, ma mostra anche quanto possa essere complesso decidere per una politica sostenibile nei confronti dell’ambiente e dell’interesse generale.
Il 12 luglio 2023 il Parlamento europeo ha votato a favore della Legge sul Ripristino della Natura. Una grande vittoria a valle di una seduta complessa con 336 voti a favore della legge modificata e 300 contrari, con 13 astensioni
Senza questo cambiamento di visione sull’importanza di sviluppare un’economia sostenibile in armonia con ecosistemi integri, gli obiettivi ambiziosi non saranno mai raggiunti. Né nel 2030 né nel 2050. Gli ecosistemi marini nei mari europei ed extra europei hanno bisogno di un’adeguata conservazione e ripristino prima che sia troppo tardi, e qui mi impegno fortemente per progressi sostanziali verso gli obiettivi che abbiamo stabilito. Il Green Deal europeo è stato un importante riconoscimento della necessità di un’azione rapida per supportare la resilienza dei sistemi socio-ecologici contro gli stress locali e globali. L’interesse di una minoranza agisce contro l’interesse della maggioranza. Quante volte dobbiamo ripeterlo?
Simonetta Fraschetti, ecologa marina e professoressa ordinaria di ecologia presso il dipartimento di biologia dell’università Federico II di Napoli
Nature Restoration Law:
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