Ti senti carota o asparago?
Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza Università di Roma e Senior Research Fellow della Scuola Superiore di Studi Avanzati Sapienza (SSAS). È presidente della Società per la Ricerca in Psicoterapia (SPR-Italy Area Group). Autore di più di 200 tra pubblicazioni e volumi, è coordinatore scientifico, con Nancy McWilliams, del Psychodinamic Diagnostic Manual. Nel 2018 ha ricevuto il Premio Musatti della Società Psicoanalitica Italiana e nel 2020 il Research Award della Society for Psychoanalysis dell’American Psychological Association. Collabora con «il Venerdí di Repubblica», «la Repubblica» e l’inserto culturale del «Sole 24 Ore». Tra le sue pubblicazioni più recenti: Diagnosi e Destino (2018), Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo (2021) e L’ombelico del sogno (2023), un viaggio onirico e poetico tra divinazione, psicoanalisi e neuroscienze. Proprio in merito a quest’ultima pubblicazione l’autore si è confrontato con noi in occasione della Settimana degli scrittori.
Lei ha parlato di sogni come racconti involontari. Ma che cos’è esattamente il sogno?
Rispondere è difficile, quasi impossibile, e non a caso ho voluto intitolare questo mio nuovo libro “L’ombelico del sogno”. Sembra Jovanotti, ma è Freud. Il quale diceva infatti che ogni sogno ha un ombelico che affonda nell’ignoto. Quando parliamo di sogno parliamo di tre cose: 1) un’esperienza unica e non condivisibile, in cui la “coscienza diurna” del sognatore è ovviamente assente; 2) un ricordo, inevitabilmente pieno di lacune; 3) un evento neurale. Dunque il sogno può e deve essere avvicinato in molti modi diversi: mitologici, letterari, scientifici. In fondo l’inafferrabilità del sogno, il suo mistero, sono la sua bellezza. Ed è il motivo per cui ho voluto scrivere questo piccolo tour de force onirico. Che racconta il sogno da tre prospettive culturali e temporali: la divinazione (gli antichi), l’interpretazione psicoanalitica (l’epoca moderna), le neuroscienze (l’epoca contemporanea). Oggi ci sono ricerche in ambito neurocongitivo che raccontano il sogno come una laboratorio per la “simulazione di una minaccia”, un processo cognitivo-affettivo che prepara il cervello a eventi avversi. Per la psicoanalisi contemporanea il sogno è soprattutto un prodotto psichico (ma inevitabilmente neurofisiologico) che rappresenta al tempo stesso una forma di pensiero e di narrazione di sé. Nel mio libro non giungo a conclusioni, semmai a una considerazione paradossale: fare attenzione al proprio mondo onirico significa diventare coscienti che esiste in noi un mondo inconscio che promuove racconti involontari e potenti. Nietzsche diceva: “Niente è più vostro dei vostri sogni”.
Quindi tutto questo a partire dalle profezie? Cioè, c’è un’evoluzione?
Sono partito da un passo che amo molto dell’Odissea. Nel canto XIX, Penelope riceve un mendicante, Ulisse, suo marito. Lei non sa che è lui, ma prova un senso istintivo di fiducia. E gli racconta un sogno, dicendogli così: “Ma spiegami orsù questo sogno, e ascolta”. Nel sogno c’è un’aquila che sgozza venti oche bianche. Lui naturalmente le dirà che le oche sono i Proci e l’aquila è Ulisse che ritornerà, li ucciderà e restituirà la reggia alla sua regina. La saggia Penelope risponde che i sogni entrano da due porte: una d’avorio, e sono i sogni ingannatori; una di corno, e sono i sogni veritieri. Ho preso in prestito le parole di Penelope per applicarle non ai sogni ma ai loro interpreti. Dico allora che i sogni d’avorio sono ostaggio di oracoli ciarlatani, terapeuti improvvisati che affrontano i sogni dei pazienti come fossero un puzzle da risolvere, che sgualciscono in pubblico il mondo privato del sogno, impercorribile al di fuori di un contesto clinico di conoscenza e relazione fecondato dai pensieri e dalle associazioni del sognatore. I sogni di corno sono invece quelli intesi da orecchie terapeutiche buone e menti curiose ma rispettose della “riservatezza” dei sogni.
Qual è il meccanismo che ci permette, ascoltando il sogno di qualcuno e l’interpretazione che ne viene data, di trarre dall’esperienza personale qualcosa che poi può essere utile nella vita?
