Uno spray solare contro il surriscaldamento globale
Un progetto geo-ingegneristico dell’Università di Harvard potrebbe essere la soluzione ai cambiamenti climatici del pianeta?
Le alterazioni dell’ecosistema causate dai cambiamenti climatici rappresentano una delle maggiori minacce di questo secolo alla biodiversità. Il recente uragano Harvey che si è abbattuto in Texas, gli incendi che hanno devastato la California o il progressivo scioglimento dei ghiacci ai Poli sono soltanto alcuni esempi di come il surriscaldamento globale stia letteralmente ridisegnando la geografia, non solo fisica ma anche biologica, del pianeta. Il ruolo dell’essere umano nell’aumento delle temperature è innegabile: secondo i dati raccolti dalla United States Environmental Protection Agency (Epa), le emissioni di anidride carbonica, così come di altri gas serra come il metano, l’ossido di azoto e i gas fluorurati, sarebbero maggiori nei paesi a più alta industrializzazione, Cina e Stati Uniti in testa. Ma se da un lato questi gas sono necessari per il mantenimento di temperature compatibili con la vita, dall’altro l’aumento della loro concentrazione rischia di compromettere un delicato equilibrio. Secondo alcuni scienziati dell’Università di Harvard, una possibile soluzione al problema potrebbe essere rappresentata dalla creazione di uno scudo solare in grado di mitigare i cambiamenti climatici.
Si tratta di un progetto geo-ingegneristico molto complesso e ambizioso, che consiste nell’iniezione di aerosol nella stratosfera, a circa 20 chilometri di altezza dalla superficie terrestre, in grado di riflettere la luce solare e raffreddare così il pianeta. In realtà, l’idea di spruzzare un agente climatico sopra le nostre teste era stata avanzata già nel 2006 dal chimico olandese Paul Crutzen, vincitore del premio Nobel per la Chimica per i suoi studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e alla decomposizione dell’ozono. Oggi, scopo della ricerca è quello di replicare lo stesso meccanismo che si verifica in natura durante un’eruzione vulcanica. Nel 1991, per esempio, l’eruzione del Monte Pinatubo, nelle Filippine, ha determinato l’abbassamento della temperatura globale di 0,5 gradi, in seguito all’emissione di circa 20 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, che portarono alla formazione di una nube di aerosol solfato capace di riflettere le radiazioni solari nello spazio.
Non sono pochi, tuttavia, coloro che si oppongono alla realizzazione di simili operazioni. In un recente articolo pubblicato su Nature, il professor Alan Robock ha spiegato che la geo-ingegneria solare potrebbe avere un impatto potenzialmente più pericoloso nei confronti della biodiversità terrestre, rispetto allo stesso riscaldamento globale. Per gli ecosistemi, infatti, tutto dipende dalla velocità con cui si verificano i cambiamenti climatici: se queste variazioni avvenissero lentamente, gli animali e le piante avrebbero il tempo per adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Al contrario, l’improvviso collasso dello scudo solare, in seguito per esempio a una crisi economica, a una guerra o al ritiro di governi non più consenzienti (è il caso degli Stati Uniti, che minacciano di voler uscire dagli accordi sul clima di Parigi), potrebbe impedire a molte specie di adeguarsi, determinando la loro estinzione. A questo proposito, gli autori dell’articolo hanno calcolato che, per fronteggiare queste brusche variazioni di temperatura, le specie terrestri avrebbero la necessità di spostare permanentemente il loro habitat naturale verso aree più fresche, con una velocità quattro volte superiore a quella che impiegano attualmente per sfuggire agli effetti dei cambiamenti climatici. “È una prospettiva terrificante”, conclude Frank Keutsch, anch’egli della Harvard University. “Ma non possiamo trascurare l’eventualità di non poterne fare a meno, nel caso in cui le condizioni climatiche dovessero drasticamente peggiorare”.
Credits immagine di copertina: Jorge Silva/Reuters
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