Una nuova strategia terapeutica contro la tubercolosi
La tubercolosi è una malattia antichissima ma ancora oggi è fra le prime cause di morte al mondo. Un team di ricerca dell’Istituto superiore di sanità ipotizza un novo approccio terapeutico che potrebbe cambiare la storia di questo micobatterio
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto superiore di sanità ha individuato un nuovo meccanismo attraverso il quale il Mycobacterium tubercolosis, responsabile della tubercolosi, è in grado di sfuggire al sistema immunitario umano. Questo studio, coordinato dalla ricercatrice di malattie infettive Eliana Marina Coccia, e pubblicato sulla rivista Plos Pathogens, evidenzia che il micobatterio blocca il cosiddetto processo immunitario autofagico. Si tratta di uno dei primi meccanismi che l’organismo mette in atto per difendersi dalle infezioni: viene attivato da particolari proteine ed elimina tutto ciò che viene riconosciuto come estraneo inglobandolo e isolandolo dal resto della cellula. Dallo studio, in particolare, è emerso che l’agente patogeno della tubercolosi produce una molecola di Rna (miR-155) in grado di bloccare la proteina (ATG3) attivante il processo autofagico, e che ciò gli consente di scavalcare questa importante protezione dagli agenti infettivi.
Facciamo un passo indietro. La tubercolosi è una malattia antichissima, della quale si sono ritrovati segni perfino in alcune mummie egiziane datate tra il 3000 e il 2400 a.C.: sembra che anche il faraone Akhenaton e sua moglie Nefertiti siano morti di tubercolosi. Con un balzo di qualche millennio arriviamo ai giorni nostri, quando Selman Waksman cambiò la storia della malattia scoprendo, nel 1943, la streptomcina, il primo antibiotico capace di combattere la tubercolosi – e aggiudicandosi il premio Nobel per la medicina per la scoperta. A partire da questa data, tutte le strategie terapeutiche sono state improntate sull’utilizzo degli antibiotici, finché il fenomeno dell’antibiotico-resistenza ha reso questo approccio progressivamente sempre meno efficace.
Oggi, grazie alla scoperta dell’équipe di Coccia, dell’Istituto superiore di sanità, sembra che le cose possano cambiare. Lo studio, infatti, oltre a descrivere il meccanismo alla base della malattia, suggerisce anche un nuovo approccio terapeutico, un’azione mirata a potenziare il sistema di difesa autofagico e, più precisamente, ipotizza l’utilizzo di una molecola antagonista miR-155 (antagomiR-155) che inibirebbe l’attività della molecola messaggera responsabile del blocco della proteina ATG3. Il vantaggio per il sistema immunitario sarebbe quello di non essere aggirato e di poter reagire, a difesa dell’organismo, fin dal primo contatto con l’agente patogeno. Inoltre, si ridurrebbe al minimo la resistenza verso il metodo di cura, antagomiR-155, infatti, non può sviluppare resistenza batterica. “Una possibile strategia anti tubercolare basata su un antagomiR-155″, ci spiega Marilena Etna, una delle ricercatrici dell’équipe, “ha il vantaggio di non lavorare sul micobatterio ma sul malato, rendendo così il patogeno incapace di sviluppare una resistenza verso la terapia”. “La tubercolosi”, le fa eco Coccia, “è percepita come una malattia lontana da noi: l’incidenza nella popolazione generale è infatti bassa, ma ancora oggi è fra le prime cause di morte al mondo e con l’apertura delle frontiere bisogna guardare oltre i nostri confini e pensare ad una sanità globale. In questa ottica, speriamo di poter reperire i fondi per dare un seguito a questa ricerca e all’ipotesi promettente di molecole bloccanti miR-155”. Staremo a vedere.
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