“Woman, life, freedom” – Un Nobel per i diritti di tutte le donne iraniane
Di Viviana Couto Sayalero, Lucia Bucciarelli, Luciano Massobrio, Tiziano Alimandi
“Per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti”.
Con queste parole e alla presenza della sedia vuota che avrebbe dovuto ospitarla, il 10 dicembre 2023, Narges Mohammadi è stata insignita del premio Nobel per la pace. Mentre la cerimonia era in atto, Mohammadi era in carcere in Iran, nella prigione di Evin.
Sta scontando 6 anni – di una iniziale condanna di 11 – e sono tre le sentenze che la costringono a restare in carcere: ha agito contro la sicurezza nazionale, ha fatto propaganda contro il regime e fa parte del DHRC (Defenders of Human Rights Center).
Non è la prima volta che Mohammadi è in carcere, ma la tredicesima. Finora ha accumulato condanne per 31 anni e 154 frustate in totale. La motivazione può essere riassunta sempre allo stesso modo, così come conferma lei stessa in una intervista per il Guardian: “Non sono coinvolta in politica, sono solo una attivista per i diritti umani”. Gli arresti che ha subito sono sempre stati motivati dal suo attivismo per la difesa dei diritti umani e civili della popolazione iraniana e delle donne iraniane.
“Non sono coinvolta in politica, sono solo una attivista per i diritti umani”
Come ha sottolineato Amnesty International, alla polizia morale e al regime iraniano il lavoro di Mohammadi appare pericoloso, un danno di immagine all’Iran: “Le condanne mostrano cosa pensa il sistema giudiziario iraniano del sostegno ai diritti umani nel Paese e di come tratta coloro che li sostengono”.
Il comitato che ha consegnato il premio, durante l’evento, ha sottolineato che “il Premio Nobel per la pace di quest’anno riconosce tutte le donne coraggiose che in Iran, e in tutto il mondo, lottano per i diritti umani fondamentali e per porre fine alla discriminazione e alla segregazione delle donne”.
Alla polizia morale e al regime iraniano il lavoro di Mohammadi appare pericoloso, un danno di immagine all’Iran
Chi è Narges Mohammadi?
Narges Mohammadi ha usato sempre la sua voce e la sua penna per denunciare la pena di morte, le torture, le violenze sessuali e l’oppressione da parte del regime iraniano dentro e fuori le carceri, spesso concentrandosi sui diritti negati alle donne in Iran. Ma le sue scelte di vita e il suo attivismo hanno comportato enormi costi per la sua stessa libertà.
Negli anni ’90, quando era una giovane studentessa di fisica, si era già distinta come sostenitrice dell’uguaglianza e dei diritti delle donne, scrivendo articoli di denuncia. Dopo aver concluso gli studi, ha iniziato a lavorare come ingegnera e colonnista in diversi giornali. Nel 2003 ha iniziato a collaborare con il Defenders of Human Rights Center di Teheran, di cui è ora vicedirettrice, un’organizzazione fondata da Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003. Nel 2011 è stata arrestata per la prima volta e condannata per il suo impegno nell’assistenza agli attivisti incarcerati e alle loro famiglie.
Durante il suo ultimo arresto, a Mohammadi è stato vietato comunicare con l’esterno. Tuttavia, è riuscita a far uscire di nascosto un articolo che il New York Times ha pubblicato nel giorno del primo anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini, dal titolo “Più ci rinchiudono, più diventiamo forti”. Nell’articolo Mohammadi descrive l’alto tasso di violenza e di carcerazione nei confronti delle donne iraniane, e di come questo non stia fermando le donne iraniane che sempre di più stanno usando la loro voce per denunciare ciò che accade.
Il Premio Nobel per la pace di quest’anno riconosce tutte le donne coraggiose che in Iran, e in tutto il mondo, lottano per i diritti umani fondamentali e per porre fine alla discriminazione e alla segregazione delle donne
Come si opprime un popolo? L’Iran dagli anni ‘60 a oggi
Le donne iraniane oggi sono tra le pochissime al mondo le cui nonne avevano più diritti. Prima della proclamazione della Repubblica islamica nel 1979, infatti, la loro condizione era molto diversa da quella che appare ora. Sotto la dinastia Pahlavi, che governò dal 1926 al 1979, l’Iran attraversò un periodo di significative trasformazioni sociali, politiche ed economiche che miravano a liberare le donne dalla tradizione patriarcale, promuovendo la loro partecipazione attiva nella società.
La dinastia Pahlavi iniziò il suo regno in Iran nel 1926 con Reza Shah Pahlavi, che avviò un ambizioso processo di modernizzazione del Paese secondo gli standard occidentali. Egli non solo proibì l’uso del velo, ma aprì alle donne anche le porte dell’Università di Teheran. Nel 1942 Mohammad Reza Pahlavi succedette a suo padre Reza Shah, continuando la politica di modernizzazione dell’Iran. Il suo programma di riforme, avviato negli anni ’60 e denominato “rivoluzione bianca”, portò a notevoli miglioramenti per le donne iraniane che, nel 1963, ottennero il diritto di voto.
