Thomas Hunt Morgan, il signore delle mosche
di Sara Collatin, Zoe Dominietto, Agata Scandiuzzi, Giulia Tosello, Classe III LI, Istituto Sobrero di Casale Monferrato
Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.
Thomas Hunt Morgan, statunitense nato a Lexington (Kentucky) il 25 settembre 1866 e morto a Pasadena (California) il 4 dicembre 1945, è ricordato per la sua carriera in ambito scientifico, in particolare nella genetica. Nel 1933 gli fu assegnato il Premio Nobel per la medicina, grazie ai suoi studi ed esperimenti sul moscerino della frutta.
Ma come è iniziato il suo lavoro di ricerca? Agli inizi del secolo scorso, la biologia era basata sull’osservazione più che sulla sperimentazione e le uniche teorie che la genetica prendeva in considerazione erano quelle di Mendel e Darwin: nessuno avrebbe immaginato che la chiave di volta sarebbe venuta dai moscerini della frutta (Drosophila melanogaster). Morgan fin dagli inizi contestò entrambi gli studi, perché li riteneva poco scientifici a causa dell’assenza di osservazioni sperimentali in laboratorio: né l’evoluzione né tantomeno la creazione di una nuova specie in laboratorio erano mai state dimostrate e il cosiddetto fattore di Mendel (unità responsabile dell’ereditarietà) non era ancora stato osservato.
In seguito a tredici anni trascorsi presso la cattedra di professore associato di Biologia in un collegio femminile, nel 1904 ottenne il posto come docente di Zoologia Sperimentale alla Columbia University. Quello stesso anno iniziò quindi ad interessarsi personalmente al fenomeno delle mutazioni con lo scopo di confutare le leggi di Mendel. I primi animali che utilizzò per i suoi esperimenti furono piccioni e topi, ma successivamente nel 1907 decise di optare per un organismo più semplice, con cicli vitali più veloci: le drosofile. In una particolare stanza Morgan sottoponeva le drosofile a stress fisici e chimici per poterne osservare al microscopio eventuali cambiamenti nelle caratteristiche, per esempio il colore degli occhi o la dimensione e la forma delle ali, così da poter dimostrare che era avvenuta una mutazione genetica.
Si mostrarono diversi tipi di variazioni ma la più vistosa (e quindi più facile da isolare) fu quella relativa al colore degli occhi. Un giorno infatti Morgan riuscì a osservare e a separare con fatica, per via delle dimensioni ridotte, l’unico esemplare (un maschio) dagli occhi bianchi da tutti gli altri con gli occhi rossi. Successivamente incrociò questo maschio mutato con una femmina normale, ottenendo una prole normale, in accordo con le conoscenze del tempo. Provando a effettuare l’incrocio reciproco, però, ebbe un risultato inaspettato: tutte le femmine avevano occhi rossi e tutti i maschi avevano occhi bianchi.
Notando come il carattere che regolava il colore degli occhi seguiva lo stesso andamento del cromosoma X nel maschio, si ebbe finalmente la prima prova che i caratteri, cioè i geni, sono localizzati sui cromosomi. In seguito, ulteriori fasi di studio portarono alla scoperta che l’ereditarietà genetica è legata ai cromosomi e che più geni sono situati su un solo cromosoma. Morgan aveva quindi dimostrato che i geni erano entità fisiche localizzate sui cromosomi. Questa fondamentale scoperta, descritta nel libro The Mechanism of Mendelian Heredity, gli è valsa il premio Nobel per la medicina e la fisiologia.
credits immagine: Morgan and Tyler (and Syracuse dishes) at the Kerckhoff Marine Laboratory in 1931 (Archives, California Institute of Technology).
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