Werner Forßmann: dritto al cuore dell’esperienza

Werner Forßmann: dritto al cuore dell’esperienza

Premio Nobel per la medicina nel 1956, mise nella nascita del cateterismo cardiaco tutto se stesso. Letteralmente

L’11 ottobre 1956 nella birreria di un’anonima cittadina tedesca squillò il telefono: cercavano uno degli avventori, Werner Forßmann. A chiamare era una donna dall’accento straniero che lo invitava a recarsi a Stoccolma di lì a due mesi, per ricevere il Nobel per la medicina, insieme a due ricercatori della Columbia University di New York, André F. Cournande e Dickinson W. Richards. Erano stati proprio i due a indicarlo alla commissione come il vero pioniere del lavoro per cui stavano per essere premiati, e cioè le scoperte sulla cateterizzazione cardiaca e sulle modifiche patologiche del sistema circolatorio.

Werner Forßmann, 1957 Credits: Nobelprize.org

Werner aveva cinquantadue anni, era il direttore del Dipartimento di Urologia dell’ospedale di Bad Kreuznach e, insieme a sua moglie Elsbet e ai loro sei figli, conduceva la vita tranquilla del medico di provincia. I suoi tentativi di diventare un affermato cardiologo erano ormai acqua passata, e lo avevano lasciato deluso. Accolse quindi la notizia con incredulità e sulle prime rifiutò. Come disse poi, gli servì un momento prima di rendersi conto che «il miracolo era avvenuto, non ero stato dimenticato»: gli studi che aveva dovuto interrompere erano stati portati avanti all’estero, da altri scienziati.

Ma di che studi si trattava, e perché li aveva abbandonati?

Werner Forßmann, classe 1904, dopo la laurea in medicina a Berlino, sua città natale, a venticinque anni si stava specializzando in Chirurgia a Eberswalde: voleva capire se la valvola mitrale si potesse operare in modo non traumatico, raggiungendo il cuore attraverso il sistema venoso. L’idea gli era venuta dall’esperimento di due medici francesi, Jean-Baptiste Auguste Chauveau ed Étienne-Jules Marey, che nel 1861 avevano misurato la pressione sanguigna nel cuore di un cavallo vivo, inserendogli nella giugulare un tubo collegato a dei manometri.

Certo, dall’animale all’uomo il passo non era affatto breve, così quando Forßmann propose di praticare un’analoga cateterizzazione attraverso il braccio, dovette scontrarsi con la diffidenza dei superiori verso l’audace esperimento. Il capo del suo Dipartimento, il dottor Richard Schneider, gli negò il permesso, ma l’infermiera responsabile degli strumenti chirurgici, Gerda Ditzen, si offrì di aiutarlo di nascosto.

La notte del primo tentativo, Gerda era stesa sul lettino pronta per l’anestesia, quando Werner le chiese di accompagnarlo al reparto di radiologia: infatti, fingendo di prepararla per l’incisione, si era già infilato nel gomito 30 centimetri del sottile catetere. Con l’aiuto dei raggi X potè constatare di essere arrivato all’altezza della spalla, e sotto lo sguardo allarmato della povera Gerda, continuò a inserire il tubicino fino a raggiungere il ventricolo destro, sordo ai rimproveri dei colleghi che nel frattempo erano intervenuti.

Forßmann eseguì su se stesso altre otto cateterizzazioni ma, giudicato poco più che uno stuntman, fu “invitato” da Schneider a proseguire la specializzazione sotto la guida del dottor Ernst Ferdinand Sauerbruch, direttore del Dipartimento di chirurgia al Charité di Berlino: era il 1929 e i riflettori puntati su Eberswalde a causa delle sue imprese non erano graditi.

La radiografia sull’articolo del 1929 Credits: Wikimedia Commons

La radiografia sull’articolo del 1929 Credits: Wikimedia Commons

La famosa radiografia nel frattempo era comunque finita sulla prima pagina dell’articolo “L’esplorazione del cuore destro”, che apriva nuove strade per la diagnosi delle malattie cardiache, e che tuttavia non portò fortuna a Forßmann. La pubblicazione non era stata infatti autorizzata da Sauerbruch, che rispedì subito al mittente il giovane medico. Così, nei tre anni seguenti, Werner fu costretto a frequenti trasferimenti, fin quando approdò all’ospedale Stadtisches Krankenhaus di Mainz, dove conobbe la dottoressa Elsbet Engel e con lei l’amore; dovettero però entrambi trovare un altro posto, perché le leggi dell’epoca vietavano che le coppie lavorassero nello stesso istituto.

Alla fine del 1933, forse stanco di dover lottare per continuare le sue ricerche, Werner si era rassegnato a fare l’urologo e certamente ignorava che di lì a qualche anno lo attendevano battaglie ben più impegnative: quelle della Seconda guerra mondiale. Forßmann vi partecipò come medico dell’esercito in ospedali da campo e penitenziari, finché non fu fatto prigioniero; fuggì dai Russi guadando un fiume, ma nulla poté contro gli Americani, che lo liberarono nel 1945.

Profondamente segnato da questa esperienza, al termine della guerra si ritirò nella Foresta Nera, dove avrebbe poi vissuto fino al fatale infarto che lo colse nel 1979. Qui scrisse l’autobiografia Esperimenti su me stesso: memorie di un chirurgo in Germania, pubblicata nel 1974, dalla quale emerge la figura di un uomo coraggioso e modesto, ma anche privo di scrupoli nel denunciare le nefandezze dei suoi ex superiori facendo nomi e cognomi. Forse fu proprio per la sua fama di outsider, o per essere stato un iscritto della prima ora del Partito Nazionalsocialista tedesco, che Forßmann non riuscì mai a stabilizzarsi nella professione. La sospirata cattedra di medicina dell’Università di Mainz gli giunse solo dopo il Nobel, anche se nel 1954 l’Accademia di Scienza tedesca gli aveva conferito la Medaglia Leibniz per meriti scientifici.

A Stoccolma, concluse la sua Nobel lecture con un monito: «Dobbiamo guardarci dall’errore che ricorre in tutta la storia della medicina: quello di concentrarci dogmaticamente su singoli aspetti della ricerca, invece di fare un passo indietro per guardare l’insieme come un’entità in evoluzione».

Oggi, a dispetto di Schneider e Sauerbruch che per primi non vollero fare questo passo indietro, la cateterizzazione cardiaca inventata da Forßmann aiuta milioni di pazienti ogni anno; è forse per loro, per gli scettici e i baroni, questa frase della sua autobiografia: «Quando capii che il mio lavoro era stato il punto di partenza per nuove ricerche, ne fui orgoglioso. Ma la mia soddisfazione si mischiò all’amarezza. Quanto saremmo potuti andare più avanti, se la bigotta arroganza non avesse rovinato i piani di quel giovane medico sconosciuto».

Credits immagine di copertina: Adore Science.