Nel 1968, Farrokhroo Parsa divenne la prima donna ministro dell’Iran, segnando un altro importante traguardo per le donne nella politica del Paese. Tuttavia, il suo impegno le costò la vita nel 1980, quando venne giustiziata a 58 anni. Mahnaz Afkhami seguì i passi di Parsa come la seconda donna ministro, occupandosi degli affari femminili dal 1975 al 1978. Le riforme introdotte comprendevano una modernizzazione dello stato di famiglia, con nuovi codici che regolamentavano il divorzio e limitavano la poligamia.
Nel 1973, la “rivoluzione bianca” portò anche a un innalzamento dell’età legale per contrarre matrimonio, dando alle donne maggiore protezione. Nel 1977, venne regolamentato l’aborto su richiesta.
La rivoluzione islamica
Il regime dello Scià, pur promuovendo la modernizzazione, non incontrava il consenso di molti iraniani che, non sentendosi rappresentati dalla monarchia al potere, innescarono tensioni e scontri. Nel 1979 una violenta rivolta del popolo costrinse lo Scià a fuggire.
Il 1º aprile 1979, un referendum confermò la scelta di un governo basato sulla teocrazia e venne proclamata la Repubblica Islamica. Questa rivoluzione portò a una drastica inversione dei diritti delle donne
Il 1º aprile di quello stesso anno, con un referendum che confermò la scelta per una forma di governo basata sulla teocrazia, venne proclamata la Repubblica Islamica. Questa rivoluzione portò a una drastica inversione dei diritti delle donne, segnando l’inizio di una nuova fase nella storia iraniana. Oggi, secondo la legge islamica vigente in Iran, per le donne al di sopra dei sette anni è obbligatorio indossare il velo. Alle donne iraniane è vietato ballare o cantare da sole in pubblico, guidare una bicicletta, assistere a partite negli stadi sportivi, diventare giudici o presidenti. E ancora, esse devono sedersi in fondo all’autobus e possono viaggiare all’estero solo con il permesso del marito. La loro testimonianza in tribunale e l’eredità sono considerate la metà di quelle degli uomini.
Alle donne iraniane è vietato ballare o cantare da sole in pubblico, guidare una bicicletta, assistere a partite negli stadi sportivi, diventare giudici o presidenti. E ancora, esse devono sedersi in fondo all’autobus e possono viaggiare all’estero solo con il permesso del marito
Mahsa Amini, Armita Geravand – La violenza e le proteste degli ultimi anni
Nel settembre 2022 una giovane donna curda, Mahsa Jina Amini, è stata prima arrestata perché non portava l’hijab – il “velo”, obbligatorio in Iran – e sotto la custodia della polizia morale iraniana, è stata uccisa. La sua morte ha scatenato la più grande manifestazione contro il regime iraniano da quando è salito al potere nel 1979. Sotto lo slogan “Donna – Vita – Libertà”, migliaia di iraniane e iraniani hanno partecipato a proteste pacifiche contro la brutalità e l’oppressione delle donne da parte delle autorità. Più di 500 manifestanti sono stati uccisi, migliaia feriti, e almeno 20.000 persone sono state arrestate e tenute in custodia dal regime.
Armita Geravand, un’altra ragazza di origine curda, è morta il 28 ottobre 2023 dopo un mese di coma causato da una aggressione della polizia morale iraniana. Anche Armita, come Mahsa, non portava l’hijab e per questo è stata punita. La polizia morale in Iran è un organo del regime che svolge un ruolo di controllo totale sul “codice di abbigliamento”, quindi sul vestiario delle donne e sul loro uso dell’hijab. Centinaia di donne vengono ingiustamente imprigionate, aggredite, torturate o addirittura uccise ogni anno, e le violazioni dei diritti delle donne perpetrati dalla polizia morale sono ormai note e denunciate da attivisti, organizzazioni e anche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che hanno introdotto pesanti sanzioni verso l’Iran in seguito a questi eventi e alle repressioni delle manifestazioni.
La polizia morale in Iran è un organo del regime che svolge un ruolo di controllo totale sul “codice di abbigliamento”. Centinaia di donne vengono ingiustamente imprigionate, aggredite, torturate o addirittura uccise ogni anno, e le violazioni dei diritti delle donne perpetrati dalla polizia morale sono ormai note e denunciate
Tiziano Alimandi, Lucia Bucciarelli, Luciano Massobrio, Viviana Couto Sayalero, student* del Master “La scienza nella pratica giornalistica” presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma
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