Uno scrittore in giallo
Nato a Pisa il 27 gennaio 1974, Marco Malvaldi si è laureato in Chimica all’Università di Pisa, dove ha conseguito un dottorato ed è stato assegnista di ricerca. Ha esordito come scrittore nel 2007 con la pluripremiata serie di romanzi e racconti gialli del BarlLume pubblicata da Sellerio. Ha inoltre scritto romanzi storici e saggi scientifici, tra cui Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio (Rizzoli, 2018) e La direzione del pensiero. Matematica e filosofia per distinguere cause e conseguenze (Raffaello Cortina Editore, 2020). Ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio letterario La Tore Isola d’Elba nel 2013 e il Premio Nazionale di Divulgazione nel 2018. In occasione del ciclo di incontri “Dalla scienza alla scrittura”, abbiamo chiesto a Malvaldi di linguaggi scientifici e creatività.
Che ruolo hanno avuto la creatività e l’immaginazione nella sua carriera di scrittore di narrativa e di scienza?
Secondo me la creatività consiste nella capacità di montare insieme pezzi o meccanismi che esistono già in una maniera differente rispetto a quello per cui sono stati pensati. Il termine salentino “fatto apposta” rappresenta tutti quegli oggetti che apparentemente servono solamente a uno scopo ben definito, come potrebbe essere un apribottiglie o una chiave inglese. Una chiave inglese che cosa è? Può essere usata per svitare un bullone ma può anche servire da metro per misurare qualcosa che è lungo esattamente come una chiave inglese. Queste possibilità crescono in maniera letteralmente geometrica se si è in grado di combinare due, tre, quattro oggetti diversi in una maniera differente rispetto a quella che è la loro funzione. Questo secondo me è il punto chiave.
Come si sviluppa la creatività?
La creatività si allena attraverso lo studio e la lettura sapendo che delle cose che leggi quelle che poi utilizzerai sono forse il 5% perché la maggior parte si dimenticano. Nonostante questo però poi sul fondo resta tutto. Ti resta anche il fatto che nel leggere e nel fare un determinato esercizio il tuo cervello cambia quel tanto che basta per poi poter vedere un collegamento. Pensate a come si allena un atleta professionista. Per tutta la settimana compie gesti che non hanno praticamente niente a che vedere con quello che poi fa in campo. Io sono appassionato di ping pong, non so se avete mai visto come si allena uno dei massimi atleti mondiali, il brasiliano Calderano. Lui corre intorno al tavolo facendo esercizi fisici, aerobica, squat, piegamenti, attività per le quali dopo 45 secondi finisci il carburante. Dopodiché ogni tanto sui tavoli trova un cubo di Rubik che deve risolvere. Una volta concluso ricomincia con gli esercizi. I suoi allenatori contano il numero di passaggi completi che riesce a fare in un determinato intervallo di tempo. In questo modo Calderano si abitua a pensare sotto pressione. A volte gli allenatori gli mettono dei cubi impossibili e lui deve decidere prima ancora di risolverlo se è il caso di farlo. È una continua costituzione della plasticità neurale. Poi non è che quando va a giocare Calderano trova i cubi di Rubik. Ma quando trova l’atleta avversario “automatizzato”, riesce ad avere la meglio su di lui e a giocare in maniera non prevedibile.
Parlando di tecniche narrative, qual è il suo consiglio per stimolare l’attenzione alla divulgazione della scienza senza rischiare una banalizzazione dell’argomento trattato? A cosa bisogna fare attenzione?
Secondo me bisogna fare attenzione a separare l’aneddoto dalla scienza. Io trovo utile iniziare con un aneddoto, cioè con qualcosa che catturi l’attenzione e che abbia attinenza o per contrasto o per analogia con quello di cui si vuole parlare. Una volta concluso l’aneddoto, approfondisco l’argomento, isolando subito la categoria della quale vogliamo parlare. Quindi, secondo me funziona trovare un’analogia con il concetto di cui si vuole parlare che sia funzionale ma non totalitaria. Facendo attenzione a separare l’aneddoto dalla narrazione e dal discorso scientifico vero e proprio. Fra l’altro questa modalità di racconto, può servire a far emergere o a creare una propria personalità. Io come divulgatore uso tantissimo lo sport. Giulio Giorello come filosofo usava tantissimo il fumetto. Silvia Benvenuti, divulgatrice di matematica, usa tantissimo la danza classica per spiegare la combinatorica. Se uno prende quelle che sono le proprie passioni può usarle come analogia. La danza classica, l’arrampicata, il vino sono cose che bene o male tutti conoscono.
Ci può fare un esempio?
Per parlare di sistemi stocastici, cioè di sistemi in cui si hanno delle fluttuazioni non riconducibili a quella che è la natura del fenomeno in maniera prevedibile, l’esempio che faccio è sempre questo: come muta il nostro peso corporeo? Nell’arco della giornata muta a seconda di quello che mangiamo, di quando andiamo in bagno, se sudiamo e via così. Poi capitano dei casi in cui questa cosa è controllabile, entro certi limiti. Per esempio, nel ‘68 il timoniere dell’armo (ndr. equipaggio di canottaggio) italiano Carlo Cipolla ebbe un’idea. Si rese conto che, dal momento che i timonieri vennero pesati, lui pesava troppo poco e quindi avrebbero dovuto aggiungere dei contrappesi che avrebbero squilibrato l’armo. Quindi, prima di fare la pesa si bevve 7 bicchieri d’acqua per prendere peso. Subito dopo la pesa, iniziò a correre sotto il
sole nel bacino per sudare il più possibile e riperdere peso. È chiaro che non poteva controllare il proprio peso corporeo, ma poteva controllare i processi di entrata e di uscita che avevano dei tempi differenti. Ecco, un sistema stocastico è spesso assimilabile al peso di un corpo. Ci sono tanti processi che influenzano e che più o meno si possono controllare ma con dei tempi di latenza che non sono prevedibili e che non sono controllabili.
Marco Malvaldi, chimico e scrittore
Lucia Bucciarelli, Viviana Couto Sayalero, Emilio Giovenale, Luciano Massobrio e Celeste Ottaviani studenti del Master “La Scienza nella Pratica Giornalistica” della Sapienza Università di Roma
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