I sogni contribuiscono a creare la nostra soggettività, mente e cervello insieme. La funzione dell’analista oggi non è più tanto quella di “svelare” i contenuti nascosti di un sogno, ma di sviluppare, insieme alla persona in analisi, una narrazione individuale, capace di cogliere tentativi e fallimenti della sua regolazione affettiva ed elaborarli per facilitare conoscenza e mentalizzazione. Verso la fine dell’analisi, un mio paziente, manager pragmatico, parlando di cosa avrebbe “portato con sé” una volta conclusa la terapia, mi dice: “Non sto a farle tanti discorsi, sa bene quante cose sono cambiate nella mia vita con l’analisi. Però non avrei mai detto che i sogni servono a qualcosa. E sa, secondo me, a cosa servono? A stare meglio quando siamo svegli”. Ascoltare la vita onirica ci avvicina a noi stessi, alle molteplicità delle nostre coscienze e, per così dire, delle nostre vite. Nei sogni abitano i ricordi d’infanzia, le vite dei genitori e dei nonni, le preoccupazioni della giornata, i desideri, le ossessioni e le paure. Un racconto di Delmore Schwarzt si intitola “Nei sogni cominciano le responsabilità”. Non perché siamo responsabili delle storie involontarie che i nostri sogni raccontano. Ma perché i loro segreti evanescenti ci espongono al mistero di un’interiorità di cui dobbiamo imparare a prenderci cura.
Quali sono stati i principali momenti in cui si è prodotto il cambiamento di paradigma dalla profezia a Freud? Cosa ha permesso l’arrivo di Freud e poi delle neuroscienze?
Credo che i principali cambiamenti paradigmatici siano iniziati con Platone e Aristotele. Con il progredire della riflessione filosofica (ma anche filosofico-letteraria, pensiamo al grande Lucrezio) sul sogno, siamo arrivati a essere protagonisti della dimensione psicologica. Il sogno come momento emotivo era un caso raro tra i Greci. C’è un elemento psicologico nel sogno di Penelope, oppure in un sogno di Clitennestra nelle Coefore di Eschilo, ma
nell’antichità il sogno non è quasi mai psicologizzato. Col Novecento siamo passati al sogno come evento psichico. Dopo Freud e Jung, l’altro “genio” novecentesco dell’onirico è stato Bion, con l’intuizione che i sogni ci permettono di elaborare e trasformare impressioni sensoriali ed emotive grezze (che chiama “elementi beta”) in componenti mentali capaci di rappresentare e simbolizzare la realtà (che chiama “elementi alfa”). Con Bion l’attività onirica è elevata a elemento strutturante della vita mentale: è necessaria per “pensare i pensieri”. Con gli anni Settanta del secolo scorso la psicoanalisi, salvo alcuni autori, ha ridotto il suo interesse verso il sogno, richiamata dalla necessità di studiare anche la realtà esterna, le esperienze traumatiche e i contesti di sviluppo. Oggi vi sono molti studi che mettono in dialogo la prospettiva delle neuroscienze (quindi il sogno come evento neurale) con quella clinico-psicologica. Si potrebbe dire che oggi possiamo studiare il sognatore sia sdraiandolo sul lettino della risonanza magnetica sia su quello dello psicoanalista! Si tratta di due modi di indagare l’onirico: l’importante è non separare culturalmente il sogno come prodotto del cervello dal sogno come prodotto della psiche.
Cosa pensa della definizione di sogno lucido?
I sogni lucidi sono studiati, c’è un po’ di letteratura, penso a una bella review del 2019 di Baird, Mota-Rolim e Dresler: “The cognitive neuroscience of lucid dreaming”. Si tratta di sogni che in qualche modo prevedono un “controllo” da parte del sognatore. Quindi sono una contraddizione in termini: se il sogno è un evento involontario come facciamo a condizionarlo? Non lo sappiamo bene, ma è un fatto che ci spinge a pensare alle sfumature che uniscono le diverse “coscienze” della veglia, del sonno e del sogno. E alle diverse tempistiche del passaggio dalla veglia al sonno, del modo in cui talamo e corteccia si sintonizzano e “disattivano” l’intero cervello, di come aree “dormienti” e aree “sveglie” possano coesistere.
Alessia Fallocco, Alice Luceri, Camilla Sprega, Enrica Bellotti e Marco Tannino studenti del Master “La scienza nella Pratica Giornalistica” della Sapienza Università di Roma
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